È cambiato A Yi, almeno dall’ultimo incontro avvenuto a Pechino anni fa. Ha sempre gli stessi occhi, vispi, attenti e pronti a concentrarsi, su un fisico che non sembra più quello del bad boy alla ricerca della maledizione fondatrice di una carriera. Ora fa lo scrittore a tempo pieno, ha riconquistato una posizione – in primo luogo ai suoi occhi – scaturita da un impegno non privo di sofferenza.
L’incontro avviene a Milano dove A Yi ha presentato il suo libro E adesso? (edizioni Metropoli d’Asia) al BookPride, in attesa che altre sue produzioni siano pubblicate, in Cina e all’estero. A quanto pare, infatti, lo scrittore cinese dopo un periodo personale piuttosto complicato, sembra aver trovato una nuova verve creativa. Sempre all’interno della crime fiction, pur mescolando esperienze personali e fatti realmente accaduti e conosciuti attraverso la sua attività di poliziotto.Nel suo romanzo la storia comincia e finisce, senza alcuna divagazione o temporeggiamento. Procede spedita – come il protagonista – fino alla fine. Come l’ha scritta? È partito dall’inizio o si è ritrovato a ricostruirne i passaggi, muovendosi da un punto preciso nato prima del resto?
Avevo un finale che ritenevo fosse affascinante e quindi ho cominciato a costruirci intorno la storia, attraverso i dettagli precedenti che avrebbero portato a quel genere di conclusione. Avevo tra le mani un giovane molto annoiato che non riusciva a ottenere, in nessun modo, una sua sorta di «pienezza». Il protagonista va a giocare a basket, a biliardo, oppure ai videogiochi ma non raggiunge il suo scopo. Anzi, tutto aumenta il suo senso di frustrazione, così decide di giocare al gatto e il topo. Lui finisce per identificarsi nel topo, nel fuggitivo; la polizia, il resto della società diventano il gatto. Pensa che se la polizia lo rincorre, lui deve scappare e in questo modo può trovare qualcosa da fare. Per questo uccide una persona: per attirare l’attenzione della polizia. Nell’ipotesi in cui i poliziotti non dovessero essere abbastanza forti da prenderlo, decide di uccidere una bella ragazza, una sua compagna di scuola. Una persona bella e innocente. Soltanto grazie all’efferatezza del gesto e alla scelta della vittima, il ragazzo sente che può scatenare un grande disgusto da parte della società, dell’opinione pubblica.
Uccidere una persona di questo genere può creare una vera e propria rabbia sociale, capace di circondare di pressione la ricerca del colpevole da parte della polizia. Per completare il gioco, architetta una serie di scelte, a cominciare da quella della vittima. Poi va a comprare l’arma e ruba per trovare i soldi necessari a compiere la sua azione. Durante la sua fuga, temendo che la polizia non sia abbastanza scatenata nella caccia, ogni volta che riesce a scappare decide di lasciare delle tracce per facilitare la sua cattura. Quello che racconto all’inizio di questa storia, in realtà l’ho scritto alla fine. Perché dopo l’omicidio e l’arresto, nessuno sa perché l’ha fatto. Solo all’ultimo, nell’ultima pagina, c’è una spiegazione. Riassumendo si tratta di noia e voglia di fare un’esperienza di fuga, capace di attirare l’attenzione.
Nel libro sembra essere tutto chiaro fin dall’inizio, si immagina dove si andrà a parare, ma la narrazione crea comunque un senso di attesa. Solo che il ragazzo è insopportabilmente antipatico…
Questo romanzo è ispirato a una storia realmente accaduta. Un ragazzo uccise una compagna di scuola. Allora fu un omicidio feroce e capace di attirare attenzione dei media. L’omicida si scatenò contro la vittima, finendo per metterla dentro una lavatrice, una volta uccisa. Metà della lavatrice si è riempita completamente di sangue. Dopo che è stato arrestato ha incontrato molte persone, poliziotti, giornalisti, psicologi, troupe televisive. Nessuno, però, ha capito il motivo di questo omicidio. Fino al momento dell’esecuzione nessuno sa perché ha commesso quell’assassinio.
