La ‘svolta’ dell’arbitrato internazionale, in dieci punti

In by Simone

Sabato 27 giugno la Farnesina ha annunciato il ricorso all’arbitrato internazionale per sbloccare la vicenda dei fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Cosa cambia adesso? Ricorrere all’arbitrato internazionale è davvero una "svolta"? Lo vediamo in dieci punti.1. Cos’è l’arbitrato internazionale all’interno della Unclos?

Ricorrere all’arbitrato internazionale significa chiedere che un pool di giudici terzo risolva un contenzioso tra due stati che, fino a quel momento, non sono riusciti a trovare insieme una soluzione. L’Italia ha iniziato le procedure di apertura del contenzioso all’interno della United Nations Convention on the Law of the Sea (Unclos), secondo la quale due stati che hanno ratificato la Convenzione (e sia India che Italia l’hanno fatto) possono chiamare in causa un tribunale internazionale per dirimere questioni coperte dalla Unclos stessa.

2. Chi deciderà adesso quindi?

L’articolo della Unclos che norma circa la risoluzione delle dispute tra stati che hanno aderito alla Convenzione è l’articolo 287, secondo il quale si può richiedere l’intervento di giudici internazionali in quattro modi: appellarsi all’International Tribunal for the Law of the Sea (Amburgo, Germania); appellarsi alla International Court of Justice (The Hague, Paesi Bassi); appellarsi a un tribunale speciale formato ad hoc che esamini tutto il caso; appellarsi a più tribunali speciali formati ad hoc che si occuperanno di vari aspetti del caso.

Non è chiaro a chi la Farnesina abbia intenzione di appellarsi, ma le opzioni più papabili rimangono quelle di The Hague o Amburgo, dove si formerà una Corte composta da due giudici scelti in autonomia da India e Italia (uno a testa) e tre scelti di comune accordo. C’è un altro problema: l’India, al momento della ratifica della Unclos, ha messo per iscritto due riserve proprio per l’articolo 287 e il 298, che normano le procedure di risoluzione delle dispute in seno alla Convenzione, chiarendo che avrebbe deciso volta per volta sul da farsi. In sostanza l’India potrebbe anche aprire un ulteriore confronto dicendo di non voler risolvere questa vicenda con un arbitrato, fregandosene altamente delle procedure di istruzione dell’arbitrato che comunque andarebbero avanti in modo unilaterale. Esiste un precedente, in questo senso, tra Cina  e Filippine, che hanno ratificato entrambe la Unclos.

En passant, per inquadrare meglio la latitanza degli Usa nel venire in soccorso alla causa italiana contro l’India, ho trovato interessante il dettaglio che gli Stati Uniti la Unclos non l’abbiano ancora ratificata.

3. E cosa si deciderà nell’arbitrato?

Qui casca l’asino. Nel senso che la presunta scelta "risolutiva" presa dalla Farnesina, la cosiddetta "svolta" secondo alcuni media nazionali, vuole far decidere a un tribunale internazionale chi tra India e Italia abbia il diritto di giudicare i due marò nel caso che li riguarda, ovvero l’accusa di duplice omicidio di Ajesh Binki e Valentine Jelastine, i due pescatori morti al largo delle coste del Kerala nel febbraio del 2012. Lo scrivo ancora più chiaramente: i giudici internazionali (chiunque essi saranno) non decideranno se Latorre e Girone sono colpevoli, non si occuperanno proprio del caso di omcidio, bensì valuteranno le interpetazioni indiane e italiane della Unclos e decideranno chi tra i due li processerà.

4. Su cosa non erano d’accordo Italia e India?

La questione gira tutta intorno allo status dei due militari a bordo dell’Enrica Lexie e al luogo dello scontro a fuoco (cioè, del luogo dove – secondo quanto rivelato finora dalle indagini condotte dalle autorità indiane e recepite dalle autorità italiane – dall’Enrica Lexie sono stati esplosi dei colpi di arma da fuoco contro il peschereccio St. Anthony, con a bordo una dozzina di pescatori – sempre secondo quanto rivelato finora – disarmati).
L’India sostiene di avere la giurisdizione esclusiva del caso, siccome l’incidente è avvenuto all’interno della zona contigua (tra 12 e 24 miglia nautiche) che il paese, secondo le proprie leggi, considera come un punto qualsiasi del proprio territorio; quindi vale la legge indiana.

