La nuda vita è il titolo del secondo romanzo di Chan Koonchung (Il demone della prosperità, Longanesi, 2013). Narra la vita di un ragazzo tibetano che si trasferisce a Pechino per amore e che si ritroverà carceriere nelle black jail. E sulla sua pelle capirà di non essere altro che una vita biologica, “nuda” di fronte al potere sovrano.
Per alcuni è una stanza. Per altri un campo di concentramento. Per alcuni è il proprio cervello, per altri la propria nazione. Per alcuni è la propria famiglia, per altri il mondo. Ovunque ci sono luoghi inumani da cui è (im)possibile uscire. Come nella kafkiana situazione in cui un uomo si trova solo di fronte alle porte custodite dal guardiano della legge. E aspetta. Non esce, non entra. Rimette la sua vita a chi crede abbia più potere e conoscenza di lui. E intanto invecchia. Immobile fino alla fine, incapace di mettere in discussione l’autorità.
Anche in Cina ci sono situazioni così. Ci sono sempre state. In cinquemila anni di storia la cultura confuciana non ha mai permesso al singolo di mettere in discussione l’autorità. Rispetta il marito, il fratello maggiore, il padre, l’amico e l’imperatore. E oggi, allo stesso modo, il Partito. Altrimenti andrà tutto a rotoli. E sarà il caos.
Nella cultura tradizionale cinese l’individuo non conta se non per le sue relazioni codificate. E sopratutto all’individuo non viene neppure in mente di superare il limite, di varcare un confine prestabilito. Almeno fin quando non diventa massa che, una volta raggiunto il punto critico, esplode. Solo poi per stabilizzarsi e costituire un nuovo ordine.
Nel primo e fondamentale libro del taoismo, il Daodejing, è contenuto un detto: “Il cielo e la terra non hanno pietas, usano gli esseri viventi come fossero cani di paglia”. I chugou, o cani di paglia, sono oggetti cerimoniali cinesi. Si vestono e si abbelliscono per esporli sugli altari e, una volta compiuta la cerimonia, si buttano via. Non ci si prende cura di loro per amore, né li si getta via per odio. Semplicemente si usano.
Così come si usano gli uomini ridotti a “nuda vita” nell’accezione di Giorgio Agamben, quelli spogliati della cittadinanza e dunque puniti, non protetti da alcuna legge. Il cane di paglia è forse il concetto orientale più vicino all‘homo sacer del diritto romano: colui che non è sacrificabile ma che chiunque può uccidere senza essere accusato di omicidio.
Così La nuda vita diventa il titolo del secondo romanzo di Chan Koonchung un sessantenne che ben conosce i media e il loro potere. È nato a Shanghai ma ha studiato nella colonia britannica di Hong Kong dove i genitori si sono trasferiti quando lui aveva solo quattro anni. Qui nel 1976 ha fondato e diretto City Magazine, una delle più influenti riviste di lifestyle della città stato.
Nel ’94 si è spostato a Taiwan dove ha lanciato uno dei primi canali satellitari che poi ha venduto alla Sony Entertainment. E, cosa più importante ancora, è stato uno dei primi cinesi d’oltremare a buttarsi nell’industria culturale della Repubblica popolare. Ha fondato siti internet e riviste, ha prodotto serie televisive.
Ormai sono più di dieci anni che vive a Pechino. E forse è proprio l’aver lavorato in tutte e tre le Cine (l’occidentalizzata Hong Kong, la democratica Taiwan e la Pechino comunista) che contribuisce allo sguardo estremamente lucido che ci offre sul sistema politico e sulla società attuale.
Nel suo primo romanzo distopico Il demone della prosperità(Longanesi, 2013) Chan Koonchung aveva esplorato i limiti di una società in cui tutti sono felici. Ma a caro prezzo: l’oblio della storia. L’opera – pubblicata a Hong Kong e Taiwan nel 2009 ma bandita nella Repubblica popolare – descrive una Cina che nel 2011 è sfuggita per un pelo alla crisi globale dell’economia e che nel 2012 è riuscita a impedire alla fazione più estremista del Partito di far deragliare la tranquilla transizione dei poteri.
La Cina che descrive è quella del 2013. Una potenza che domina l’economia globale. Tutti i cinesi, nessuno escluso, consumano e sono felici. Una Cina che si confonde con quella reale. Ora siamo veramente nel 2013 e, se si guarda alla Repubblica popolare da una prospettiva globale, è andata grossomodo così.