Per quanto mi riguarda, ho letto alcuni suoi diari e mi è parsa una persona annoiata. Però, pur avendo avuto accesso ai materiale dell’indagine, non so cosa facesse nella vita quotidiana. Questi suoi vuoti li ho riempiti con i ricordi dei miei periodi di monotonia. Dai 21 ai 30 anni sono stato una persona estremamente annoiata. Faccio un esempio, che ha che fare con le statue. In Occidente, vengono raffigurate anche con gli organi genitali. In Cina le cose vanno diversamente. Un giorno, ero nell’Henan, avevo notato una statua in una piazza. Ero tornato a casa, ci avevo pensato un po’ su. Era il 2002, ero annoiatissimo, non avevo niente da fare; a quel punto ho deciso di uscire e recarmi di nuovo di fronte alla statua, giusto per controllare il particolare sessuale. Si trattava di una scultura greca che rappresentava un uomo molto virile. Sono arrivato, ho osservato bene e mi sono accorto che non aveva l’organo genitale. Solo per spiegare quanto mi annoiassi: ci sono andato in autobus, per perdere più tempo ancora. Oggi non sono più così tediato: la scrittura mi fa sentire pieno, ho finalmente trovato il piacere nella creazione, ma ricordo che a quel tempo camminavo per strada e speravo sempre che accadesse qualcosa. Un incendio, ad esempio, o lo scoppio di un’altra guerra mondiale. Ma non succedeva mai niente. Rispetto a questo protagonista c’è una differenza: io ho vissuto alcune fantasie controllandole dentro al mio cervello. Lui invece esce dallo schema morale e legale riconosciuto e fa una scelta crudele.
Più che la noia, sembra che lei stia descrivendo in realtà una forma di solitudine…
È così. Certo, la noia e la solitudine possono essere sovrapposte. Molte persone nella solitudine possono elaborare una morale profonda sulla vita; altre invece si annoiano e diventano stronze. A me piace la solitudine per un motivo preciso: mi consente di scrivere. E penso dunque che sia una grande libertà: non tutti però possono (o riescono) a maneggiarla questa libertà. Non sono in grado di gestire il tempo a loro disposizione.
Nel suo libro, la famiglia è praticamente assente o è un impedimento. Strano per una società come quella cinese che pone al centro di tutto proprio l’istituzione famigliare…
In Cina sta cambiando il concetto di famiglia a causa (o grazie) a politiche statali, o in conseguenza ai conflitti epocali che hanno caratterizzato il paese negli ultimi decenni. La riforma della legge del figlio unico, dopo trent’anni di politica che voleva un solo figlio per famiglia, cambia tutto. Con la legge del figlio unico, il valore di questo «erede» saliva esponenzialmente facendolo diventare un vero e proprio «piccolo imperatore» riverito e coccolato da tutti. È stato così per molti decenni. Quindi alcuni di questi ragazzi hanno avuto e hanno un atteggiamento arrogante nei confronti degli anziani, esattamente come l’imperatore si comportava in modo arrogante rispetto ai suoi funzionari. Adesso però la legge è stata modificata e, con la possibilità di avere più figli, penso si razionalizzerà anche l’equilibrio all’interno della famiglia. Poi, c’è stato l’arrivo dell’economia di mercato. Il commercio è sempre stato importante in Cina, salvo un periodo in cui i commercianti non erano rispettati. Improvvisamente, tutto è mutato. Oggi chi ha i soldi viene rispettato, chi non li ha è disprezzato. Tale cambiamento ha contrastato la cultura confuciana. Questi due motivi hanno trasformato profondamente l’istituzione della famiglia in Cina.
La lettura dei suoi racconti fa affiorare una certa ossessione per la morte. Attraverso la scrittura vuole fuggirla o normalizzarla?
Ho terrore della morte. Alimenta una sensazione dei limiti che non puoi violare. È la fine di ogni persona. La morte è qualcosa di molto crudele: sei in un posto e improvvisamente qualcuno arriva e ti porta via. Come un attore portato via dal palco da alcuni funzionari. È umiliante e talvolta avviene con la forza. Ripeto: la morte è un’umiliazione. I prigionieri, quando sono condotti al patibolo gridano slogan, urlano contro la morte. Secondo me, vogliono dimostrare una sorta di forza contro questa umiliazione. In questi anni non ho goduto di buona salute, sono stato male e ho sentito la morte avvicinarsi. Ho toccato la sensazione di ascoltarla da vicino. Anche mio padre peggiora di anno in anno.
Ho visto la morte da vicino e naturalmente ne sono ossessionato.
[Pubblicato su il manifesto; nella foto: un’opera di Lv Guangang]
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