La principale preoccupazione di molti cinesi nell’epoca dell’esplosione del coronavirus è causata dalla necessità di sapere se nel corso dei giorni precedenti allo scoppio dell’epidemia è capitato di stare a contatto o vicino a qualcuno contagiato dal virus.
Saperlo – nella Cina di oggi – è diventato semplicissimo: le compagnie telefoniche cinesi e alcune applicazioni (ad esempio quelle delle ferrovie statali) hanno approntato dei sistemi attraverso i quali le persone hanno potuto controllare se nel corso dei propri spostamenti in treno o aereo, erano vicini o a contatto con qualcuno che è finito poi contagiato o peggio ancora ammalato e ricoverato in qualche ospedale.
CHINA MOBILE ha comunicato ai cittadini di Pechino che da qualche giorno esiste la possibilità di controllare attraverso il servizio ad hoc i propri spostamenti negli ultimi 30 giorni. Sembra una cosa incredibile ai nostri occhi, uno sfregio alla privacy – la propria e quella di passeggeri di treni e aerei ignari dei controlli sul loro stato di salute – eppure in Cina è risultata una mossa piuttosto positiva – stando ai feedback di questi servizi da parte degli utenti – per rassicurare gli animi.
La potenza delle app cinesi, dedicate allo stretto controllo degli spostamenti della popolazione e accusate spesso di essere nient’altro che un dispositivo securitario nonché punto di partenza di future smart city iper sorvegliate e «sicure», è stata presentata dal governo cinese e dagli operatori come un grande servizio in una situazione emergenziale.
Come ha scritto Reuters, il coronavirus avrebbe fatto emergere «dall’ombra» il sistema di sorveglianza cinese. Più che un’emersione, in realtà, si potrebbe dire che il virus ha consentito un utilizzo ad hoc di strumenti che i cinesi sono abituati a usare o «subire» ogni giorno. Siamo infatti di fronte alla prima emergenza sanitaria nell’epoca dell’intelligenza artificiale e seppure in una situazione drammatica e complicata, ancora una volta, la Cina indica una via. Reuters riporta un altro utilizzo dell’intelligenza artificiale nell’odierna Cina, uno dei tanti esempi possibili: un uomo di Hangzhou – città nel sud del paese – rientrato in casa era stato avvisato dalla polizia: meglio se resti a casa, gli avevano detto.
IL FATTO È che lui era appena tornato da Wenzhou, un luogo considerato altamente contagiato. La targa della sua auto era stata registrata dalle videocamere e successivamente – una volta rientrato a casa – la polizia di Hangzhou lo aveva messo all’erta: a causa del luogo di provenienza sarebbe dovuto stare a casa, misurarsi la febbre e nel caso contattare le autorità sanitarie della città. Dopodiché, annoiato, è uscito di casa: «Questa volta, non è stato contattato solo dalla polizia ma anche dal suo datore di lavoro. L’uomo era stato avvistato vicino al lago di Hangzhou da una telecamera con riconoscimento facciale e le autorità avevano avvisato anche l’azienda»: non stava rispettando le direttive.
NELLA CINA DEL CORONAVIRUS esistono nuove possibilità per le aziende hi-tech: ora come ora, benché non lo confesseranno mai, sono di fronte a un’occasione unica per aumentare la benzina principale delle proprie invenzioni, altri dati, tantissimi.
Scossa dalla paura e dalla preoccupazione, le già deboli resistenze all’invasione della propria privacy, sono state definitivamente seppellite: la società di riconoscimento facciale Megvii ha dichiarato «di aver sviluppato un nuovo modo di individuare e identificare le persone con febbre, grazie al sostegno del ministero dell’industria e della scienza».
Il suo nuovo «sistema di misurazione della temperatura» utilizza i dati del corpo e del viso per identificare le persone ed è già in fase di sperimentazione in un distretto di Pechino. Si tratta di un esempio – anche Baidu, il principale motore di ricerca cinese ha annunciato che il suo Lab di intelligenza artificiale avrebbe realizzato un dispositivo simile – che permette di analizzare le caratteristiche in atto da tempo: aziende private che, supportate dallo Stato, sviluppano nuovi prodotti «intrusivi» (e in questo caso anche utili, si dirà). L’azienda può poi vendere all’estero la sua creazione, perfezionata grazie alla possibilità di accedere a ogni dato; lo Stato ha sotto mano spostamenti e dati per assicurarsi che tutto proceda secondo le proprie direttive.