L’Italia sostiene invece che al di là della posizione geografica, Girone e Latorre fossero soldati in servizio e quindi coperti da immunità funzionale: se un soldato è accusato di un crimine mentre è in servizio deve essee giudicato dalle autorità giuridiche del proprio stato, cioè dalla corte marziale.

Il problema è come inquadrare a livello giuridico la presenza di elementi dell’esercito a bordo di imbarcazioni private civili: se, come dice l’Italia, come organi dell’apparato militare in servizio, e quindi coperti da immunità funzionale, oppure se, come tende a sostenere l’India, i militari a bordo di un’imbarcazione privata civile siano considerabili "facenti funzione di contractor". Siccome non esiste un precedente simile nel diritto internazionale (il caso dei due marò, per questo, farà scuola), tutta la vicenda è ancora più complicata di quanto già non lo sia. (Nota: se verranno sollevate le solite trite e ritrite obiezioni a quanto scritto. prima di farlo vi invito a rileggere questo pezzo, in cui ho trattato un po’, in fondo, la questione della giurisdizione, e da lì andare a leggervi anche i pezzi che ho linkato.)

5.Quanto tempo ci metteranno per arrivare a una sentenza?

Anche qui, difficile dirlo con precisione, ma le stime che sono girate in questi mesi parlano di un periodo tra i 2 e i 3 anni.
Come esempio indiano possiamo prendere questo caso in cui New Delhi ha accettato l’arbitrato internazionale all’interno della Unclos per dirimere una questione di acque territoriali col vicino Bangladesh. Dhaka aveva attivato le procedure per l’arbitrato l’8 ottobre del 2009; la sentenza è arrivata il 7 luglio del 2014. Fanno poco meno di cinque anni.



6. E perchè abbiamo aspettato tutto questo tempo?

Immagino perché credevamo di riuscire a trovare un accordo per chiudere il caso a livello diplomatico. Cosa che non siamo riusciti a fare, impelagandoci in un groviglio legale in cui, tra rinvii della Corte indiana e la strategia dilatoria della difesa italiana, il procedimento è arrivato a una fase di stallo. L’accusa indiana, che aveva affidato la fase istruttoria ai funzionari della National Investigation Agency (Nia, polizia federale antiterrosimo), sostiene di avere tutte le prove necessarie per aprire finalmente il dibattimento. Ma non può presentarle poiché la difesa italiana è riuscita a impedire l’utilizzo, da parte dell’India, di una legge federale antiterrorismo, non trattandosi affatto di una vicenda legata al terrorismo.

Il problema è che, con quella legge, veniva legittimata la partecipazione della Nia alla fase istruttoria; e ora che quella legge, dice la Corte suprema indiana, non si può più usare, la difesa italiana sostiene che nemmeno la Nia possa prendere parte al processo. La Corte suprema ha preso in considerazione l’obiezione e si sta prendendo (molto!) tempo per decidere cosa fare (se accettare ugualmente la partecipazione della Nia o se passare il caso a un’altra polizia federale, ad esempio il Central Bureau of Investigation (Cbi).

7. Perché ricorriamo proprio adesso all’arbitrato, dopo oltre tre anni di confronto?

Realisticamente, perché il 15 luglio scade il secondo rinnovo della licenza concessa dalla Corte suprema a Massimiliano Latorre, che è in Italia dallo scorso settembre per la riabilitazione da un attacco ischemico che lo ha colpito a New Delhi e per il quale, sempre la Corte suprema, aveva disposto il rimpatrio temporaneo «per motivi umanitari» per una durata di tre mesi. Quei primi tre mesi sono stati rinnovati altre due volte, presentando documenti medici a sostegno della necessità che Latorre non facesse ritorno in India. Ora, dopo nove mesi dal trauma, le probabilità che la Corte rinnovi ancora il permesso sarebbero abbastanza esigue.

