La tribù delle formiche

In by Simone

«Vattene per il bene della tua comunità!»; «più comunicazione e cooperazione, meno resistenza!»; e ancora: «più veloce ci si muove, più veloce si trovano nuove opportunità!». Questi sono solo alcune delle frasi che ho ricopiato sul mio quaderno dagli striscioni rossi appesi praticamente ovunque nel villaggio di Tangjianling, a circa venti chilometri da piazza Tienanmen a Beijing. Una vera e propria giungla di vicoli stretti e polverosi introducono in questo slum metropolitano dove macerie, fango, furgoni carichi di mobili in attesa di partire sono parcheggiati ad ogni angolo nel caldo afoso di un pomeriggio di luglio.

«Grazie alle imprese straniere che hanno voluto investire nella modernizzazione di questa zona», si legge su un altro striscione attaccato in un’ampia distesa di macerie, dove alcuni lavoratori stanno recuperando mattoni, ferro e legno, resti di quella che, fino a poco tempo fa, era forse una casa o un ostello della gioventù.

Fa un certo effetto vedere il simbolo zhai, dell’imminente abbattimento, disegnato su molti edifici da poco abbandonati, sullo stipite dell`ingresso di negozi e ristoranti ancora aperti, sebbene semi vuoti, così come sulle case ancora abitate. Sembra di camminare in una città fantasma mentre nelle strade campeggiano ancora i cartelli che pubblicizzano l`affitto di piccole stanze economiche.

Tangjianling, che in pochi anni era passato da 3000 a oltre 70.000 abitanti, è circondato dalla distruzione come da un cappio al collo, dopo che il partito ha deciso di demolirlo interamente assorbendolo nel nuovo piano di urbanizzazione di questa zona, a due passi dal parco tecnologico ZPark che ospita aziende come Siemens, Baidu, IBM e Lenovo.

Ci troviamo infatti nel nord della Zhongguancun, la cosiddetta «Silicon Valley di Beijing» che il governo della città ha deciso, lo scorso Dicembre, di rinnovare con un nuovo piano urbano.

Se nello spazio oggi occupato dalle poche case ancora rimaste in piedi sorgerà un nuovo parco tecnologico o altro, poco importa. Ciò che conta è che gli oltre 50.000 abitanti sono stati costretti ad andarsene. Un fatto abbastanza comune in Cina, se non fosse che questa volta la maggioranza degli abitanti sono neolaureati, per la maggior parte senza lavoro fisso nei vari uffici di Zhongguancun.

Sono la «tribù delle formiche», ovvero giovani colletti bianchi che hanno lasciato le zone rurali per trasferirsi a lavorare a Beijing. Vivono assieme proprio come formiche per risparmiare sulla spesa dell`affitto di stanze piccole e talvolta senza finestre, ma con connessione internet super veloce. Beijing ospita circa sette «colonie» di questo tipo: veri e propri slum metropolitani stipati di giovani che spendendo il loro tempo tra lavoretti temporanei, job fair e interviste di lavoro.

Sono oltre tre milioni le formiche come loro in Cina che, nonostante l`università, non riescono a superare i 1500 yuan al mese, circa 150 euro. Sembra, anzi, che molto spesso siano addirittura troppo qualificati per i lavori disponibili che trovano; e l’ansia di lavorare spesso li porta a fare stage, magari gratuiti.

Questo è il risultato di un «esperimento sociale di massa», come l’ha definito provocatoriamente il quotidiano Asia Times qualche tempo fa. Lian Si, docente di economia della prestigiosa università Peking University, ha da poco pubblicato un libro inchiesta sulle condizioni di vita di questi giovani intitolato proprio «La tribù delle formiche» (yizu in mandarino): seicento interviste frutto di due anni di lavoro a Tangjianling. Dalla ricerca emerge che oltre il 60% dei nuovi neolaureati proviene dalle zone rurali dell`Impero celeste e molti di questi, vero orgoglio e speranza delle famiglie povere delle campagne, hanno deciso di non tornare a casa ma di rimanere in città, seppur senza alcuna registrazione.

