Il punto sulla postura di Pechino in Ucraina dopo la pubblicazione del position paper sulla guerra e il documento sulla Global Security Initiative
È difficile chiamarlo “piano di pace” se non contiene nemmeno la parola “guerra”. Il position paper pubblicato nei giorni scorsi dal ministero degli esteri sceglie la definizione di “crisi” ma rappresenta comunque un passo ufficiale della Cina, che propone al mondo la sua visione sul conflitto e sul mondo che dovrà sorgere dopo di esso. Nessun piano concreto per arrivare alla pace, ma una serie di concetti che mettono nero su bianco una visione di mondo in cui gli Usa non dovrebbero più perseguire “egemonia” e in cui tutti i modelli di sviluppo sono legittimi.
Il documento è stato accolto con interesse dai due protagonisti della guerra. «Apprezziamo gli sforzi di Pechino e condividiamo le sue considerazioni», ha commentato il ministero degli esteri russo, che poi forza la lettura del testo, sostenendo che invita Kiev a «riconoscere le nuove realtà territoriali». In realtà, il primo punto del position paper è il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale. Passaggio che consente a Volodymyr Zelensky di dichiarare che l’Ucraina «ha bisogno di lavorare con la Cina» per trovare una soluzione. Vero che il testo non fa distinzioni tra aggressore e aggredito e che viene proposta una cessazione delle ostilità che non condanni Mosca, ma la vera novità degli ultimi giorni è che Pechino ora è disposta a parlare esplicitamente della vicenda. «Il fatto che la Cina abbia iniziato a parlare dell’Ucraina non è male», ha detto Zelensky.
Il secondo dei 12 punti del documento è quello del rispetto delle “legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi”, principio legato nel testo alla propagazione della “mentalità da guerra fredda”. Scelta che chiarisce definitivamente che in questo caso la Cina si riferisce a Mosca, che sarebbe stata in qualche modo “costretta” a violare l’integrità territoriale ucraina dopo che le sue esigenze di sicurezza sono state ignorate da Stati uniti e Nato. Cioè coloro che gettano “benzina sul fuoco”, come spiegato anche in sede Onu in occasione dell’astensione (scelta come sempre anche dall’India) alla risoluzione che chiedeva il ritiro dell’esercito russo.
Ribaditi anche il rifiuto delle sanzioni e il no all’utilizzo di armi nucleari o alla sua minaccia. Un colpo agli Usa e uno alla Russia. Sul nucleare Pechino compie però anche un passo in più, chiedendo la sicurezza delle centrali che sono entrate a più riprese nel conflitto. I punti su export di grano e stabilizzazione delle catene di approvvigionamento sono funzionali a proporsi come garante di stabilità, in primis economica. Tema a cui sono sensibili in molti: di sicuro il Sud globale di cui la Cina prova a ergersi capofila, ma anche l’Europa. Proprio i paesi europei appaiono i principali destinatari del documento, così come dell’intervista ai media cinesi di Wang Yi, lo zar della diplomazia cinese appena rientrato dal grand tour tra Vecchio Continente e Mosca.
La richiesta è quella di svincolarsi dagli Usa e perseguire una politica estera più autonoma. Le ambiguità e il bilancino utilizzati nel position paper rendono però difficile all’Europa evitare lo scetticismo sulle intenzioni cinesi, acuite dalla controffensiva diplomatica americana. Antony Blinken ha ribadito che Washington teme l’invio di armi letali cinesi alla Russia. Ipotesi ventilata anche dal tedesco Der Spiegel, che parla di trattative per la spedizione di droni kamikaze. “Falsità” per Pechino, che anzi sostiene che la pace in Ucraina sia resa impossibile dal continuo invio di armi statunitensi a Kiev.
In prospettiva più ampia la Cina prova a ergersi sui contendenti, mostrandosi come la forza in grado di garantire pace e stabilità. E lo fa presentando il concept paper sulla Global Security Initiative (Gsi), l’antipasto della «proposta di pace» sull’Ucraina presentato nei giorni precedenti. La Gsi è il nuovo progetto «gemello» della Belt and Road, lanciato lo scorso anno da Xi Jinping.
Se la Via della Seta guarda soprattutto al commercio, con la Gsi la Cina si erge a garante della stabilità, soprattutto presso il cosiddetto “Sud globale”. Non a caso diversi paragrafi del testo sono dedicati ad Africa, Sud-Est asiatico, isole del Pacifico e America latina. «I nostri tempi e la nostra storia stanno cambiando come mai prima d’ora e la comunità internazionale si trova ad affrontare molteplici rischi e sfide raramente visti prima», recita l’introduzione del documento.
LE PRINCIPALI MINACCE individuate dalla Cina sono «unilateralismo e protezionismo», di cui da tempo Pechino accusa gli Stati uniti. L’obiettivo della Gsi è «eliminare le radici alla causa dei conflitti internazionali». In che modo? Seguendo un «approccio olistico» in cui va sostenuto un concetto di «sicurezza comune, che rispetti e salvaguardi la sicurezza di ogni paese». Frase più volte usata dall’inizio della guerra e applicata anche ai lanci di missili della Corea del nord.
L’implicito è chiaro: Washington e l’occidente non possono arrogarsi l’esclusiva di una sicurezza «giusta» che non prenda in considerazione la prospettiva degli attori estranei ai canoni di «democrazia liberale». In un altro documento pubblicato dal ministero degli Esteri, che va letto a completamento del precedente, la Cina critica invece «l’egemonismo» che gli Usa continuerebbero a perseguire su diversi fronti: politico, militare, economico, tecnologico e culturale. Una mentalità che, nella prospettiva e retorica cinesi, rappresenta il maggiore rischio alla stabilità globale.
Presentando il documento sulla Gsi, il ministro degli Esteri Qin Gang ha chiarito la visione olistica della sicurezza globale cinese, sottolineando che lo sviluppo della Cina non può prescindere da un ambiente internazionale stabile. Ma che, allo stesso modo, senza la sicurezza della Cina non ci sarà sicurezza globale.
Di Lorenzo Lamperti
[Stralci di diversi articoli pubblicati nei giorni scorsi su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.