Un curioso bene di lusso, prima. Simbolo del proletariato, poi. L’evoluzione del rapporto tra i cinesi e la bicicletta accompagna lo sviluppo economico-sociale della Repubblica popolare da oltre cent’anni e racconta una storia fatta di contatti con l’estero, rapporti di potere e sfide future. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica curata in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano
È il 1866 e in Cina regna la dinastia mancese dei Qing. La prima vera delegazione ufficiale all’estero, guidata dal diplomatico Zhang Deyi, raggiunge l’Europa per osservare da vicino cosa accade nelle città più moderne. A Parigi, racconterà nelle sue memorie, Zhang vede una delle prime biciclette in voga all’epoca: “Una rotonda davanti e una dietro, una grande e una piccola […] su cui sedeva un uomo, la ruota che girava tramite delle corde, mentre i piedi si muovono avanti e indietro”. Un paio di anni dopo emergeranno altre testimonianze che riguardano la bicicletta, ma questa volta a Shanghai, dove sono state importate dagli stranieri che risiedono nelle concessioni internazionali cedute dall’Impero alle potenze occidentali. Alla fine dell’Ottocento, precisamente nel 1892, nel paese giungono due americani, Thomas Allen Jr. e William Sachtleben, protagonisti di un curioso viaggio di oltre 24 mila chilometri che inizia da Londra e finisce proprio a Pechino (e che racconteranno nel libro Across Asia on a Bicycle: The Journey of Two American Students from Constantinople to Peking)
Nel XIX secolo la bicicletta resta un bene costoso e non attira l’attenzione della classe benestante cinese, che preferisce di gran lunga spostarsi con portantine o sui risciò. Ma la sua rapida diffusione interesserà anche la Città proibita: l’ultimo imperatore della Cina, Pu Yi, acquista una ventina dei più svariati modelli prodotti all’estero e trascorre parte della sua gioventù in sella alla bicicletta lungo il dedalo di corridoi del palazzo imperiale, tanto da richiedere la rimozione dei tradizionali “rialzamenti” presenti nei passaggi tra un’ala e l’altra della struttura. Nel frattempo, le prime imprese straniere iniziano ad aprire alcune fabbriche che assemblano biciclette, mentre aumentano le importazioni da Germania, Francia e Regno Unito. Ma è solo negli anni Quaranta del Novecento che si registra la nascita dei primi stabilimenti cinesi per produrre biciclette made in China. La loro diffusione beneficerà di uno slancio con la fine della Guerra civile e la vittoria del Partito comunista cinese.
La bicicletta e il Popolo
Nel 1950 nasce a Tianjin il primo, vero marchio storico 100% cinese: si chiama Feige 飞鸽 (letteralmente: “piccione volante”) e nel giro di poco più di dieci anni arriva a produrre oltre 400 mila biciclette all’anno. Da bene di lusso per stranieri la bici diventa lo status symbol del proletario, simbolo di eguaglianza e prodotto di punta dell’industria cinese dell’epoca. A partire dagli anni Sessanta la bicicletta diventa uno dei “tre beni per il matrimonio” (jiehun san da jian 结婚三大件), assieme all’orologio da polso e la macchina da cucire, che un buon marito è tenuto a portare con sé nella nuova famiglia. Negli anni Settanta la Cina conta l’esercito di ciclisti più grande al mondo: oltre 670 mila cittadini possiedono una bicicletta, e la usano per andare a scuola o a lavoro.
Nel 1986 il monopolio di Feige viene meno con la nascita di secondo marchio di proprietà statale, Hongqi 红旗. Poiché i nuovi modelli prodotti sono di qualità inferiore, si decide presto di fondere le due aziende e canalizzare gli sforzi per produrre biciclette sia per il mercato interno che per l’export. In breve tempo si raggiunge un nuovo record, con 6,6 milioni di pezzi prodotti all’anno. Con la liberalizzazione del mercato degli anni Novanta, la municipalità di Tianjin inizia a rilasciare le prime licenze temporanee per permettere a gruppi di gestione mista di produrre biciclette: sul mercato, quindi, appaiono nuovi modelli e dimensioni, inclusi telai più femminili e moderni. Di conseguenza di registra un abbassamento generale dei prezzi: i modelli più economici possono costare anche 200 yuan, a fronte dei 600 delle bici Feige (che nel 1992 registra la prima perdita di fatturato della sua storia). In quel periodo Pechino inizia a investire nella nascente industria dell’automotive, un settore che crescerà rapidamente con l’ampliamento del ceto medio cinese. Negli ultimi anni, a fronte di una maggiore attenzione da parte del governo per le problematiche ambientali, la bicicletta ha riguadagnato un ruolo importante all’interno della narrazione della civiltà ecologica.
