La bellezza e l’arte delle secolari grotte buddiste di Mogao rischia di andare perduta nel tempo. Ora, un approccio sempre più digitale permette ad artisti, studiosi e al pubblico in generale di preservare e godere di questo patrimonio artistico. “Dialoghi” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano. Clicca qui per leggere le altre puntate.
Scavate nelle pareti rocciose sopra il fiume Dachuan, le Grotte di Mogao, a sud-est dell’oasi di Dunhuang, nella provincia del Gansu, sono il più grande e il più ricco tesoro d’arte buddista in Cina. Punto di snodo di due importanti rotte commerciali della Via della Seta, Dunhuang sorge al confine con il deserto di Taklamakan. Alla fine del IV secolo, Dunhuang si era trasformata in un vivace crocevia del deserto, situato poco prima – o poco dopo – le tappe più ardue del viaggio sulle vie carovaniere che collegavano la Cina all’Asia Centrale.
I commercianti e gli altri viaggiatori che intraprendevano questo pericoloso cammino si fermavano nell’oasi di Dunhuang, per rifocillarsi prima di una lunga marcia, per pregare per un passaggio sicuro o ringraziare per essere sopravvissuti al viaggio.
Crocevia di merci e di culture provenienti dall’Asia Centrale, Dunhuang è stata quindi un terreno fertile per l’arrivo del Buddismo in Cina. Le prime grotte di Mogao risalgono al 366 d.C., e sono la preziosa testimonianza di un’evoluzione iconografica e artistica proveniente da terre remote. Attualmente vi sono conservate 492 grotte che ospitano circa 45.000 metri quadrati di murales e più di 2.000 sculture dipinte. Per più di 1.000 anni, dal periodo della dinastia Wei del Nord (386-534) fino alla dinastia Yuan guidata dai mongoli (1276-1386), le grotte di Mogao hanno svolto un ruolo decisivo negli scambi artistici tra Cina, Asia centrale e India.
Oggi Mogao rischia di perdere il suo splendore, vista l’estrema vulnerabilità all’erosione della sabbia e ai cambiamenti climatici. Fin dall’inizio degli anni ‘90 gli studiosi si sono posti il problema della preservazione digitale di questo delicato patrimonio artistico. Una figura chiave in questo movimento di conservazione è Fan Jinshi, archeologa e direttrice della Dunhuang Research Academy dal 1998 al 2014. Fan Jinshi ha guidato le prime iniziative per preservare e documentare digitalmente i tesori artistici delle grotte di Mogao. Fin dal suo arrivo alla Dunhuang Research Academy, Fan si è posta il problema della complessa interazione tra il turismo crescente e la conservazione del patrimonio artistico e archeologico del sito. A partire dal 1994, la studiosa ha implementato un archivio digitale, una sorta di “libreria” che consentisse al pubblico internazionale di accedere virtualmente alle grotte. Un’idea a dir poco innovativa per quegli anni, ma che già annunciava l’intenzione di implementare una conservazione virtuale: ancora oggi esperti e studiosi utilizzano questa biblioteca virtuale per “visitare” le grotte a distanza, produrre stampe in alta definizione o scansioni in 3D.
Nel 2016 la Dunhuang Research Academy ha lanciato una piattaforma online con panoramiche 3D in alta definizione di 30 grotte. Mentre nel 2022 sono stati portati a termine i lavori di raccolta di dati digitali su altre 289 grotte. Ad oggi sono state completate le ricostruzioni 3D di 45 sculture dipinte ed è disponibile un tour panoramico online di 162 grotte. I video e i materiali digitali creati fino ad ora non solo servono da supporto al visitatore durante la visita alle grotte di Mogao, ma hanno reso più accessibile questo patrimonio artistico al pubblico mondiale.
Resta comunque problematica la dicotomia tra turismo e preservazione. A tal proposito, sempre nel 2022, la Dunhuang Research Academy si è impegnata a portare le grotte “fuori” da Mogao con una mostra itinerante dal nome “The Trace of Civilization — The Great Art of Dunhuang”. L’esibizione, ospitata congiuntamente dal Museo d’Arte Minsheng di Pechino, ha presentato al pubblico otto riproduzioni di grotte meticolosamente realizzate da generazioni di ricercatori nell’arco di quasi 70 anni. Nonostante la qualità impressionante delle repliche, la mostra è stata accolta dal pubblico con pareri discordanti etichettando le opere esposte come dei semplici falsi, sminuendone il valore e l’importanza.
La svolta digitale sembra riscuotere maggior successo tra il pubblico che desidera conoscere il patrimonio artistico di Dunhuang in modo più interattivo. Nel 2021, Tencent e l’Istituto di ricerca di Dunhuang hanno presentato un nuovo mini-programma WeChat: Traveling in Dunhuang. L’iniziativa, incentrata sulle grotte di Mogao, utilizza suoni e animazioni dinamiche per contestualizzare gli antichi affreschi buddisti all’interno di una delle grotte più famose e suggestive del complesso risalente alla dinastia Tang, la numero 156. Il programma permette agli utenti di godere di un tour immersivo diviso per capitoli per conoscere dettagli e storie della grotta e dei suoi affreschi. In occasione del lancio del mini-programma è stata anche organizzata una raccolta fondi per la Dunhuang Grottoes Conservation Foundation: tutti i partecipanti alla raccolta hanno avuto l’opportunità di vincere uno dei 9.999 NFTs di Dunhuang “Digital Sponsor” in edizione limitata.
Proprio gli NFTs e l’arte digitale sembrano essere l’ultima frontiera di conservazione e trasmissione dell’arte buddista. Negli ultimi anni la cultura tradizionale è stata grande fonte d’ispirazione per i giovani artisti cinesi più innovativi. Song Ting, ad esempio, è un’artista che lavora con l’intelligenza artificiale e gli NFTs cercando ispirazione dall’arte tradizionale buddista. Nella sue serie Supplement, Song Ting studia e riproduce digitalmente gli affreschi conservati all’interno delle grotte di Mogao: inserendo musica elettronica nella scena buddista, o affiancando le composizioni di Beethoven alla rappresentazione delle divinità tradizionali, Song Ting dà una nuova vita ai murales conservati all’interno delle grotte, anche grazie ad un algoritmo che le permette di restaurare digitalmente le figure danneggiate ed erose dal tempo.
La frontiera digitale nella preservazione artistica diventa quindi non soltanto uno strumento per una fruizione più etica del patrimonio archeologico, ma una risorsa che compensa l’irreversibile passare del tempo e che riesce a dare nuova vita al patrimonio culturale.
Fotografa e studiosa di Cina. Dopo la laurea in lingua Cinese all’università Ca’ Foscari di Venezia, Camilla vive in Cina dal 2016 al 2020. Nel 2017 inizia un master in Storia dell’Arte alla China Academy of Art di Hanghzou avvicinandosi alla fotografia. Tra il 2022 e il 2023 frequenta alcuni corsi avanzati di fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze. A Firenze continua a portare avanti progetti fotografici legati alla comunità cinese in Italia e alle problematiche del turismo di massa. Combinando la sua passione per l’arte e la fotografia con lo studio della società contemporanea cinese, Camilla collabora con alcune testate e riviste e cura per China Files una rubrica sull’arte contemporanea asiatica.