Sri Lanka: folla arrabbiata e affamata all’assalto dei simboli del potere: presidente in fuga, in fiamme la casa del premier. Entrambi sono costretti a dimettersi. Crisi fuori controllo e paese allo stremo. La protesta popolare finisce con un tuffo nella piscina presidenziale
A guardarlo nei filmati diffusi dalle tv dello Sri Lanka, l’assalto di sabato al palazzo presidenziale è impressionante. Non gli inquietanti e variopinti figuri che assaltarono per Donald Trump il Congresso degli Stati uniti, ma un folla gigantesca – arrabbiata e affamata – che ha sfondato la tiepida resistenza della polizia anti sommossa che, dopo aver sparato in aria e lanciato lacrimogeni, se l’è data a gambe. Scena che si è ripetuta anche davanti ad altri palazzi del potere come il segretariato del ministero della finanze, sede di un sit in di protesta pacifica durato mesi, e la residenza del premier: data ieri alle fiamme.
LA «RIVOLTA DEL PANE», che covava ormai da tempo, puntellata di manifestazioni, sit in, tendopoli, è esplosa in una forma che sembra in parte spontanea, anticipata dagli studenti universitari. Per certo assolutamente popolare e trasversale.
Già nelle prime ore dell’assalto al simbolo del potere si diffonde la notizia che il target numero uno, il presidente Gotabaya Rajapaksa, è scappato. In serata annuncerà le dimissioni per il 13 luglio. Stessa storia anche per il premier Ranil Wikremeshinghe. E mentre la gente che ha invaso la residenza coloniale del presidente si tuffa nella piscina del palazzo, occupa scale e corridoi avvolta nella bandiera nazionale, mentre si assembra anche sotto la casa del premier in fuga,
Ranil getta la spugna per primo. Le decisioni le prendono dopo che una riunione dei vari partiti politici chiede formalmente a presidente e premier di lasciare. La soluzione proposta è che il presidente del parlamento assuma la carica di Capo dello Stato temporaneo secondo quanto dice la Costituzione. Nella notte le manifestazioni sono continuate ma la giornata si è conclusa fortunatamente senza vittime: con decine però di feriti e contusi.
IL SABATO NERO PER I VERTICI del Paese era stato anticipato da un venerdì molto teso in cui era stato annunciato il coprifuoco, levato poi sabato dopo le critiche di parlamentari e avvocati che lo avevano definito illegale.
L’apertura ha così consentito che la folla si assembrasse davanti al palazzo già più volte preso di mira ma senza che fosse stato violato. Molti srilankesi sono arrivati anche da fuori Colombo per protestare contro l’aumento galoppante dei prezzi e la mancanza di benzina e beni di prima necessità che il Paese non è più in grado di comprare.
A metà aprile lo Sri Lanka aveva annunciato uno stop del rimborso del debito estero, sia dei prestiti bilaterali sia di quelli ottenuti dalle istituzioni internazionali. Aveva intanto accettato di trattarne la ristrutturazione col Fondo monetario che dovrebbe versare nelle casse prosciugate del Paese circa 3 miliardi di dollari. Colpito dal Covid, dal crollo del turismo, dall’aumento generale dei prezzi di cibo, fertilizzanti e gasolio lievitati con l’invasione russa dell’Ucraina, il Paese si è ritrovato coperto da debiti insolvibili per circa 50 miliardi di dollari.
LA PROTESTA POPOLARE ha individuato nella famiglia Rajapaksa, Gotabaya l’attuale capo dello Stato e suo fratello Mahinda costretto a dimettersi da premier in maggio, i responsabili di una conduzione famigliare e fallimentare del Paese. Gotabaya era riuscito a restare in sella fino a due giorni fa mentre si tentava la carta di Wikremeshinghe, carta usurata peraltro perché Ranil, seppur non in buoni rapporti col duo famigliare, fa parte di un’élite che ora la gente vuole fuori dalle stanze del potere. Una soluzione potrebbe essere dunque quella di un governo istituzionale che comprenda tutti i partiti, minoranze tamil e musulmane comprese.
Alcuni giorni fa, quando ormai era chiaro che benzina e gasolio stavano finendo, Gotabaya aveva telefonato a Putin per chiedere aiuto (lo aveva già fatto in precedenza) anche perché la Russia è stata in passato uno dei principali fornitori di turisti alla “Lacrima dell’Oceano indiano”. Anche un modo per uscire dalle strette del debito con India e Cina, i principali creditori. E forse puntando sul ruolo del Cremlino in questo momento, che potrebbe approfittare della crisi energetica, dei fertilizzanti e del grano per riconquistare posizioni in Asia. Un cammino già iniziato con l’acquiescenza di India e altri Paesi che ben si è visto al summit di Bali del G20 sotto presidenza indonesiana.
ORA IL NUOVO POSSIBILE GOVERNO di salvezza nazionale dovrà rimboccarsi le maniche: riprendere la trattativa col Fondo monetario, con Delhi, Pechino e Mosca. Con la situazione di caos, blocco delle attività produttive dovuto alla mancanza di petrolio e un’emergenza Covid che non pare affatto finita, sarà ben difficile ritentare la strada del turismo, introito che, dalla fine della guerra coi Tamil, garantiva un flusso costante di valuta pregiata assieme alle esportazione agricole ora ferme. Restano solo le rimesse dei migranti, boccata d’ossigeno insufficiente.
Di Emanuele Giordana
[Pubblicato su il manifesto]