«Oggi concludo i miei doveri da imperatore», con queste parole Akihito, l’ormai ex imperatore, ha concluso un’era della storia giapponese: la sua, chiamata Heisei.
Nella mattinata di martedì l’ottantacinquenne imperatore emerito si era recato al tempio della dea Amateratsu ad annunciare ritualmente la sua intenzione di abdicare. Amateratsu è la divinità solare dalla quale secondo la tradizione mitologica discenderebbe direttamente la casa imperiale. Sulla via del tempio Akihito è brevemente apparso alle telecamere vestito del suo lungo abito tradizionale da cerimonia arancione scuro con un lungo copricapo nero, simile nella foggia a quello che portano i sacerdoti del culto shinto. I riti di successione, che occuperanno molti dei prossimi mesi, sono principalmente di natura religiosa e carichi di significati ancestrali.
Qualche ora più tardi al palazzo imperiale Akihito ha tenuto il suo ultimo discorso al governo e ad altre importanti personalità giapponesi, poi è sceso dal trono, quindi un inchino e l’uscita di scena dietro un pannello scorrevole. Così è terminato il suo regno.
Nel discorso di commiato Akihito ha ringraziato il suo popolo per averlo «accettato e assistito nel suo ruolo di simbolo dello stato». Questo è il ruolo che gli imperatori giapponesi hanno assunto con la nuova costituzione emanata nel dopoguerra che è fondata sulla sovranità popolare.
Prima della seconda guerra mondiale agli imperatori era riconosciuta invece natura divina. In un discorso del febbraio scorso, in occasione dei trenta anni di regno, Akihito aveva parlato del suo sforzo alla continua ricerca di una nuova definizione per l’istituzione imperiale. Ricerca che ora lascia al figlio Naruhito.
L’ultima successione tra vivi avvenne nel 1817, poi la sorte e la volontà dei governi hanno sempre portato a una successione in seguito alla morte del sovrano in carica.
La successione in vita è stata voluta da Akihito, ma non è stata però così semplice. Ha richiesto una modifica legislativa, ha dovuto vincere la resistenza iniziale del governo e ha suscitato le ostilità della parte più nazionalista della destra – quella che si rifiuta di accettare l’umanità del sovrano e che anzi non sembra nemmeno sopportarlo a causa delle sue ferme prese di posizione a favore della pace e del rimorso per il ruolo giapponese nell’ultimo conflitto mondiale.
Non poteva esserci contrasto maggiore tra questa e l’ultima successione al trono, quella tra Hirohito – l’imperatore che all’indomani della guerra cessò di essere un dio – e Akihito stesso avvenuta nel 1989 subito dopo la morte del primo in seguito a una lunga agonia. Allora la nazione si fermò per settimane, appesa ai bollettini medici del sovrano, e questo fu l’apice di una serie di mesi passati in un clima lugubre durante il lento disfacimento dell’imperatore, malato terminale di cancro. In questa atmosfera iniziò trenta anni fa il regno di Akihito.
In questi giorni invece l’atmosfera prevalente del paese è di festa, sia dentro i palazzi, che soprattutto nei media. Il 4 maggio il nuovo imperatore si mostrerà al popolo per la prima volta dal balcone del palazzo imperiale e sono attesi centinaia di migliaia di visitatori. Tra la popolazione però non è raro trovare persone a cui la questione interessa poco o nulla e perfino chi fino a qualche settimana fa neppure sapeva che sarebbe avvenuta.
Qualche scontro tra ultradestra e movimenti anti-imperatore si è registrato ieri e la capitale è blindata. A Tokyo comunque ci sono locali che nella notte hanno organizzato feste a tema per celebrare la fine dell’era Heisei e l’inizio di quella Reiwa. Contribuisce al clima festivo la coincidenza della successione con una lunga «settimana d’oro», una serie di giorni di festa a inizio maggio, che quest’anno arriva a ben dieci.
Nella mattinata di ieri il nuovo tenno, Naruhito, ha preso possesso dei simboli del potere sovrano giapponese: specchio, gemma e spada.
Lo aspetterà una lunga serie di riti, fino a quelli più importanti che si terranno a ottobre, con la presentazione agli dei prima e ai dignitari nazionali e stranieri poi, e infine a novembre con il Daijosai, il banchetto con gli dei, uno dei rituali più complessi e antichi del paese, legato agli auspici per i buoni raccolti.
Molti commentatori si chiedono ora dove andrà la monarchia giapponese. Da un lato c’è la forte eredità di pacifismo e vicinanza alla popolazione lasciata da Akihito, dall’altra c’è il dibattito circa la sopravvivenza stessa della casa imperiale. Al trono non possono più accedere infatti né le donne (lo era in antichità), né le linee collaterali, inoltre, il cambiamento dei costumi ha escluso le concubine che in passato avevano fornito un nutrito numero di imperatori. Questo ha ristretto di molto il numero dei potenziali eredi, che ora sono solo due.
[Pubblicato su il manifesto]