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La mossa dell’orso: arriva Xi ma la Cina si riprende i panda

In Cina, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Entra Xi Jinping, escono i panda. Gli Stati uniti si preparano ad accogliere il principale rivale, ma devono lasciar partire gli amati animali, simbolo della diplomazia cinese da oltre un millennio.

Era il 685 quando l’imperatrice Wu Zetian della dinastia Tang regalò una coppia di esemplari all’imperatore giapponese Tenmu. Ieri hanno invece lasciato il suolo americano tre esemplari giganti dello zoo di Washington: Tian Tian e Mei Xiang, arrivati nel 2000, e il piccolo Xiao Qi Ji, nato nel 2020.Sì, perché ogni panda nato all’estero rimane di proprietà cinese. I tre erano destinati da tempo al ritorno a Chengdu, ma la data prevista era inizio dicembre. Il rientro è stato invece anticipato, in un sottile messaggio diplomatico, proprio pochi giorni prima del previsto (anche se ancora non ufficializzato) arrivo a San Francisco del “lupo guerriero” Xi, il 15 novembre, per la sua prima visita negli Stati uniti dopo oltre sei anni. Washington resta senza panda dopo oltre due decenni.

C’È LA TENTAZIONE di ritenerlo un simbolo del deterioramento dei rapporti. Anche perché la Cina ha sempre usato l’invio dei panda per esprimere vicinanza. Nel 1972, Mao Zedong ne spedì due negli Usa dopo la storica visita di Richard Nixon in Cina, che aprì all’avvio dei rapporti diplomatici ufficiali. Negli anni successivi toccò a Francia e Regno unito, dopo l’accordo tra Deng Xiaoping e Margaret Thatcher sulla restituzione di Hong Kong. Nel 2008, durante la presidenza dialogante di Ma Ying-jeou, furono mandati a Taiwan Tuan Tuan e Yuan Yuan. La combinazione dei due nomi, Tuan Yuan, in mandarino significa “riunione”. Messaggio non troppo sottile sull’obiettivo della “riunificazione”. La recente morte di uno dei due ha portato a uno dei rari episodi di dialogo di intrastretto degli ultimi anni, con la visita di una delegazione di esperti continentali allo zoo di Taipei.

ATTRAVERSO GLI ANIMALI il governo cinese può esprimere anche insoddisfazione. Nel 2014 Pechino ha ritardato la consegna di un panda alla Malesia in segno di protesta per la scomparsa del celebre volo MH370, che aveva a bordo numerosi passeggeri cinesi. Tornando agli Usa, solo alcuni mesi fa è tornato in Cina anche Ya Ya, prestato per 20 anni allo zoo di Memphis. Poco prima, il suo “compagno” Le Le è morto mentre si trovava ancora in Tennessee. La vicenda ha scatenato una dura reazione dei netizen nazionalisti, accompagnata da video che suggerivano mancate cure per Ya Ya, in realtà colpita da una perdita parziale di pelo causata da una malattia della pelle. Con gli esemplari rimpatriati ieri, negli Usa restano solo i panda dello zoo di Atlanta, il cui prestito scade però nel 2024. Fin qui non si è parlato di proroghe, anche se a Washington è appena stata approvata una spesa da 1,7 milioni di dollari per rinnovare le strutture di accoglienza, nella speranza di ricevere altri panda.

Di certo, i consolati cinesi negli Usa si sono attivati per “arruolare” cittadini vogliosi di accogliere un “leader di stato” al suo albergo di San Francisco. Per mercoledì prossimo sono stati diramati degli inviti a una cena coi dirigenti delle grandi aziende americane: partecipare costa 40mila dollari. Lo stesso giorno, a margine del summit della Cooperazione economica Asia-Pacifico (Apec) dovrebbe esserci l’attesissimo bilaterale tra Xi e Joe Biden. Un risultato a cui si è lavorato per diversi mesi con una serie di viaggi incrociati. Tra gli ultimi passi, l’invio della delegazione statunitense più ampia di sempre alla fiera dell’Import Expo di Shanghai e l’arrivo negli States di He Lifeng, fedelissimo di Xi appena promosso a capo delle politiche economiche.

NEL MENÙ ANCHE il riavvio del dialogo militare, interrotto da agosto 2022 dopo la visita a Taipei di Nancy Pelosi. Un buon viatico non tanto per un disgelo, quanto a una stabilizzazione del disaccordo. Anche se proprio ieri la portaerei cinese Shandong è transitata sullo Stretto di Taiwan in risposta a recenti manovre americane. E chissà che Xi non decida di promettere l’invio di nuovi panda a Biden: sarebbe un segnale più rilevante di tanti altri, soprattutto nella prospettiva cinese, che si potrebbe provare a sperare in un futuro con un po’ di quiete dopo tante turbolenze.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il manifesto]