SUL FRONTE DEL RICONOSCIMENTO facciale non è finita qui: SenseTime, un altro dei fiori all’occhiello del sistema, ha sostenuto di essere in grado di identificare anche le persone che indossano maschere.
Si tratta di un aspetto importante, specie in questo momento: in Cina ormai, oltre allo smartphone, per fare una marea di cose (pagare, prenotare, espletare attività in banca o negli uffici pubblici) serve soprattutto la propria faccia. Solo che con l’utilizzo massiccio delle mascherine la tecnologia ha dato segnali di imperfezione (sottolineati anche ironicamente sui social cinese, da persone che a causa dell’abitudine ormai a portare la mascherina fallivano il riconoscimento per entrare nella propria casa).
LA SOCIETÀ DI TELECAMERE di sorveglianza Zhejiang Dahua di recente ha affermato di «essere in grado di rilevare la febbre con telecamere a infrarossi con una precisione entro 0,3 gradi». Un uso specifico per luoghi affollati come ad esempio un treno. Infatti, in un’intervista sulla Xinhua, Zhu Jiansheng dell’Accademia cinese delle scienze, ha spiegato «come la tecnologia possa aiutare le autorità a trovare su un treno persone che potrebbero essere esposte a un caso confermato o sospetto di coronavirus: otterremo informazioni pertinenti sul passeggero, incluso il numero del treno, e le informazioni sui passeggeri che erano vicini alla persona».
Esistono altre applicazioni dell’Ai cinese in corso: quella più famosa dalle nostre parti è relativa all’utilizzo dei droni per avvisare le persone a indossare le mascherine (è girato molto un video nel quale nella Mongolia interna un’anziana signora riceveva la visita di un drone).
Ci sono poi i robot che si occupano di attività all’interno degli ospedali che metterebbe a repentaglio le persone, come la disinfestazione, la consegna dei pasti o la pulizia nelle aree degli ospedali adibite ai contagiati e agli ammalati di coronavirus. Infine gli assistenti vocali: con l’utilizzo dell’Ai vengono usate per chiedere informazioni a persone a casa, immagazzinare dati e suggerire terapie o ricoveri immediati.
IN 5 MINUTI GLI ASSISTENTI vocali cinesi fanno 200 chiamate sgravando non poco il lavoro degli ospedali. Come ha sottolineato il portale in mandarino Yesky «questo servizio di chiamata robotizzata può aiutare i medici in prima linea a controllare la situazione. Con tecnologie come il riconoscimento vocale, la comprensione semantica, il dialogo uomo-macchina i robot sono in grado di comprendere con precisione i linguaggi umani, ottenere informazioni di base e dare risposte».
Non manca il «lato» della ricerca medica. A questo proposito il sito della Cyberspace Administration of China, in un articolo intitolato «L’intelligenza artificiale e i big data aiutano la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci contro il coronavirus», ha annunciato l’avvio di un piano di «ricerca e sviluppo di farmaci grazie all’intelligenza artificiale e a piattaforme di condivisione di big data», oltre a ogni genere di ricerca e materiale bibliografico sul coronavirus. Su questo tema, però, nonostante gli annunci la comunità scientifica è piuttosto concorde nel sottolineare come i tempi per una cura, per non parlare dei vaccini, non siano proprio dietro l’angolo.
C’è infine l’aspetto legato alle conferenze virtuali e all’e-learning su cui la Cina investe da tempo e che di recente, a causa della chiusura delle scuole e degli uffici, ha visto una rinnovata attenzione e sperimentazione. Per le scuole sono stati utilizzati software già pronti da tempo che consentono di collegare contemporaneamente più alunni, fornendo all’insegnante tutti i dati necessari, compresi quelli registrati dalle telecamere sull’attenzione dimostrata dall’alunno durante la lezione.
Ma tutto questo è già realtà in Cina, al di là dell’attuale situazione di emergenza.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.