Lo scorso 16 dicembre, la Cina è diventata il terzo paese al mondo dopo Stati Uniti e Russia a raccogliere e riportare sulla Terra materiale lunare. La sonda cinese Chang’e-5 è atterrata in Mongolia Interna con due chili di rocce e altri campioni utili alla ricerca. La missione, la prima del genere dal 1976, suggella oltre cinquant’anni di sperimentazioni spaziali che solo nell’ultimo ventennio hanno visto il gigante asiatico guadagnare terreno dopo una prolungata fase di stallo, prima diventando la terza nazione a inviare un uomo nello spazio nel 2003, poi, esattamente dieci anni più tardi, realizzando il primo soft-landing sulla Luna di una navicella senza equipaggio dal ‘76. Prossimo obiettivo: mettere autonomamente in orbita un modulo spaziale permanente abitato entro il 2022, due anni prima rispetto a quando la Nasa pensa di creare la sua stazione lunare. Le ambizioni spaziali di Pechino, che non si fermano alla Luna (quest’anno la sonda Tiān wèn-1 comincerà a esplorare Marte), entrano sempre più in rotta di collisione con gli interessi di Washington.
La conquista dei cieli non solo è di cruciale importanza per l’avanzamento scientifico dell’umanità ma gioca anche un ruolo di primo piano in ambito militare e nello sviluppo di infrastrutture strategiche, come la rete 5G. L’importanza del settore è tale da avergli valso l’inclusione nel piano “made in China 2025”, con cui Pechino aspira a diventare una superpotenza tecnologica raggiungendo l’autosufficienza in 10 comparti strategici, tra cui proprio l’industria aerospaziale. Sotto il governo Xi Jinping, il concetto di “zi li geng sheng” (autosufficienza) ha assunto rilevanza senza precedenti da quando nel 1945 Mao Zedong ne sottolineò la centralità nella guerra di resistenza contro gli invasori giapponesi e i nazionalisti di Chiang Kai-shek. Oggi gli appelli all’autosufficienza rispondono alla necessità di proteggere l’economia cinese dalle incertezze del mercato internazionale: ovvero svincolare lo sviluppo nazionale dalle ripercussioni del minacciato decoupling tecnologico con gli Stati Uniti. Con la missione Chang’e-5 i sogni di Mao – che nel 1970 approvò il primo progetto spaziale con equipaggio – si sovrappongono alla visione onirica di Xi per una “grande rinascita della nazione cinese”. Il cosiddetto “Chinese Dream”. In segno di omaggio, parte del materiale lunare riportato sulla Terra è stato depositato nel museo commemorativo di Shaoshan, la città natale del Grande Timoniere.
Ma, come ricorda il MacroPolo, think tank del Paulson Institute, lo slogan “zi li geng sheng” non si è mai tradotto in un isolamento completo, nemmeno ai tempi della crisi sino-sovietica che portò al ritiro dalla Cina dei tecnici russi. [SEGUE SU L’ATLANTE]
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.