La sua nuova e seconda opera è di tutt’altro genere. Ne La nuda vita la voce narrante è quella di Jampa, un ragazzo tibetano che vive nella moderna Lhasa, una città che sempre più assomiglia alle altre megalopoli cinesi: palazzoni e centri commerciali. Come tutti i ragazzi della Cina moderna ama il sesso, le macchine, internet e i videogiochi.
Parla anche cinese, ma non conosce bene la cultura della cosiddetta etnia dominante. Nella Repubblica popolare gli han sono oltre il 90 per cento. Il restante dieci per cento della popolazione è suddiviso in 55 etnie, tibetani compresi. Ognuna di esse ha lingua, costumi e tradizioni diverse.
Jampa per soldi, diventa autista e assistente di una donna han. I suoi amici lo vedono come il suo “piccolo mastino tibetano” ma lui non se ne cura. Anzi, inizierà con lei una relazione prevalentemente fisica. Le scene di sesso hanno valso al libro l’etichetta di “fiction erotico-politica”.
Attraverso l’intrecciarsi dei due corpi nudi Chan Koonchung descrive la complessa relazione che intercorre tra la donna han e il ragazzo tibetano e, in parte, tra il potere sovrano e la nuda vita. Il sesso tra i due mette in luce la dipendenza reciproca, la manipolazione dell’altro, il calcolo, il piacere, la tortura, la dignità e l’umiliazione.
Ma Jampa a un certo punto perderà interesse per questa donna e si innamorerà di sua figlia, Beibei. Per lei, intraprenderà un viaggio fino a Pechino che gli cambierà la vita. Beibei lo raccomanderà per un lavoro di guardia giurata e Jampa si troverà costretto a intercettare i “petizionisti”, quei poveretti che – rifacendosi a un’antica pratica imperiale – dalle più remote aree della Cina intraprendono il viaggio della speranza verso la capitale per presentare le loro rimostranze.
La loro detenzione è illegale, ma sono gli stessi governi locali a pagare bande di giovani prezzolati per impedire a queste genti di trovare sfogo e ragione. Quasi sempre le ingiustizie subite che lamentano sono state inflitte dai funzionari delle loro zone di provenienza e se arrivassero all’orecchio del governo centrale sarebbero loro ad essere puniti e, forse, qualcuno rischierebbe addirittura di perdere il lavoro.
Il compito di Jampa sarà quello di catturare questa povera gente e di rinchiuderla negli hotel alla periferia di Pechino. Un mestiere che esiste veramente nella Cina di oggi, anche se non se ne sa molto. Toruratori e vittime sono quegli avanzi di società che nessuno vuol vedere. La loro semplice esistenza stride e grida vendetta contro i grattacieli delle metropoli e con il “sogno cinese” dell’attuale leadership.
Jampa non se ne renderà conto subito, ma si troverà a essere carceriere dei suoi stessi simili. Uno stato d’eccezione divenuto consuetudine nella Cina moderna. I cosiddetti petizionisti vengono rinchiusi in camere di motel e edifici di vario genere, illegalmente.
La stampa le chiama black jail, prigioni in nero. E il governo ne nega l’esistenza, nonostante siano state documentate da molti. Secondo le organizzazioni internazionali per i diritti umani ce ne sarebbero almeno 2600. Qui la legge che vige nel resto del paese è sospesa e i carcerieri assumono di fatto “pieni poteri”.
Jampa verrà a conoscenza di questo mondo solo una volta preso il lavoro. Inizialmente penserà che sia normale, un compito com un’altro che gli permette di guadagnarsi una vita più che decente. Ma con il passare del tempo sarà sempre più infelice, gli mancherà l’aria e non riuscirà più a distinguere il vero dal falso. E sempre più si sentirà in gabbia, privato della propria libertà da forze che non riesce a identificare.
Sarà Ali, il capo delle guardie giurate, ad aprirgli gli occhi e a impartirgli la terribile lezione finale. “Chiunque può uccidere gente come te senza pagarne le conseguenze e senza essere punito dalla legge. Chi ti credi di essere? Non sei altro che una vita, e la vita umana non vale un centesimo.
Di quelli come te si dice che hanno avuto un incidente. O che si sono suicidati. Nessuno finirà in carcere per te. Quelli come te sono i capri espiatori ideali. Puoi solo aspettare di essere condannato a morte”. E chi è Alì che dispensa queste perle di saggezza? Non è anch’esso “nient’altro che una vita”? Una vita biologica, “nuda” di fronte al potere sovrano.
[Scritto per il manifesto Asia]