Tra poco più di un mese, si terranno in Giappone le elezioni per la Camera alta della Dieta. Il partito comunista giapponese, per la prima volta nella sua storia, correrà insieme alle altre forze d’opposizione contro il partito liberaldemocratico del primo ministro Shinzo Abe. Negli anni ’60, i comunisti hanno animato le proteste studentesche, insieme ad altre forze della «New Left» giapponese, poi gradualmente scomparse. Ma la scorsa estate, con le proteste contro le nuove leggi di sicurezza, l’attivismo di sinistra è tornato a galla. Questo articolo del magazine Aera ne ripercorre la storia. Continua dalla prima parte
I motivi degli scontri armati
Zengakuren e Zenkyōtō furono però anche protagonisti di episodi di violenza. Lanci di molotov e pietre, attacchi ai mezzi della polizia con travi di legno e tubi di metallo, assalti a edifici governativi come durante i disordini di Haneda del ’67, in occasione della giornata mondiale della pace del ’68 a Shinjuku, nella capitale, e della battaglia dello Yasuda Hall dell’Università di Tokyo nel gennaio del ’69.
Perché ricorsero alla violenza? Secondo Satoshi Ukai, esperto dei movimenti di sinistra giapponesi e docente all’università Hitotsubashi di Tokyo, «bisogna innanzitutto considerare la sconfitta del movimento nella lotta contro il Trattato di mutua cooperazione e sicurezza con gli Usa del 1960. Da quell’esperienza molti attivisti avevano tratto l’insegnamento che senza la forza fisica non sarebbero riusciti a opporre una resistenza efficace».
«C’è poi il fattore ‘propaganda’, necessario per la crescita del movimento. L’idea era quella della ‘campagna armata’. Alcuni attivisti pensavano di attirare nuove forze nel movimento mostrando a tutti di essere decisi a lottare, anche con le armi».
In quel periodo era molto attivo anche il fronte pacifista contro la guerra in Vietnam. Nel 1965, in Giappone nacque un movimento civile per la pace in Vietnam (Beheiren, in giapponese) che si estese in tutto il paese.
Con l’arrivo degli anni settanta, il movimento si radicalizzò. Le lotte interne alla Chūkaku-ha, alla Kakumaru-ha e alla Fazione per la Liberazione della Lega dei giovani socialisti sfociarono nella violenza. Il mondo della rivolta studentesca giapponese ne uscì spaccato.
Gen Hirai, saggista e autore del discusso Gunyari Tōkyō (letteralmente: Tokyo flaccida, ndt) in cui si offre un quadro del sottoproletariato urbano della capitale giapponese, racconta così quegli anni: «Più che per problemi ideologici, le lotte interne si scatenavano per la terribile pressione a cui era sottoposto il movimento. I leader venivano via via arrestati mentre gli attivisti rimasti in libertà avevano poca esperienza. Perciò rimanevano nascosti. Non potendo disertare il movimento, essi rimanevano in quasi totale reclusione. È in questa condizione che si svilupparono le lotte interne».
Dalla Lega dei comunisti nacque l’Armata rossa giapponese. Furono i membri di quest’organizzazione a dirottare un volo della All Nippon Airlines Tokyo-Fukuoka nel 1970. Dalla stessa esperienza radicale, si originò l’Armata rossa unita, protagonista della cosiddetta «battaglia» della baita sul monte Asama e di purghe violente che portano alla morte di alcuni membri del gruppo. Lo scontro a fuoco tra i militanti e le forze dell’ordine venne trasmesso in diretta tv e tenne migliaia di persone incollate ai teleschermi.
Il letargo della sinistra e la sua rinascita
Fu così che la New Left perse il supporto che era riuscita ad ottenere da una parte dell’opinione pubblica. Entrò in letargo. Molti attivisti si allontanarono e il movimento perse d’un colpo la sua intensità. Negli anni ottanta, la New Left era praticamente scomparsa dalle università giapponesi. Alcune fazioni di partito rimasero però attive in attività di pseudo-guerriglia, come nel caso degli scontri di Sanrizuka, nei pressi dell’aeroporto internazionale di Narita.
Nello stesso periodo, prendevano gradualmente piede i movimenti pacifisti. Anche il movimento no nuke si allargava. Questi movimenti si legheranno poi alle proteste contro l’invio di militari delle Forze di Autodifesa nella Prima guerra del Golfo dei primi negli anni novanta e nella guerra in Iraq del 2003. Intanto, il movimento di emancipazione femminile degli anni settanta si legava ai movimenti femministi che ancora oggi lottano contro la disparità uomo-donna.
