Arrestato ed espulso dal Partito comunista cinese. Per «la tigre delle tigri», Zhou Yongkang, si compie dunque il destino al quale da tempo sembrava segnato. Si tratta del funzionario di più alto grado ad essere espulso e arrestato, dai tempi della Rivoluzione culturale. Un evento, quindi, storico.
Le accuse sono varie — e solite: tangenti, diffusione di segreti di Stato, favori e abusi di potere e naturalmente una vita scellerata, tra amanti e vizi. Conta soprattutto una cosa: Zhou Yongkang per molti versi è stato considerato come il trofeo più importante della feroce campagna anticorruzione lanciata dal presidente cinese Xi Jinping. Oltre 180 mila i funzionari indagati dal team ad hoc creato dal presidente, centinaia i «quadri» arrestati.
Non sono stati usati riguardi per nessuno: vecchi generali in pensione, importanti protagonisti del mondo artistico e mediatico, elementi del partito. Tanto che nei giorni scorsi, alcuni media avevano cominciato a diffondere notizie circa importanti suicidi anche tra i membri dell’esercito.
Il fatto è che Zhou Yongkang, ex zar della sicurezza, nonché padrone fino a poco tempo fa del mercato petrolifero cinese, era la tigre più grossa, quella che doveva dimostrare che nessuno, mai, sarebbe stato al sicuro. E per questo in molti hanno tremato e tremano ancora.
Si era detto che la mancata espulsione e l’arresto di Zhou, durante e a seguito dell’ultimo Plenum del partito, potesse essere un residuo elemento di debolezza del presidente cinese Xi Jinping: come se ci fossero anche sacche di resistenza al suo totale repulisti nel partito, dove ha ormai piazzato tutti i «suoi». Invece la notizia dell’altroieri, e la probabile prossima incriminazione seguita da una sentenza pesante contro Zhou, confermano che Xi ha completa via libera all’interno di un Partito piegato completamente al suo volere.
Zhou, 72 anni, era finito nel mirino dell’attuale dirigenza già due anni fa, quando si realizzò il passaggio politico dalla coppia Hu Jintao – Wen Jiabao a Xi Jinping e Li Keqiang. Doveva essere il passaggio di consegne più prevedibile e «pacifico» nella storia cinese. Non fu così, anzi: per il Partito fu un periodo di lotte interne strepitose, come mai si erano viste negli ultimi vent’anni e che si erano concluse con la clamorosa defenestrazione del principino Bo Xilai, l’uomo che tentò di sparigliare le carte e di mutare il destino e il corso già deciso del partito comunista. E uno dei suoi alleati, si disse fin da subito, era proprio lui, Zhou Yongkang.
Capo della sicurezza nazionale, un apparato mastodontico che otteneva più fondi dell’esercito, Zhou pare abbia anche intrapreso un tentativo di colpo di Stato, quando Bo Xilai venne arrestato a Chongqing. Sospetti che non sono tali solo nelle stanze segrete di Zhongnanhai, il Cremlino cinese, e che hanno finito per segnare il destino anche di Zhou Yongkang.
Secondo quanto diramato dall’agenzia di stampa statale Xinhua, Zhou avrebbe gravemente violato la disciplina di partito, avrebbe barattato la sua influenza per ottenere denaro, avrebbe preso mazzette sia personalmente sia tramite i membri della sua famiglia, che avrebbe aiutato a trarre profitto da attività illegali, «causando una perdita enorme di beni di proprietà dello Stato».
Avrebbe inoltre fatto trapelare segreti di Stato e di partito e commesso «adulterio con più donne, usando il suo potere per ottenere prestazioni sessuali». Tutto questo insieme di accuse, avrebbe finito per danneggiare in modo pesante, conclude il report dela Xinhua, «l’immagine del partito».
[Scritto per il manifesto; foto credit: businessinsider.com]