A sole due settimane dalla cerimonia di apertura del 23 luglio delle Olimpiadi di Tokyo, è arrivata la decisione che nessuno avrebbe mai voluto prendere. A causa dell’aumento dei contagi di Covid-19, in alcuni stadi giapponesi dove si disputeranno le gare non ci saranno spettatori. Come riporta l’agenzia stampa Kyodo, oltre a Tokyo, porte chiuse anche per gli stadi di Chiba, Kanagawa e Saitama. Negli impianti fuori dall’area metropolitana di Tokyo, come quelli nelle prefetture di Fukushima e Miyagi, è consentito l’ingresso fino a 10mila spettatori.
DOPO MESI DI INDISCREZIONI e polemiche, il consiglio direttivo, composto dal presidente del Comitato olimpico internazionale Thomas Bach, dalla presidente del Comitato organizzatore Seiko Hashimoto e dalla governatrice di Tokyo Yuriko Koike, assieme alla ministra per lo Sport Tamayo Marukawa, ha espresso l’ultima sentenza nel tentativo di salvare un evento fortemente osteggiato dall’opposizione governativa e dalla popolazione giapponese.
DISPUTARE I GIOCHI olimpici senza pubblico era un’ipotesi che gli organizzatori non hanno mai voluto prendere realmente in considerazione, tanto che in precedenza si era optato per il divieto di ingresso agli ospiti stranieri ed era stato fissato un tetto per il numero degli spettatori in tutti gli stadi, con una presenza massima di 10mila supporter. I funzionari hanno a lungo insistito sul fatto di poter tenere i giochi di Tokyo in totale sicurezza sanitaria, ma si sono dovuti arrendere di fronte all’impennata di casi di coronavirus (solo 900 nella giornata di ieri), di cui il 30% relativi alla variante delta.
Per contenere la diffusione del virus, il governo di Yoshihide Suga si è visto costretto a introdurre lo stato di emergenza fino al 22 agosto nella prefettura di Tokyo, così come in quella di Okinawa, Chiba, Saitama, Kanagawa e Osaka. Il provvedimento, in vigore dal 12 luglio, assesta l’ennesimo colpo all’evento, che è già stato posticipato di un anno a causa della pandemia.
LA DECISIONE era nell’aria da qualche giorno, ma il premier Suga Yoshihide ha atteso fino all’ultimo per allontanare lo spettro delle restrizioni durante le Olimpiadi e Paraolimpiadi. A far da megafono ai timori del governo sono i medici giapponesi, preoccupati di vedere nuovamente le terapie intensive piene.
È la quarta volta che lo stato di emergenza viene imposto nella prefettura di Tokyo, sottoponendo la popolazione a restrizioni e sacrifici anche di carattere economico. Sebbene non si tratti di una misura restrittiva come i lockdown introdotti in diversi paesi durante le prime fasi della pandemia, il provvedimento comporta la chiusura entro le 20 di bar, karaoke e ristoranti, obbligati a non servire e vendere alcolici ai clienti, e il termine entro le 21 di eventi come concerti e convegni. Il divieto di servire bevande alcoliche è considerato dal governo un passaggio fondamentale per limitare i festeggiamenti legati alle gare olimpiche, con l’auspicio che i residenti di Tokyo rimangano a casa a guardare in tv l’evento sportivo.
L’aumento dei contagi ha costretto il governo Suga a un’inversione di marcia, considerata però tardiva dalla popolazione. E l’insoddisfazione è percettibile soprattutto tra gli sponsor giapponesi delle Olimpiadi, frustrati dalle decisioni degli organizzatori e dalle cifre astronomiche versate per le collaborazioni: circa 60 società giapponesi hanno pagato oltre 3 miliardi di dollari per i diritti e altri 200 milioni per estendere i loro contratti dopo il rinvio delle Olimpiadi. E c’è chi opta per cancellazione degli eventi promozionali legati ai giochi. Difficile però cancellare l’evento che avrebbe comportato un costo dai 3 ai 4 miliardi di dollari.
Si punta quindi sulla campagna vaccinale, che in Giappone è partita con lentezza: ogni giorno, vengono somministrate circa un milione di dosi e solo il 15% dei giapponesi è completamente vaccinato. Ma gli organizzatori sperano che l’80% degli atleti abbiano ricevuto due dosi del vaccino. Finora, almeno quattro membri delle squadre olimpiche sono risultati positivi al coronavirus e sono stati messi in quarantena.
Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.