Lo scorso 22 aprile a New York c’è stata la firma storica sull’accordo sul clima approvato a Parigi il 12 dicembre da 195 paesi. L’intesa – che prevede tra l’altro di limitare l’aumento della temperatura globale al di sotto dei due gradi centigradi – entrerà in vigore 30 giorni dopo l’avvenuta sottoscrizione da parte di 55 paesi che rappresentano il 55 per cento delle emissioni mondiali di gas serra. E sulla ratifica sembrano essere concordi, per ora, anche Cina e Usa.Washington e Pechino alcune settimane fa hanno sottoscritto un comunicato congiunto nel quale assicuravano che avrebbero ratificato e in seguito rispettato le decisioni prese all’ultimo vertice sul clima a Parigi e a seguito della firma del 22.
Si tratta di un passo rilevante, una sorta di accordo «vero» dopo tante promesse e strategie che andavano al di là dell’argomento, che conferma la volontà, almeno da parte cinese, di proseguire su un cammino che la dirigenza comunista ha messo nel mirino da tempo.
Del resto la Cina accusava il resto dei paesi di scaricare sui paesi in via di sviluppo il peso totale dell’inquinamento, senza tenere conto di quanto accaduto negli anni precedenti l’interesse nei confronti dei temi ambientali e dei cambiamenti climatici. Insieme a questi elementi la Cina ha dovuto prendere di petto la questione, data la gravissima situazione nazionale.
Le città cinesi coperte dallo smog, i corsi d’acqua inquinati, la totale mancanza, fino a poco tempo fa, di una regolamentazione ambientale delle aziende, ha portato il paese a una vera e propria tensione sociale basata sui temi ambientali.
Su questo argomento la stampa locale da tempo specifica che «la Cina è ancora sul suo percorso di sviluppo. Per mantenere il suo tasso di sviluppo, dovrà consumare più energia. La sua energia e il modello industriale determina una dura sfida per il Paese davanti a se. Ma la Cina manterrà le sue promesse, guardando lo sviluppo sostenibile della Cina e del mondo», ben sapendo che «la Cina stessa è vittima del cambiamento climatico ed è diventata il paese con il più grande risparmio di energia del mondo, utilizzando energia pulita e energia riciclata». Nel 2010, infatti, la Cina è diventata il più grande produttore di energia eolica al mondo e nel 2008 è stato il più grande produttore al mondo di pannelli solari.
Dopo i primi allarmi rossi di Pechino dello scorso inverno, che per certi versi hanno «sdoganato» l’esistenza di un problema, per la prima volta in modo ufficiale, e la consapevolezza di dover cambiare il proprio modello energetico basato per lo più sul carbone, la Cina ha da tempo intrapreso una decisiva virata verso forme di energie rinnovabili. Già alla fine del 2015 il quotidiano ufficiale del Partito comunista, il Global Times, ricordava che «la Cina considera la lotta contro il cambiamento climatico come una grande opportunità per accelerare la sua ristrutturazione economica e realizzare uno sviluppo sostenibile, secondo quanto ha dichiarato la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme pianificatore economico della Cina.
Il governo metterà più enfasi sull’economia verde, migliorando la struttura industriale, sostenendo il consumo di energia a basse emissioni di carbonio».
Pechino ha da tempo messo in cantiere uno sviluppo verde, specificato già nel precedente piano quinquennale.
La dirigenza cinese sa bene che il passaggio è necessario e foriero di business dai numeri importanti. Come specificato dal report China 2050 High Renewable Energy Penetration Scenario and Roadmap Study, realizzato dalla Energy Foundation cinese.
[Scritto per Eastonline]