Cina ed elettronica: dal deserto del Gobi a Berlino, il percorso di vita di Mickey Zhang attraverso le trasformazioni delle scena musicale techno in Cina.
“La techno? È come i miei amici più stretti, è il solo strumento che sa dispiegare la mia parte più vera”
Siamo abituati a vedere fotografie di cinesi in fabbriche enormi coperte e affollate di persone, uno dietro l’altro in fila, tutti con lo stesso cappello bianco che producono qualsiasi tipo di oggetto utilizzabile. Ci sono cinesi invece che provengono da luoghi in cui lo spazio è ampio e dilatato, dove la terra gialla e infinita si congiunge con il deserto del Gobi e attorno c’è solo cielo.
Questo è il nord ovest della Cina. Mickey Zhang viene da questa parte remota del paese più popolato al mondo. Il luogo di nascita spesso incide nel nostro essere, per cui è da qui, terra arida e impervia, che nascono sia il macho cinese con giacca di pelle alla guida del sidecar sia chi va sempre dritto per la propria strada senza mai lasciarsi scoraggiare, con quel sano moto dell’ego di chi è sicuro che riuscirà a diventare qualcuno.
Mickey nasce nel Ningxia appena trent’anni fa. Una Cina, quella degli anni Ottanta, in cui tutta la gamma di colori comincia a esprimersi nei vestiti delle persone, nei jeans e nelle musicassette. La Rivoluzione Culturale è finita, e dall’alto le sfere della politica spingono verso lo sviluppo economico. “Credo che sin da piccolo la mia famiglia abbia lasciato un’impronta notevole su me e mio fratello in ambito artistico, l’ambiente di casa era danzereccio, pieno di musica e di vita”.
Mickey cresce in una casa di attori di opera cinese: sia il padre che la madre facevano parte del grande mondo del teatro tradizionale, in cui il canto ed il ritmo accompagnavano le giornate sferzate dal vento freddo e i meno venti gradi invernali riuscivano a passare sicuramente più in fretta. Sin da piccoli Mickey e il fratello Zhangwei (oggi chitarrista dei Buyi, rock band cinese) sono cresciuti così, e in un ambiente del genere è impossibile non ricercarla anche altrove, la musica.
Siamo nell’Ottantanove, quando esplode la rivolta in piazza Tiananmen e molti studenti fuggono all’estero; lui invece, ancora bambino, si trasferisce nella capitale per studiare danza, dopo aver superato il difficile esame di ammissione alla scuola media dipendente dall’Accademia di Danza di Pechino. Ignaro probabilmente di quello che succede a pochi passi dalla sua scuola, Mickey studia danza, si diploma e si tiene stretto la musica. “All’inizio ascoltavo rock e hip hop, poi mi sono trasferito con la compagnia di danza nel sud della Cina. È lì che ho cominciato a lavorare, ma la mia carriera di dj inizia nel 1999-2000 all’Orange di Pechino.
Oggi i dj che stimo maggiormente sono Laurent Garnier, Jeff Millse Richie Hawtin”.
L’Orange è stato il primo club a mettere musica elettronica nella capitale cinese. “Il posto non era né grande né piccolo, la gente molto varia, c’erano i colletti bianchi dell’epoca, quella gente che stava facendo un po’ di soldi e poteva divertirsi e apprezzare qualcosa di diverso, non erano come quelli di adesso, all’epoca il cervello ce l’avevano, c’erano anche stranieri e gente più giovane, ventenni”.
A parlare è Gao Feng, proprietario del 2 Kolegas, locale affollato nei weekend pechinesi di adesso. La techno cinese quindi parte dall’Orange, Mickey si insinua nei pochi spazi liberi, fino a diventare resident dj del locale. Di poche parole e con determinazione, Mickey si mette alla prova, mettendo musica per pochissimi avventori.
Quello che risulta complesso nell’arte del djing è instaurare una relazione con il pubblico, accorgersi di quello che succede oltre i piatti e le macchine, accorgersi degli occhi che cercano un ritmo diverso e i movimenti del corpo delle gente che pretende che tu, dj, li faccia ballare. In quella mediazione che c’è tra se stessi e chi ci sta di fronte, il dj deve essere un attento scrutatore, che trascina dove le persone senza che queste se ne accorgano. E per farlo bene ci vuole sensibilità e esperienza, tanta esperienza.
“Faccio il dj da 15 anni, nei primi cinque principalmente ho fatto il dj fisso nel business delle discoteche su grande scala, con uno stipendio mensile. Nel 2000 ho interrotto con questa vita perché facevo sempre le stesse cose, mettendo la solita musica e ho capito che non era ciò che volevo. In seguito ho iniziato a organizzare alcune attività di musica elettronica con alcuni amici e sono finito a mettere musica in diversi locali fino ad oggi”. Mickey Zhang oggi è diventato uno dei dj e produttori musicali più importanti del panorama techno-dance cinese. Della più che discussa antinomia tra digitale ed analogico afferma: “I vinili per me sono sempre quelli con maggiore sentimento e maggiore forza vitale, la qualità del suono ed il loro temperamento sono insostituibili, quando creo musica uso spesso strumenti analogici”, cosa non da poco per il mondo cinese, che troppo spesso propende per la pratica austera dei software di nuova generazione.