La nascita del bike sharing
Oggi la bicicletta compete con il crescente mercato delle automobili, che con i suoi 26,3 milioni veicoli venduti nel 2021 risulta essere il più grande al mondo. Ma non solo: i motorini elettrici sono diventati un articolo economico e altrettanto competitivo per i cittadini con un potere di spesa inferiore. Il traffico nelle metropoli cinesi sta cambiando, anche se la bicicletta resiste soprattutto in una delle sue evoluzioni più recenti: il bike sharing. Questo innovativo modo di concepire gli spostamenti individuali ha subito in Cina una crescita talmente importante da essere annoverato tra le “quattro nuove grandi invenzioni” (zhongguo xin sida faming 中国新四大发明) della contemporaneità cinese insieme al gaotie 高铁 (i treni ad alta velocità), i pagamenti via smartphone e l’e-commerce.
Il boom del bike sharing in Cina risale al 2017, anno in cui nel mercato compaiono una decina di nuove aziende. In questo clima di forte competizione sopravvivono oggi soprattutto due grandi gruppi, Ofo e Mobike. Di altre aziende rimangono solo i famosi “cimiteri delle biciclette”, depositi dove dalle 40 mila alle 200 mila bici vengono ammassate le une sopra le altre in attesa di essere smaltite. Quello che molti analisti hanno accusato essere un modello insostenibile è stato convertito dalle big tech cinesi in una fonte primaria di dati utili alla profilazione dei consumatori cinesi. È quanto sta accadendo con i due giganti del bike sharing, che oggi attirano gli investimenti rispettivamente di Tencent (Mobike) e Alibaba (Ofo). I dati geospaziali raccolti sono stati anche utili a calcolare la carbon footprint degli utenti cinesi: secondo gli ultimi dati rilasciati da Meituan, nel 2022 chi ha utilizzato le sue biciclette ha evitato l’immissione di 436,500 di tonnellate di CO2 nell’atmosfera.
Verso nuove forme di ciclismo
Ci si chiede spesso perché nell’impero delle biciclette il ciclismo non abbia mai raggiunto il livello di popolarità che beneficia in paesi come Francia e Italia. A contribuire allo scarso successo della bicicletta intesa come attività da perseguire a livello più o meno professionale sarebbero due fattori: la comprovata mancanza di tempo libero da dedicare allo sport e una disponibilità economica insufficiente. C’è infatti una differenza sostanziale tra il costo di un modello di bici adatto agli spostamenti quotidiani e quelle più performanti bici da corsa o mountain bike. Quest’ultimo risulta ancora irragionevole agli occhi dei cittadini cinese, in paragone a sport che richiedono un investimento iniziale di gran lunga inferiore ma sopratutto all’acquisto di beni essenziali.
Nella Repubblica popolare, quindi, la cultura della bicicletta non è andata di pari passo con quella del ciclismo, nonostante gli atleti cinesi abbiano spesso conquistato titoli e medaglie d’oro. Anche le gare di ciclismo più famose al mondo sono raramente proiettate sui principali canali della televisione di stato e lo stesso Tour of Beijing, inaugurato nel 2011 e parte dello UCI World Tour (che comprende il Giro d’Italia e il Tour de France), non è stato più indetto dal 2015.
Infine, le città cinesi sono state progettate per un ciclismo diverso, quello degli spostamenti casa-lavoro. Le ampie corsie dedicate alle due ruote lungo le strade cinesi sono oggi invase da motorini elettrici ed e-bike, mentre le condizioni metereologiche e lo smog rendono poco attraente l’utilizzo della bici per puro svago. Questo non esclude che, laddove possono nascere forme di turismo alternativo, compaiano i primi tentativi di bike tours. Le province con il clima più mite e con i paesaggi più rigogliosi, come lo Yunnan, sono già oggi una meta appetibile per i giovani che cercano un’esperienza di viaggio nuova. L’avventura della biciletta in Cina, quindi, non finisce qui.
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.