“Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica curata in collaborazione tra China Files e Istituto Confucio di Milano. Di pari passo con l’attenzione data al ripristino delle condizioni naturalistiche del fiume Yangtze, Pechino sta investendo in imponenti progetti idroelettrici, funzionali agli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni di anidride carbonica.
Con i suoi 6.400 km, dall’altopiano Qinghai-Tibet fino a Mar Cinese Orientale, il Fiume Yangtze, o fiume Azzurro, è il corso d’acqua più lungo del continente asiatico e il terzo del mondo. Ma dopo decenni di sfruttamento, inquinamento e pesca eccessiva, il Chang Jiang长江 – come viene chiamato in Cina, letteralmente “fiume lungo” – si sta prosciugando. Un rapporto dello scorso anno del WWF ha affermato che quasi la metà delle aree più inquinate dai metalli pesanti in Cina sono all’interno della cintura economica del fiume. E il numero di specie marine è sceso da 161 negli anni Ottanta a 46 nel 2020.
Ma negli ultimi anni, ha affermato in una conferenza stampa il funzionario del ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente Zhang Bo, il paese ha compiuto progressi “di portata storica” per invertire il corso degli eventi e ripristinare le condizioni di uni dei fiumi più importanti del paese. Nel 2016 Xi Jinping aveva dichiarato che bisognava “dare la priorità agli interessi a lungo termine della nazione e al ripristino del fiume Yangtze”, ripetendo poi l’appello nel 2018 e sottolineando la necessità di un equilibrio tra protezione ambientale e sviluppo economico.
Di recente sono state attutate misure concrete, le quali, ha precisato al South China Morning Post Ma Jun, presidente dello Institute of Public and Environmental Affairs (IPE) di Pechino, si presentano come le prime sotto la guida del nuovo concetto di “civilizzazione ecologica” (生态文明shentai wenming). In primo luogo, un divieto di pesca della durata di 10 anni su 332 siti di conservazione lungo lo Yangtze, esteso quest’anno anche agli affluenti chiave e ai laghi principali. In secondo luogo, una legge entrata in vigore a marzo per frenare l’inquinamento e ripristinare l’ecosistema del fiume, la prima normativa a prendere in considerazione un corso d’acqua specifico. Le nuove regole vietano la costruzione di impianti chimici e di bacini di decantazione rispettivamente a meno di un chilometro e a meno di tre chilometri dal fiume, con pene per i violatori fino a 5 milioni di yuan.
Pechino sembra volere affrontare attivamente il cambiamento climatico e rispettare gli ambiziosi obiettivi che Xi Jinping aveva comunicato a settembre 2020 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tra cui il raggiungimento della “neutralità carbonica” – equilibrio tra emissioni e assorbimento – entro il 2060. E per riuscire nell’intento serve potenziare le strutture che utilizzano fonti rinnovabili per produrre energia. Proprio sul fiume Yangtze sorge la diga delle Tre Gole (三峡大坝 Sanxia daba), la centrale idroelettrica più potente al mondo, capace di soddisfare il 3% del fabbisogno energetico del paese. Completata nel 2020 dopo 26 anni di interventi, ma in funzione già dal 2003, la sua importanza sta passando in secondo piano alla luce di nuovi ambiziosi piani. La società Three Gorges Project Corporation si è impegnata negli ultimi anni nella costruzione di sei grandi progetti idroelettrici situati in un’area tra il Sichuan e lo Yunnan, nel tratto superiore dello Yangtze che prende il nome di Jinsha. L’ultimo in ordine temporale è la diga di Baihetan (白鶴灘大壩Baihetan daba), costruita in tempi record e composta da sedici generatori da un gigawatt ciascuno. I media governativi hanno assicurato che in piena attività l’intera struttura di dighe genererà il doppio dell’elettricità della diga delle Tre Gole, e si tratta, ha precisato Xi Jinping, del “progetto principale nel programma di trasmissione di energia ovest-est della Cina”, vale a dire lo schema nazionale per generare elettricità e consegnarla alle regioni ad alta produttività sulla costa orientale, mediante linee di trasmissione di corrente continua ad altissima tensione (UHV).
Nel Quattordicesimo piano quinquennale 2021-2025, tuttavia, è stata menzionata un’altra imponente centrale idroelettrica. L’area interessata è la regione autonoma del Tibet, di estrema importanza per Pechino in quanto produttrice del 30% del totale dei kWh delle risorse idriche cinesi. La stazione da 60 gigawatt sorgerà sulla Grande Ansa dello Yarlung Tsangpo (雅鲁藏布 Yalu zangbu) ed è stata definita da Yan Zhiyong, presidente della società coinvolta nel piano, la Power Construction Corp of China, o PowerChina, “un’opportunità storica per l’industria idroelettrica cinese”, oltre che per l’ambiente, la sicurezza nazionale e la cooperazione internazionale. Secondo Pechino, infatti, il piano si presenta come un’opportunità di collaborazione con l’Asia meridionale, in particolare con l’India e il Bangladesh, dove il fiume prende rispettivamente il nome di Brahmaputra e Jamuna.
In entrambi i paesi la notizia della diga ha scatenato le proteste delle comunità locali, e i governi si dicono preoccupati che la struttura possa tagliare l’approvvigionamento idrico a valle e recare problemi alla produzione agricola delle province nordorientali indiane. Ma il suggerimento dei media cinesi è di fare affidamento sul meccanismo assodato di cooperazione Lancang – Mekong, un modello multilaterale stabilito nel 2016 tra Cambogia, Laos, Myanmar, Vietnam, Thailandia e Cina, dove il Mekong prende il nome di Lancang e dove sono state costruite dalla metà degli anni Ottanta a oggi dieci grandi dighe, che hanno confermato il ruolo determinante di Pechino.
Malgrado la Cina sottolinei quanto il rapporto con i paesi confinanti sia win-win, e presenti i suoi progetti come green, in quanto utilizzatori di energia rinnovabile, emergono nuove polemiche che chiamano in causa l’impatto socio-ambientale di strutture così imponenti. Oltre a inficiare le condizioni geologiche e naturalistiche, le dighe hanno recato non pochi problemi alle comunità locali: i dati ufficiali menzionano il trasferimento di 1,4 milioni di persone per il progetto della diga delle Tre Gole, e tutti i 14 mila abitanti della contea di Medog, dove sorgerà il progetto dello Yarlung Tsangpo, sono a rischio dislocazione.
Di Vittoria Mazzieri
Marchigiana, si è laureata con lode a “l’Orientale” di Napoli con una tesi di storia contemporanea sul caso Jasic. Ha collaborato con Il Manifesto, Valigia Blu e altre testate occupandosi di gig economy, mobilitazione dal basso e attivismo politico. Per China Files cura la rubrica “Gig-ology”, che racconta della precarizzazione del lavoro nel contesto asiatico.