In un altro locale molto rinomato, tra il 2005 e il 2008 Mickey si sente come a casa: è il White Rabbit. Location particolare (un profondo scantinato), pareti e pavimento di cemento non lavorato, grande tanto da potervisi perdere dentro: "L’underground dell’elettronica era lì” racconta Dj Slide, altro resident del locale. “La gente arrivava tardissimo, verso l’una, dopo essere stata ovunque in giro per la città, non tanto per apprezzare quello che era il djing quanto per ritrovarsi in un locale che si dichiarava alternativo. La gente? Persone di tutti i tipi, dai giovani diciottenni fino agli over trenta”.
Indiscussa la presenza di Mickey Zhang, che a testa bassa sui piatti, con le dita tra le manopole delle macchine e del computer, continua nella sua esperienza di vita. Osservatore, partecipa al cambiamento di quello che è e che sarà il panorama dell’elettronica nella capitale cinese. Senza troppe parole sa anche che crescere vuol dire sperimentare e immergersi in flussi sempre nuovi, cercando contatti con quello che viene fuori dalla Cina. Fare elettronica al mondo d’oggi non è troppo difficile, farla bene è tutt’altra storia, ci vuole arte. Internet aiuta, il digitale salva in corner un po’ tutti, ma Mickey sceglie la propria strada e alle serate del White Rabbit sceglie soluzioni sempre più personali.
Unico dj cinese, è ospite al WIRE, edizioni 2008 e 2009 (festival internazionale di musica elettronica che si svolge in Giappone), accanto a figure di fama internazionale come Villalobos, Ellen Alliene Jeff Mills. Organizza inoltre, assieme a Kiko Su e Dio, un progetto per promuovere la cultura dance in Cina: la O2culture. Da qui escono i dance party più importanti che, regolarmente, popolano le serate pechinesi. Lo Yen Party, organizzato da O2culture è diventato il simbolo della movida giovane in Cina: paillettes, cocktails, musica elettronica (glitch, minimal techno, cassa dritta vecchio, ripescaggi drum’n’bass), divertimento.
L’agenzia O2culture ha voluto prescindere dagli spazi pre-definiti e ha preferito crearli o ri-crearli appositamente. Location dal forte impatto visivo: la muraglia cinese nel 2004 e nel 2005, una ex fabbrica di un importante centro artistico della Pechino contemporanea, il 798, nel 2008. Artisti, video maker, creativi e aspiranti tali si radunano lì da tempo, ed è in questo tipo di spazi che Mickey con i suoi colleghi e amici decide di organizzare le sue serate.
Adesso la formula vincente sembra essere questa: party fuori dai locali, in luoghi sempre nuovi, sempre diversi, più liberi, facili da gestire, con gli eventi che si "dissolvono" alla mattina senza lasciare traccia. L’Orange e il White Rabbit hanno chiuso definitivamente i battenti. “A Pechino adesso non ci sono posti per sentire buona techno, o vai al MIX (mega locale di dubbio gusto; ndr) oppure non c’è molto altro; non so perché, lo sviluppo dell’elettronica non segue quello della società cinese” suggerisce Gao Feng, ridendo.
Questo è un altro punto chiave della società contemporanea cinese, perché ogni forma d’arte non si può produrre semplicemente a comando. “C’è bisogno di tecnica, di strumenti, di influenze e di un lento sviluppo”. A tal proposito Mickey Zhang afferma: “è molto difficile elencare tutti i cambiamenti che ha avuto la scena elettronica pechinese, uno di questi è stata la partecipazione dei giovani cinesi, sempre di più; in generale le trasformazioni sono state più lente di quanto pensassi”.
Perciò, motivato da ambizioni personali e professionali, Mickey Zhangdecide di guardare più da vicino quello che c’è oltre ai confini cinesi, spingendosi in uno dei centri di culto dell’elettronica, Berlino. “Nel 2004 ero già venuto a Berlino.
Allora sentii che tra Pechino e Berlino c’erano un sacco di punti in comune, questa è una delle ragioni che mi ha attirato qui. Poi, oggi Berlino va considerata il centro della musica dance, con un ambiente interessante e molto libero; ci sono molte persone con origini diverse, ma con le stesse passioni e lo stesso talento artistico, è una città che artisticamente e musicalmente possiede spirito d’iniziativa e forza creativa. Differenze con Pechino? Credo che sia una questione di natura: a Berlino le persone vivono dentro questo tipo di musica, a Pechino non è affatto così”. Così Mickey, tra progetti personali, produzioni musicali e collaborazioni, continua nella sua evoluzione, che lo porterà nuovamente in Cina a breve.
Per ora lo lasciamo a Berlino con la sua colazione, “che mi preparo da solo: uova con il bacon e spaghetti (cinesi)”.
Links:
www.soundcloud.com/minimalmouse
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