Il grande progetto con cui la Cina si apre al mondo vorrebbe rappresentare il trionfo del modello win-win, ma deve fare i conti con le specificità di ogni Paese che attraversa. Eccoci giusto al di là del confine, in Kirghizistan, il Paese «porta d’accesso» della Cina verso l’Asia Centrale. Kuba, l’autista che guida la vecchia Mercedes da Biškek a Oš si è portato dietro il piccolo Bahai, suo figlio, una peste di cinque anni che non sta zitto o fermo un secondo per tutte le tredici ore di viaggio. Kirghizistan: 620 chilometri in direzione sud percorrendo la mitica M41, l’autostrada del Pamir, l’unica arteria che connette la Russia con la parte meridionale dell’Asia centrale. È una vecchia strada che scavalca passi a tremila metri d’altezza, penetra steppe ed è perennemente percorsa da camion.
Alcuni hanno ancora la scritta di qualche ditta italiana sul cassone: sono stati comprati di seconda mano da qualche camionista centroasiatico. Nella parte kirghisa, la M41 attraversa la catena del Tianshan e poi scende verso la valle di Fergana, circumnavigando il blindatissimo Uzbekistan tra Jalal-Abad e Uzgen, per poi arrivare finalmente a Oš, la città più importante nella parte meridionale del Paese.
Occhi a mandorla a nord, dove i kirghisi di origine mongolo-siberiana sono la maggioranza; tratti persiani e islam più fondamentalista al sud, dove gli zigomi scolpiti si mescolano ai tratti più dolci tagichi e uzbechi. Continua su Internazionale