In un paese dove l`università ha ancora un significato carico di aspettative legate alla mobilità sociale, è duro scoprirsi poveri seppur con una laurea in mano, a volte più poveri dei propri fratelli che hanno deciso di non studiare ma lavorare in fabbrica.

Così le attese di questa generazione di nuovi laureati, tutti per la maggior parte lavoratori con contratti a tempo determinato, hanno un riscontro duro con la realtà. Il disincanto e il crollo delle aspettative si riversano nella vita collettiva di villaggi come questi, dove si sopravvive assieme perché meno costoso.

Il disincanto rompe la solitudine dell’individualismo forgiato dalla politica del figlio unico, produce l’esigenza della cooperazione e condivisione per vivere nelle metropoli.

Nel 1999 il Partito comunista ha lanciato un ambizioso piano per far crescere le iscrizioni universitarie di quasi il 30% annuo. Il forte investimento pubblico nel settore della formazione superiore è stato il primo passo per trasformare un’economia basata quasi esclusivamente sull`export e sullo sfruttamento intensivo verso il nuovo protagonismo di una forza lavoro intellettuale: premessa, quest`ultima, necessaria per un’economia basata sulla conoscenza.

Il numero degli studenti iscritti all`università ha così raggiunto l`impressionante cifra di venti milioni nel solo 2008, mentre lo scorso anno le università hanno sfornato oltre sei milioni di nuovi laureati (1). Una situazione al limite dell`esplosivo, laddove tra questi nuovi laureati la crescente disoccupazione intellettuale è tenuta a bada a colpi di patriottismo, povertà e offerta di stage.

Nell`assenza di efficaci misure volte a rendere sopportabile una vita fatta di aspettative mancate, il partito non solo ha fatto dei tirocini il dispositivo per correre ai ripari obbligando al lavoro i nuovi laureati, ma ha ordinato di radere al suolo il villaggio di Tangjianling. Forse era troppa la paura che questa concentrazione di giovani, disillusi e troppo formati, avrebbe potuto condividere la sua esperienza di vita; un’aggregazione che sarebbe potuta esploder con la rabbia e l`indignazione che solo un movimento di massa possiede.

Per ora a difesa di Tangjianling c`è solo il folto gruppo dei proprietari privati che vogliono alzare il prezzo prima di abbattere la propria casa. La tribù delle formiche, ben consapevole che su questa terra non ha alcun diritto, se ne sta semplicemente andando, chi un po’ più lontano dal centro, chi in altre città dove la vita costa meno. Dopotutto la Cina è un’economia che si fonda sulle migrazioni interne.

Ma la sfida che si gioca oggi a Tangjianling, come nelle altre «colonie» disperse nelle nuove metropoli, è trasformare questa attitudine e potente arma che è la fuga nella capacità di inventare una «Comune» del nuovo millennio nel mentre si abbandona uno slum di Beijing. Lost generation era il titolo che la rivista statunitense Business Week ha dato qualche mese fa alla sua prima pagina, in cui si discuteva del mercato del lavoro anglosassone. La crisi globale ha di fatto reso diffusi molti aspetti comuni a un’intera generazione, laddove avere una laurea non è più garanzia di mobilità e la «tribù» è diventata una moltitudine. 

NOTE AL TESTO
(1) Rispetto agli anni precedenti il numero degli iscritti ai corsi universitari nel 2008 è aumentato del 165%, mentre quello degli studenti all`estero è salito di oltre il 150% secondo il Ministero della Educazione.

*Paolo Do sta conseguendo un dottorato di ricerca presso il dipartimento di Business and Management della Queen Mary University of London. Si occupa di tematiche relative alla formazione e mondo del lavoro di cui ha scritto per siti e riviste. Ha trascorso diverso tempo in Cina. E’ autore de Il Tallone del Drago, di prossima uscita per DeriveApprodi, di cui CF si occuperà nei prossimi giorni