Tsai Ing-wen ha vinto ed è la nuova presidente di Taiwan. Tsai ha ottenuto una vittoria con oltre il 56 per cento dei voti conseguendo un risultato storico. Per la prima volta in un paese dell’universo «sino-parlante» ha trionfato una donna (fino a qualche mese fa anche la sua rivale era una donna, ma poi il Kuomintang ha deciso di puntare su Eric Chu). Evento da segnare nel calendario della storia, anche perché pone fine al recente dominio del Kuomintang, al potere da due legislature caratterizzate da un pesante riavvicinamento a Pechino. I vicini cinesi, che da sempre considerano l’isola una provincia ribelle sulla quale non hanno mai nascosto le mire di riconquista, all’arrivo dei risultato hanno deciso di fare finta di niente. Hanno bloccato il nome della vincitrice (e di Taiwan) dai social network e sui quotidiani on line hanno messo in secondo piano l’evento segnalando la vittoria di Tsai nella corsa «alla leadership di Taiwan», senza usare mai la parola «presidenza».
Sulle prime pagine dei siti cinesi campeggiano altre notizie, come ad esempio il viaggio che il presidente Xi Jinping compierà nei prossimi giorni in Arabia Saudita, Egitto ed Iran. Ma i cinesi sanno bene che la vittoria di Tsai potrebbe costituire un piccolo grattacapo per Pechino, benché la situazione sia complessivamente molto meno allarmistica di quanto «urlato» da alcuni media internazionali.
Tsai, infatti, non può certo essere considerata una verace anti cinese. La sua difesa della sovranità taiwanese, senza essere ammantata di odio contro Pechino, ha consentito di creare quello scarto che ha permesso al partito democratico dell’isola (il Dpp) di ottenere questo straordinario risultato. In passato i toni eccessivamente «verdi» (il colore del Dpp divenuto simbolo delle mire indipendentiste) avevano frenato il percorso elettorale del partito: i taiwanesi vogliono difendere la propria autonomia, ma sanno bene che Pechino è in grado di sollevare l’economia che arranca ad un misero 1 per cento di crescita.
Il Kuomintang dal canto suo ha spinto troppo sulla vicinanza con la Cina, creando malcontento unito ad una situazione economica generale poco rosea, ben sfruttata da Tsai. Lei, 59 anni, giurista, formata alla London School of Economics e protagonista dell’ingresso di Taiwan nel Wto, ha già dimostrato alla Cina di poter essere una controparte ragionevole, con la quale si può dialogare.
È stata Tsai nei suoi passati incarichi di governo, che hanno sancito il suo ingresso in politica, ad aver spinto per ottenere una legge che permetteva di legalizzare gli investimenti dei taiwanesi nella Cina continentale.
Non va dimenticato, inoltre, che alla fine del 2015 il presidente uscente di Taiwan Ma Ying-jeou e il presidente cinese Xi Jinping si erano incontrati nella cornice neutra di Singapore. Un incontro che aveva buttato in avanti lo sguardo di Pechino. Xi aveva infatti lasciato intendere di supportare Ma e il Kuomintang, ma di riconoscere, di fatto, l’esistenza del governo di Taipei, lasciando intendere che uguale sorte sarebbe potuta toccare anche a un eventuale presidente di un altro partito.
È chiaro che Tsai dovrà giocare bene le sue carte e per ora può contare su un fattore sorpresa: nel corso della campagna elettorale è sempre stata piuttosto attenta a non scivolare sull’argomento (promettendo una fiera battaglia in difesa della sovranità), concentrandosi molto più sulle questioni economiche.
Di sicuro Tsai costituirà un’ottima ventata d’aria fresca per quanto riguarda i diritti civili: la neo presidente – in passato – si è infatti espressa a favore dei matrimoni omosessuali, lasciando intendere una grande apertura su certi temi.
A ottobre del 2015 in occasione del Gay Pride di Taiwan aveva rilasciato un video nel quale si dichiarava completamente concorde con le parole d’ordine del movimento Lgtb.
«Per me non si tratta solo di una vittoria elettorale» ha detto Tsai nel suo primo discorso dopo aver ottenuto la certezza del successo «i risultati di oggi mi dicono che la gente vuole vedere un governo più disposto ad ascoltare le persone, un governo che sia più trasparente e responsabile e un governo che sia più capace di condurci oltre le nostri attuali sfide e prendersi cura di quelli che ne hanno bisogno. Mi dicono che la gente si aspetta un governo che possa portare il paese nel futuro e un governo che sia serio nel proteggere la sovranità di questo paese».
Al di là dunque dei rapporti con la Cina, i taiwanesi al governo chiedono due cose in particolar modo: una crescita economica che permetta al paese di riprendersi e una gestione del potere meno opaca di quella del predecessore di Tsai.
«Negli ultimi quattro anni ho viaggiato molto, ho visto la sofferenza della gente e ho sentito la vostra chiamata per un cambiamento», ha detto nel comizio finale. «La politica democratica è politica responsabile. Se qualcuno non sa metterla in pratica, è il momento di cambiare».
[Pubblicato su il manifesto; foto credit: Getty Images]