Thailandia – Come previsto, il leader del Move Forward Pita Limjaroenrat non è riuscito a ottenere abbastanza voti dei senatori per essere nominato primo ministro. Per la Thailandia inizia una fase di grande incertezza politica. Il parlamento tornerà a votare il 19 luglio: ecco quali sono gli scenari per la formazione del nuovo governo
Servivano 64 voti, ne sono arrivati 13. La prima sessione congiunta del parlamento thailandese per la votazione del nuovo primo ministro si è chiusa giovedì sera senza la nomina dell’unico candidato in lizza, il leader del Move Forward, Pita Limjaroenrat. Non è stata una sorpresa.
Dopo la vittoria nelle elezioni di maggio il Move Forward ha formato una coalizione di otto partiti, raggruppando un totale di 312 seggi: più che sufficienti per avere la maggioranza alla camera bassa di 500 deputati, ma troppo pochi per eleggere il nuovo governo senza l’influenza del senato. Fino a maggio del 2024 i 250 senatori nominati dai militari hanno infatti il potere costituzionale di partecipare alle votazioni per la nomina del primo ministro, che per essere eletto ha quindi bisogno di almeno 376 voti (diventati 375 mercoledì a seguito delle dimissioni di un senatore). Un ostacolo enorme per chi propone di scuotere lo status quo filo-monarchico e filo-conservatore che quegli stessi senatori sono stati incaricati di proteggere.
La seduta parlamentare
Al di là dell’ottimismo di facciata, era chiaro sin dalla vigilia che Pita non avrebbe avuto i numeri per uscire dall’aula come trentesimo premier della Thailandia. Prima della votazione i parlamentari hanno avuto a disposizione circa sei ore per il dibattito. La coalizione a guida Move Forward è rimasta unita e ha presentato Pita come suo unico candidato primo ministro, mentre i partiti del fronte filo-conservatore non hanno proposto alcun aspirante al ruolo. Ne è risultata una sessione monotematica.
Tutti gli interventi si sono concentrati sulla legittimità di Pita e del suo partito di governare, con al centro la volontà del Move Forward di emendare la legge sulla lesa maestà, proposta che deputati conservatori e senatori hanno a più riprese definito pericolosa per la stabilità del paese. Altro punto centrale nell’opposizione al leader degli arancioni è stato il procedimento legale che pende su di lui. Mercoledì, il giorno prima della votazione, la commissione elettorale thailandese ha chiesto alla corte costituzionale di squalificare Pita come deputato, accusandolo di essere stato a conoscenza della sua ineleggibilità dovuta al possesso di azioni della società di media ITV (la costituzione in questi casi vieta la possibilità di candidarsi).
Secondo l’esponente del Move Forward si tratta di un’accusa pretestuosa – ITV non opera dal 2007 -, ma intanto la corte costituzionale potrebbe sospenderlo dal parlamento in attesa del giudizio definitivo, che potrebbe anche prevedere la sua interdizione dall’attività politica e una pena fino a tre anni di carcere. Il tribunale ha anche accettato un altro caso che chiede lo scioglimento del Move Forward a causa dell’intenzione del partito di emendare la legge sulla lesa maestà. Pita ha denunciato le tempistiche sospette dei due procedimenti, che hanno dato ai senatori il pretesto per rifiutarsi di votare un “indagato” come primo ministro.
La giornata si è conclusa con 324 voti a favore della nomina di Pita, 182 contrari, 199 astenuti. Tra i favorevoli si contano 311 deputati della coalizione (il presidente della camera, Wan Muhammad Noor Matha, si è astenuto come da consuetudine) e 13 senatori. Più di 40 membri del senato non si sono invece presentati in aula.
Gli scenari principali
Sul piano formale, non c’è un limite massimo al numero di votazioni che il parlamento può tenere per nominare il primo ministro. La prossima seduta congiunta è stata fissata al 19 luglio ed è previsto che una terza eventuale sessione possa tenersi già il 20. Sul piano politico le cose stanno diversamente. «Non mi arrendo», ha detto Pita a margine del voto. Ma il supporto di cui gode da parte dei partner della coalizione potrebbe essere a tempo. Alcuni esponenti del Pheu Thai, la seconda formazione più grande dell’alleanza, hanno dichiarato che il partito lo sosterrà per tre votazioni, ma poi dovrà pensare a una via alternativa.
Gli scenari possibili sono essenzialmente quattro. Il primo prevede che – al netto dei procedimenti legali – il leader del Move Forward riesca a trovare i 64 voti necessari per essere nominato premier. I deputati del Bhumjaithai, il terzo partito più grande alla camera (71 seggi), hanno detto che voterebbero per lui nel caso in cui il suo partito abbandonasse il progetto di modificare la legge sulla lesa maestà. Cosa che il Move Forward ha categoricamente smentito. Il secondo consiste nel mantenere così la coalizione, ma far eleggere come primo ministro Srettha Thavisin, candidato del Pheu Thai ritenuto più accettabile anche della stessa Paetongtarn Shinawatra, figlia del fondatore del partito. Per diversi analisti, però, l’establishment difficilmente accetterà che il Move Forward faccia anche solo parte della coalizione di governo.
C’è quindi l’eventualità di un “tradimento”. Il Pheu Thai potrebbe lasciare la coalizione e formare un governo con le forze conservatrici e filo-miliari, una scelta che potrebbe compromettere il sostegno popolare al partito e avere conseguenze sul piano dell’ordine pubblico. Si ritiene infatti che in caso di estromissione del Move Forward dall’esecutivo potrebbero scatenarsi una serie di proteste di massa da parte dei suoi sostenitori. Molto probabili anche nel caso dell’ultimo scenario, quello della formazione di un debolissimo governo conservatore di minoranza.
Le altre possibilità
Ci sono però altre possibilità. Una più estrema e complicata consiste nel prolungare a oltranza le sessioni parlamentari congiunte per la votazione del premier fino alla scadenza del mandato del senato, nel maggio del 2024. Improbabile anche perché peggiorerebbe la situazione di grande incertezza politica ed economica della Thailandia. Per questo la coalizione pro-democrazia starebbe pensando a una soluzione alternativa.
Come riportato dal Thai Enquirer, nel pomeriggio thailandese di venerdì il Move Forward ha in programma di proporre alla camera l’emendamento dell’articolo 272 della costituzione, quello che permette al senato di votare per la nomina del primo ministro. La proposta passerebbe con il supporto di metà dei deputati della camera bassa (250) e di un terzo dei senatori (84). Secondo Piyabutr Saengkanokkul, uno dei leader del movimento progressista, diversi dei senatori che si sono astenuti dalla votazione di giovedì potrebbero accogliere la modifica, che poi potrebbe entrare in vigore nell’arco di quattro settimane.
Resta uno scenario complicato. Intanto il primo ministro ad interim rimane l’ex generale golpista Prayut Chan-o-cha, al potere dal golpe del 2014. Prayut ha annunciato di volersi ritirare dalla politica, ma se la nomina del nuovo premier dovesse trascinarsi a lungo il suo governo provvisorio finirebbe per dover prendere decisioni importanti, come quelle riguardanti il budget per il 2024 e il rimpasto dell’esercito e delle forze di polizia. L’instabilità politica è inoltre da sempre un pretesto, in Thailandia, per “riportare l’ordine” con un colpo di Stato. Ipotesi che nessun osservatore delle faccende thailandesi si sente mai di escludere del tutto.
A cura di Francesco Mattogno