La mia India – Di riso e ministri

In by Simone

In Chhattisgarh la produzione e distribuzione di riso è un problema concreto. Ma le istituzioni preferiscono occuparsi di altro. Dalla crociata contro le donne in jeans portata avanti dalla polizia alle curiose idee di criminalità e giustizia del chief minister Singh, ecco le riflessioni di Annie Zaidi.
Che cos’hanno in comune i militanti kashmiri, i panchayat delle caste tradizionali dell’Haryana e la polizia del Chhattisgarh?

No, non una serie assortita di atti di violenza illegali (anche se…chi può dirlo?). Oggi mi riferisco al loro odio verso i jeans. O meglio, verso le donne in jeans. Abbiamo sentito di donne che si sono beccate un proiettile in Kashmir per aver indossato dei jeans. Ed ora apprendiamo che l’Accademia di polizia del Chhattisgarh ha preso di mira le poliziotte coi jeans.

E non ci si ferma ai jeans. Pare che in orario di lavoro non possano nemmeno indossare pantaloni, leggins o qualsiasi altro capo d’abbigliamento occidentale. La cosa buffa è che la maggioranza delle poliziotte, in servizio, sarebbero in effetti obbligate ad indossare i pantaloni. Non se ne vanno a rincorrere ladri (o presunti naxaliti, nello specifico) in sari.

Il rifiuto del tessuto “occidentale”, incidentalmente, è confinato all’aspetto esteriore delle donne. Gli uomini non sono tenuti a dare il proprio piccolo contributo alla preservazione della cultura indiana. Al che mi viene da chiedermi: quei due poliziotti – ora sospesi – cosa indossavano mentre molestavano le insegnanti di Rajgarh? E cosa indossavano i poliziotti che torturavano Soni Sori (attivista per i diritti dei tribali indiani molestata sessualmente in carcere nel 2011, ndt)? Avevano le loro belle uniforme khaki oppure erano in jeans?

La polizia del Chhattisgarh al momento è anche impegnata con altri tipi di problemi. Pare che un giovane di Raipur sia stato malmenato dalla polizia e come risultato abbia perso l’udito. Un tale Anwar Hussain avrebbe ricevuto il trattamento speciale delle forze dell’ordine quando, durante un comizio, ha chiesto una domanda abbastanza lecita all’attuale chief minister Raman Singh. Una domanda sulla produzione di riso.

Magari Raman Singh non è responsabile per le botte della sua polizia. Magari aveva solo chiesto ai poliziotti di portare via il ragazzo che aveva sollevato la questione. Ma non è di certo stata una mossa molto intelligente. Specie dopo essersi speso in un appello accorato: i padri dovrebbero essere perseguibili per legge se i figli commettono un omicidio o uno stupro, rei di aver tramandato un cattivo patrimonio genetico. Chiaramente, le sue posizioni su criminalità e provvedimenti punitivi sono un po’ traballanti.

In ogni caso, è il riso ad essere il nervo scoperto di Raman Singh. Secondo alcune notizie arrivate dal Chhattisgarh, il chief minister avrebbe urlato contro un giornalista che gli aveva fatto una domanda sull’approvvigionamento di riso. Altra mossa poco intelligente. Quando un politico sbraita contro chi gli fa domande, alimenta ogni peggior sospetto. A questo punto inizio a chiedermi seriamente cosa stia succedendo col riso nel problematico stato del Chhattisgarh.

Perché sicuro di problemi ce ne sono. Se Raman Singh avesse davvero intenzione di risolverli, i problemi, prenderebbe con più serietà la questione del riso. Potrebbe iniziare a dare un’occhiata alle lamentele scritte che arrivano dai cittadini, venendo a sapere che gli abitanti del distretto di Surguja non ricevono la loro razione da sei mesi. O dei lavoratori di Bastar, che non vedono un soldo da mesi.

Potrebbe arrivargli all’orecchio che gli abitanti delle foreste preferirebbero non avere delle università dell’agricoltura, quelle che il ministro Sharad Pawar sembra stia promettendo. Pensano di saperne già abbastanza dello loro agricoltura e preferirebbero invece che le foreste non venissero sacrificate all’industria mineraria.

Raman Singh farebbe bene a prepararsi ad una bella dose di critiche per le prossime settimane. Se dobbiamo credere agli attivisti di India Against Corruption, sembra siano impegnati a scavare nella melma dello Stato perché credono che “la corruzione sia alla radice del problema dei maoisti”.

Non so cosa ne pensino i maoisti, ma le persone dei distretti “colpiti” come quello di Dantewada probabilmente non vogliono un’università per i disoccupati, come offerto da Raman Singh. Credo preferiscano prima di tutto non esserlo, disoccupati.

*Annie Zaidi scrive poesie, reportage, racconti e sceneggiature, non necessariamente in quest’ordine. Il suo libro I miei luoghi: a spasso con i banditi ed altre storie vere è stato pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia.

[Articolo originale pubblicato su Daily News and Analysis