Ricorrendo all’arbitrato internazionale, l’Italia non sta riconoscendo più la giurisdizione indiana sul caso e quindi farebbe saltare tutti gli accordi: Latorre in India non ci torna e nel frattempo, secondo il comunicato della Farnesina, si cercherà di far uscire anche Girone dall’India, in attesa della sentenza dell’arbitrato. I giudici internazionali, una volta designati, potrebbero disporre il trasferimento di Girone in un paese terzo o anche il rimpatrio temporaneo, ma anche se lo facessero non è detto che l’India lo accetti (e nessuno può obbligarla a farlo).

8. Cosa cambia per Girone?

Salvatore Girone è attualmente in stato di semilibertà, soggiorna all’interno dell’Ambasciata italiana a New Delhi e può girare per tutto il territorio di New Delhi con obbligo di firma una volta alla settimana. La data da segnarsi è il prossimo 14 luglio, quando la Corte indiana si riunirà di nuovo per la vicenda Enrica Lexie. E lì si vedrà non tanto come l’India ha preso il ricorso all’arbitrato internazionale, quanto come ha preso il non-ritorno di Latorre, previsto per il 15 luglio. Nel peggiore dei casi la Corte potrebbe revocare la semilibertà a Girone, chiedendo che venga tradotto nuovamente in una struttura in territorio indiano, e a quel punto saremmo di fronte a un’escalation del confronto tra India e Italia molto complicata da gestire.

9. L’India come l’ha presa questa cosa dell’arbitrato?

Boh. Nel senso che da sabato a oggi c’è solo stata una sintetica dichiarazione di Vikas Swarup, portavoce degli Esteri indiano, che, riporta l’Ansa, ha detto che l’India «è al corrente» della richiesta italiana per l’arbitrato internazionale. Stop. Parlamentari, governo, avvocati…nessun’altro ha detto niente.

Anche perché il governo Modi è in tutt’altre faccende affaccendato, difendendosi dalla manovra a tenaglia che le opposizioni stanno operando sul suo esecutivo in seguito allo scandalo che ha investito la ministra degli Esteri Sushma Swaraj e la chief minister del Rajasthan Vasundhara Raje, entrambe accusate di aver aiutato l’ex presidente della Lega di Cricket Lalit Modi – residente nel Regno Unito e atteso dalle autorità indiane per deporre in un processo sulle illegalità all’interno del mondo del cricket che lo vede tra i principali imputati – ad avere un visto per andare in Portogallo con la moglie (che doveva operarsi di cancro). Insomma, il caso marò in India continua ad essere un non-caso, le uniche notizie che escono – al momento – sono ribattute tradotte delle agenzie italiane.

10. E adesso?

Adesso bisogna cercare di capire quale sia la strategia  del governo italiano (soprattutto appurando prima che ce ne sia una, di strategia). L’India credo non subisca alcun tipo di pressione dall’internazionalizzazione del caso e anzi potrebbe accettare l’arbitrato iniziando uno stillicidio burocratico che porterebbe i tempi della sentenza a rasentare le ere geologiche. Per Modi questo è un non-caso e, prova l’ultimo anno e oltre di governo, non ha nessuna intenzione di ficcarci il naso, lasciandolo interamente nelle mani della Corte Suprema.

Corte che, ricordiamo, noi italiani avevamo preso a pesci in faccia nel marzo del 2013, grazie all’opera dell’allora ministro degli Esteri Giulio Terzi (o, come sostiene lo stesso Terzi, per colpa di parte del governo Monti) che aveva impegnato per iscritto lo stato italiano a riconsegnare i marò all’India dopo la licenza elettorale concessa dai giudici indiani e poi, una volta in Italia, aveva mandato a dire "scusate, scherzavamo, mo ce li teniamo".

Le reazioni della Corte in questo senso saranno fondamentali per capire che aria tira e, con ogni probabilità, il 14 luglio scopriremo qualcosa di più, considerando che in teoria la difesa italiana non dovrebbe nemmeno presentarsi in tribunale, avendo rifiutato la giurisdizione indiana. Nel frattempo l’attività diplomatica continuerebbe in parallelo all’arbitrato e non è escluso che un accordo finalmente si trovi, se la Corte lascerà intravedere uno spiraglio entro il quale infilarsi.

[Scritto per East online; foto credit: today.it]