La via del gas passa per il Turkmenistan

In Uncategorized by Simone

Pechino ha da tempo avviato un intenso import dall’Asia centrale, ricoprendo quella che un tempo era la Via della seta di tubature metalliche per il gas. Collegano le riserve turkmene, uzbeche e kazake al suo territorio. Il presidente turkmeno arriva domani nella capitale per firmare una nuova intesa.
Una firma lunga e piena di consonanti da un parte e migliaia di chilometri di nuove condutture dall’altra. Sono questi i binari su cui viaggiano gli ultimi progetti per l’approvvigionamento di gas del Dragone cinese, assetato di una risorsa sempre più scarsa e costosa, ma a cui la dirigenza comunista guarda con crescente interesse quale componente fondamentale del mix energetico che dovrà alimentare il Paese negli anni a venire.

Per ovviare alla strutturale carenza di gas con cui ha sempre dovuto fare i conti, Pechino ha da tempo avviato un intenso import dall’Asia centrale, ricoprendo quella che un tempo era la Via della seta di tubature metalliche che collegano le riserve turkmene, uzbeche e kazake al suo territorio.

Nei prossimi giorni la già solida cooperazione in materia energetica tra Cina e Turkmenistan sarà ulteriormente rafforzata per mano di Gurbanguly Berdymukhamedov, il presidente dello Stato centroasiatico, che durante la sua prossima visita nella capitale cinese, tra il 22 e il 25 novembre, firmerà una nuova intesa per intensificare gli scambi di gas con il suo prezioso partner commerciale.

Una notizia che giunge a poche ore di distanza da un’altra “rivelazione” rilasciata ai media cinesi dalla China national petroleum company (Cnpc). Per bocca di un suo portavoce il colosso petrolifero ha infatti annunciato che la terza sezione della West-East gas pipeline, il colossale progetto studiato per collegare le regioni centrali del continente con la zona costiera del Paese della Grande Muraglia, sarà ultimata entro la fine del 2013, in netto anticipo rispetto a quanto inizialmente previsto. 

L’entrata in funzione del gasdotto tra Turkmenistan e Cina nel dicembre del 2009 ha dato il via alla realizzazione di un sistema di condutture dirette dall’Asia Centrale alla costa cinese che ha inciso profondamente sugli equilibri energetici dell’intero spazio euroasiatico. Oltre a collegare il ricco giacimento turkmeno di Bagtyyarlyk alle infrastrutture cinesi nella provincia dello Xinjiang, la rete di tubature presenta bracci secondari che raggiungono la città di Gazli, nella regione di Bukhara, a due passi dalle riserve uzbeke (concentrate principalmente nella zona di Qashqadaryo), e il territorio kazako.

In questo quadro Tashkent e Astana sono pronte a cedere al Dragone 10 miliardi di metri cubi di gas l’anno, mentre le promesse avanzate da Asgabat parlano addirittura di 40 miliardi di metri cubi ogni dodici mesi per i prossimi trent’anni. Importazioni a dieci zeri di cui Pechino ha bisogno per raggiungere l’obiettivo più volte annunciato di aumentare dall’attuale 4 al 10 per cento la quota di energia proveniente dal gas entro il 2020, riducendo la propria dipendenza dal carbone e dal petrolio.

Un traguardo che le autorità cinesi stanno perseguendo con il loro abituale zelo, tanto che, secondo i dati riportati dal China Daily, tra gennaio e ottobre il consumo di gas del gigante asiatico ha raggiunto i 104 miliardi di metri cubi, segnando un aumento superiore al 20 per cento rispetto all’anno scorso.

Per sopperire alla crescente richiesta i vertici del Partito comunista hanno deciso da un lato di incrementare la produzione nazionale, che ha superato i 42 miliardi di metri cubi (più 6,6 per cento) e dall’altro di spingere sulle importazioni, che stando alla Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme sono salite di oltre l’86 per cento negli ultimi dodici mesi.

L’annuncio fatto dalla Cnpc sulla prossima entrata in funzione della terza sezione della West-Est pipeline si inserisce appunto in questo contesto. Con i suoi 5.200 chilometri di lunghezza, una capacità di trasporto di 30 miliardi di metri cubi l’anno, sei bracci secondari, tre impianti di stoccaggio e un terminale per il trattamento del gas naturale liquefatto, questo gasdotto è stato pensato per collegare la parte nordoccidentale del Paese alla città di Fuzhou, nella provincia sudorientale del Fujian.

L’infrastruttura andrà ad aggiungersi alle due sezioni già presenti, la prima della quali si snoda lungo un percorso di 4.200 chilometri raccordando lo Xinjiang a Shanghai e pompando ogni anno 12 miliardi di metri cubi di gas, mentre la seconda, che dovrebbe entrare in funzione a giugno, corre per oltre 9.000 chilometri e arriva fino a Guangzhou, nel Guandong.

Nelle intenzioni della Cnpc la tentacolare pipeline dovrebbe in futuro svilupparsi anche con una quarta e una quinta sezione (i lavori di entrambe dovrebbero iniziare nel 2015), studiate per raggiungere tutta la fascia costiera del Paese. Il risultato sarà un nuovo sistema circolatorio che attraverserà 66 contee e 10 province, pompando linfa vitale in ogni ganglio del corpo del Dragone.  

Muovendosi contemporaneamente sul versante commerciale e su quello del potenziamento delle infrastrutture, Pechino punta non solo a mettere un’ipoteca sulle future importazioni di gas di cui avrà crescente bisogno, ma anche a lanciare un chiaro segnale di insofferenza alla Russia, con cui da tempo è in trattative per una maxi-fornitura senza riuscire a raggiungere un accordo.

L’ultimo tentativo di intesa risale a giugno, quando il lungo faccia a faccia tra il presidente russo Dmitri Medvedev e il leader cinese Hu Jintao durante il Forum economico di San Pietroburgo si è concluso con un nulla di fatto. I rapporti tra le due potenze si reggono in questo momento su equilibri estremamente delicati dato che il crescente dinamismo cinese in Asia Centrale rappresenta un ostacolo evidente ai mai del tutto sopiti piani egemonici di Mosca sulla regione.

Sin dal crollo dell’Unione sovietica il Dragone ha lavorato con metodica pertinacia al rafforzamento dei legami con i governi centrasiatici e oggi la sua presenza si fa sentire tanto nel settore energetico che in quello commerciale e della sicurezza, grazie soprattutto alla Shanghai cooperation organization.

Malgrado il fastidio, però, Mosca è costretta a inghiottire la bile e a continuare a sorridere al vicino, perché l’export di gas verso la Cina è un affare troppo importante per potervi rinunciare.

In questo senso sia Mosca che Pechino non hanno certo dimenticato il memorandum sottoscritto nel 2006 da Alexei Miller, amministratore delegato della Gazprom e da Chen Geng, suo corrispettivo della Cnpc, per la costruzione dell’Altai gas pipeline, che attraverso un percorso di 2.800 chilometri dovrebbe portare il gas dalle riserve siberiane di Nadym e Urengoy allo Xinjiang, congiungendosi proprio con la West-Est gas pipeline.

Per il momento il progetto è stato messo in stand-by a causa della divergenza di vedute sui prezzi del gas esportato, ma tra gli addetti ai lavori non si è mai smesso del tutto di parlarne, segno di un interesse forse sopito ma non del tutto scomparso.

[Foto credit: theodora.com]

* Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra e per il settimanale Left-Avvenimenti