La sinistra giapponese tra passato e presente (1 di 2)

In by Gabriele Battaglia

Tra poco più di un mese, si terranno in Giappone le elezioni per la Camera alta della Dieta. Il partito comunista giapponese, per la prima volta nella sua storia, correrà insieme alle altre forze d’opposizione contro il partito liberaldemocratico del primo ministro Shinzo Abe. Negli anni ’60, i comunisti hanno animato le proteste studentesche, insieme ad altre forze della «New Left» giapponese, poi gradualmente scomparse. Ma la scorsa estate, con le proteste contro le nuove leggi di sicurezza, l’attivismo di sinistra è tornato a galla. Questo articolo del magazine Aera ne ripercorre la storia.È il 30 agosto 2015, 13:30 passate. Il viale che porta al cancello principale della Dieta nazionale è affollato. Sta piovendo leggermente quando si alza un grido. Lo slogan «Abe dimettiti» risuona in tutte le direzioni. È iniziato un Presidio contro «le leggi di guerra» e per le dimissioni del governo.

Essere «Comunista rivoluzionario»

Alcuni uomini osservano attentamente la scena tenendosi a distanza. Sono agenti di polizia. Tengono sott’occhio i gruppi della sinistra estrema che partecipano alla manifestazione. «Sinistra estrema» è un’espressione che fa parte del lessico della polizia e si riferisce ai gruppi violenti legati agli ambienti dell’estrema sinistra. Sono quelli che i media chiamano «New Left» o «sinistra radicale».

In effetti, guardando i cancelli della Dieta, sulla sinistra, c’è un gruppo di marxisti-rivoluzionari, appartenenti alla fazione chiamata Kakumaru-ha. Partecipano come gli altri alla manifestazione. Li si riconosce da uno striscione che recita «Azione pacifista dell’Università Waseda».

Dalla parte opposta si intravedono membri della Lega comunista rivoluzionaria, la Chūkaku-ha. Sulla loro bandiera si legge: «Alleanza culturale dell’Università Hōsei». Entrambi i gruppi non fanno mistero di quale sia la propria università di appartenenza. Gli studenti attivi in queste formazioni sono oggi estremamente pochi.

Eppure ancora nell’estate del 2015, davanti alla Dieta nazionale si potevano vedere tracce della cosiddetta «New Left», che qualcuno pensava fosse stata condannata al dimenticatoio della storia.

Dell’atmosfera delle proteste studentesche negli anni Sessanta è rimasto poco. Non si vedono più elmetti e travi di legno o tubi di metallo [l’equipaggiamento dei partecipanti alle manifestazioni studentesche negli anni ’60, ndt], né scontri tra studenti e polizia [in tenuta] antisommossa. Soprattutto, gli studenti che in quegli anni scendevano in piazza sono invecchiati.

Molti di questi — i baby boomer del dopoguerra — dopo la laurea hanno cercato un lavoro normale. Il loro look da attivisti è svanito e, a guardarli ora, sembrano dei normali padri di famiglia come se ne vedono tanti in giro in un giorno festivo.

Chi era uno studente negli anni sessanta e oggi ha superato i sessant’anni d’età fa fatica a credere che la kakumaru-ha e la chūkaku-ha esistano ancora. Ed è probabile che il termine «New Left» non suoni per niente familiare a chi oggi ha meno di quarant’anni.

Negli anni novanta, quando molti under-quaranta erano all’università, l’attivismo studentesco era ormai sparito. I campus universitari erano diventati luoghi tranquilli; al massimo, di tanto in tanto, qualcuno prendeva in mano un cartello e stava in piedi in segno di protesta. Imbattersi in una manifestazione, poi, era estremamente raro.

Ma facciamo un passo indietro: che significano termini come «New Left», «sinistra estrema» o «sinistra radicale»? Di tanto in tanto su Twitter capita di leggere tweet del tipo: «tizio e caio hanno legami con la Lega comunista rivoluzionaria». Eppure c’è da scommettere che quando se ne sente parlare, in molti non sappiano di cosa si tratti.

Un fenomeno globale 

«New Left» è un termine che indica genericamente un movimento di sinistra apparso contemporaneamente in tutto il mondo negli anni Sessanta. Si opponeva ai partiti di sinistra esistenti e aveva nei giovani e negli studenti il suo fulcro. Influenzata dal pensiero di personaggi come Trotckij, Mao Zedong, e Guevara, la «New Left» si sviluppava in parallelo con le controculture dell’epoca.

In Giappone, invece, il termine abbracciava più correnti della sinistra. La prima fu la Lega dei comunisti giapponesi, fondata da alcuni membri fuoriusciti del Partito comunista giapponese. Negli anni sessanta, al tempo della rivolta contro il Trattato di mutua cooperazione e sicurezza con gli Stati Uniti, la Lega organizzò i primi comitati di protesta arrivando anche a fare irruzione nella Dieta nazionale.

Dalla corrente che subì l’influsso del pensiero trockista nacque la Lega dei comunisti rivoluzionari che si divise in seguito per divergenze sulle linee guida dell’azione rivoluzionaria in una fazione «centralista» (Chūkaku-ha) e in una fazione marxista (Kakumaru-ha). Nella New Left giapponese rientrarono poi anche i militanti della Fazione per la Liberazione della Lega dei giovani socialisti, ramo giovanile del Partito socialista giapponese.

Questi gruppi della «New Left» tra la seconda metà degli anni sessanta e la prima metà degli anni settanta furono protagonisti di continui scontri con le forze dell’ordine. Inoltre, insieme al Partito comunista, essi contribuirono in modo indipendente l’uno dall’altro alla fondazione di un’organizzazione di rappresentanza degli studenti universitari sottoposta all’influenza di ciascuna dei partiti e delle singole formazioni politiche: la Zengaku-ren, o Federazione dell’autogoverno studentesco del Giappone.

Oggi le assemblee di autogoverno studentesco hanno perso la loro funzione di luogo di dibattito politico. Tuttavia negli anni sessanta, gli attivisti della «New Left» avevano assunto un ruolo di guida delle associazioni di autogoverno e, per certi versi, erano diventati leader all’interno dei rispettivi atenei.

Anche il Comitato unitario di lotta studentesca (Zenkyōtō) nacque nelle università, e sempre qui organizzò occupazioni e barricate. La principale differenza con la Zengaku-ren consisteva nel fatto che i suoi membri erano studenti “non allineati” e non affiliati ad alcun partito politico. Non mancarono ad ogni modo occasioni di cooperazione tra questi ultimi e i militanti dei partiti.

Continua.