Sempre in quegli anni iniziavano le lotte per i diritti delle minoranze, intese sia dal punto di vista etnico che sociale, come nel caso dei disabili.
Con la caduta del Muro di Berlino nell’89 e dell’Unione Sovietica nel ’91, la lotta tra capitalismo e comunismo sembrava essere arrivata a una conclusione. In Giappone, il capitalismo veniva esaltato: era in corso quella fase economica favorevole che culminerà con la bolla economica. Lo spazio per la sinistra veniva a mancare, ma il cosiddetto «Kinman Nippon» (cioè «Giappone milionario») non era destinato a durare a lungo. La bolla scoppiò e la recessione economica divenne realtà per molti giapponesi.
All’inizio del ventunesimo secolo, la recessione aveva portato problemi di occupazione. Molti giapponesi erano finiti vittime della diffusione dei contratti atipici e dei licenziamenti che facevano seguito alle ristrutturazioni industriali.
Presero così il via iniziative di protesta che coinvolgevano le giovani generazioni e e chiedevano il miglioramento delle condizioni di vita e misure a tutela dell’occupazione. Il fulcro dell’attivismo era il quartiere di Kōenji a Tokyo. Protagoniste di questa fase furono iniziative come Shirouto no ran (tradotto: «la rivolta dell’uomo comune» ndt), un’associazione che gestisce un negozio dell’usato omonimo e organizza originali attività di strada come le «assemblee della pentola» (in giapponese: nabe shūkai)*; oppure come lo Haken-mura**.
Con il ritorno della povertà e della disuguaglianza sociale al centro del dibattito politico, si assisté in quegli anni anche a riletture dell’opera di Karl Marx. Le conseguenze del crack di Lehman Brothers e l’influenza del movimento Occupy Wall Street nato negli Stati Uniti non tardarono a farsi sentire anche in Giappone.
Dal 11 marzo 2011 al 30 agosto 2015
In seguito all’incidente alla centrale nucleare Dai-ichi di Fukushima, seguito a un forte sisma nel Nordest del Giappone, il sentimento antinucleare si è diffuso velocemente.
Migliaia di manifestanti, richiamati da organizzazioni come la Metropolitan Coalition Against Nukes, si sono radunati sotto la Dieta nazionale. Si sono organizzati poi organizzati movimenti contro il razzismo, che hanno portato in piazza la rabbia contro i pregiudizi e le discriminazioni nei confronti delle minoranze e dei più deboli.
Nel 2013 è stato poi il momento delle proteste contro la proposta di legge sui segreti specifici e nel 2015 contro la riforma delle Forze di Autodifesa.
Siamo arrivati così al 30 agosto. Quel giorno è stata l’organizzazione di studenti universitari della Students Emergency Action for Liberal Democracy (SEALDs), che non rientra nell’universo della sinistra, ad animare la protesta. Anche i liceali hanno partecipato alle proteste con entusiasmo.
Sono passati cinquantacinque anni dalle proteste contro il Trattato di mutua cooperazione e sicurezza del ’60; quarantacinque da quelle della Zenkyōtō: i più anziani tra i manifestanti del 30 agosto si ricordano bene quei momenti. Insieme a loro, il 30 agosto, però, c’erano persone di diversi orientamenti politici, e di tutte le età.
In quel momento, nello scenario della Dieta, si sono intravisti chiari i segni di un nuova mobilitazione della società civile.
* Si tratta di performance collettive intorno a un tavolino basso riscaldato (kotatsu) e a una pentola (nabe) in cui vengono cotte verdure o carne. Furono ideate dal fondatore di Shirouto no ran, Hajime Matsumoto, per protestare contro l’aumento delle tasse universitarie e la riqualificazione del campus dell’università Hōsei di Tokyo. Con il passare del tempo son diventate poi assemblee di protesta rispetto a questioni di vario genere: dalla contestazione delle politiche del distretto sulle pattuglie di polizia nelle strade, o alle politiche energetiche nazionali.
** Il villaggio dei lavoratori atipici. Il riferimento è a un’iniziativa che offriva rifugio nel parco di Hibiya, nel centro di Tokyo, a pochi passi dal Palazzo imperiale, a chi aveva perso il lavoro. È rimasto attivo tra la fine del 2008 e maggio 2009 .