All’artista dissidente Ai Weiwei è stato impedito di presenziare al processo nel quale la sua azienda contesterà la multa subita per evasione fiscale. L’avvocato dell’attivista, Liu Xiaoyuan, è irraggiungibile da martedì, quando sembra abbia incontrato gli agenti per la sicurezza dello Stato. Ai Weiwei è il dissidente più famoso della Cina e proprio per questo anche la principale spina nel fianco per il governo, al quale ha già dato filo da torcere in passato. La sua notorietà, non solo in patria ma anche all’estero, lo ha protetto, e a differenza di altri casi simili il governo non si è potuto spingere troppo in là nella repressione.
Nel 2011 l’artista dissidente è stato però accusato di aver commesso “crimini economici” – ovvero evasione fiscale – e gli è stata comminata un’ammenda da 2,4 milioni di dollari. Prima di questa accusa Ai Weiwei è stato detenuto in una località segreta per quasi tre mesi e sottoposto a interrogatori ogni giorni.
Una volta liberato, Ai Weiwei non si è arreso ed è ricorso in tribunale. Come ha scritto il South China Morning Post, “la corte del distretto di Chaoyang ha accettato lo scorso mese di ascoltare il caso portato avanti dalla compagnia che commercializza il lavoro di Ai, segnando una discontinuità con il passato fatto di rifiuti da parte dei tribunali – controllati a vista dal Partito comunista – di accettare i casi dei dissidenti”.
Per chi lo supporta l’intera storia dei crimini economici sarebbe una montatura. Secondo l’avvocato della compagnia di Ai, Pu Zhiqiang, “questo è sempre stato un caso preparato ad hoc”. Secondo la stampa locale Pu avrebbe detto che “i funzionari non gli hanno mai mostrato alcun documento che contenesse prove dell’evasione e lo scorso luglio hanno tenuto un’udienza a porte chiuse, il che è illegale”.
L’ultima notizia è che le autorità hanno impedito ad Ai Weiwei di partecipare al processo. L’artista ha riferito che la polizia gli avrebbe testualmente detto: “Non ce la farai mai. Non ci provare nemmeno”, senza fornire alcuna spiegazione.
Secondo la BBC, “Ai ha detto su Twitter che la polizia ha fatto a pezzi la macchina fotografica di uno dei suoi impiegati. C’erano anche foto che mostravano le ferite riportate dall’impiegato dopo essere stato pestato dai poliziotti”. Secondo quanto è stato riportato dalla stampa di Hong Kong, il Partito non sarebbe andato per il sottile nel cercare di isolare il processo dalla vista del pubblico.
“Dozzine di auto della polizia hanno impedito ai giornalisti di avvicinarsi al tribunale dicendo che non avevano il permesso di recarsi lì e che se non se ne fossero andati avrebbero ‘disturbato l’ordine pubblico”. Il commento di Ai Weiwei è stato caustico: “Questa è una nazione che può fare qualsiasi cosa, possono avere satelliti che vanno in cielo e sulla luna, ma non possono mai dirti perché lo fanno” e ha aggiunto: “Questo è ridicolo, non è vero? Non c’è conversazione, niente dibattito. Forse nemmeno loro sanno perché. È davvero un Paese misterioso”.
Secondo i media, l’avvocato che si occupa del caso di Ai, Liu Xiaoyuan, “non è stato raggiungibile dopo che gli è stato detto di incontrare gli ufficiali della sicurezza di Stato”. L’uomo non avrebbe risposto alle chiamate sul suo cellulare.
Il South China Morning Post ha ricordato come in passato gli sforzi fatti dalle autorità per reprimere Ai Weiwei non solo si siano rivelati infruttuosi, ma si siano spesso e volentieri trasformati in un boomerang. Quando l’artista è stato accusato di evasione, per esempio, “circa 30mila persone hanno fatto donazioni per aiutare Ai a coprire gli oltre otto milioni di rmb necessari a contestare le accuse”.
* Michele Penna è nato il 27 novembre 1987. Nel 2009 si laurea in Scienze della Comunicazione e delle Relazioni Istituzionali con una tesi sulle riforme economiche nella Cina degli anni ‘80-’90. L’anno seguente si trasferisce a Pechino dove studia lingua cinese e frequenta un master in relazioni internazionali presso l’Università di Pechino. Collabora con Il Caffè Geopolitico, per il quale scrive di politica asiatica.