Il tacito accordo tra Mosca e Pechino – la prima garante di stabilità, la seconda di investimenti – sembra reggere dopo gli eventi di gennaio, che hanno mostrato per la prima volta la necessità (o meglio la volontà) di un intervento russo targato CSTO sul suolo kazako. Qualcosa può ancora andar storto, ma altrove. Dal mini e-book numero 10 di China Files sui rapporti Cina-Russia
Una coppia sempre sul punto di scoppiare. A leggere certe cronache, il binomio russo-cinese non potrà reggere alla prova del tempo, schiacciato dalle sue inevitabili contraddizioni. Del resto, difficilmente si può negare l’artificiosità del legame instaurato da qualche anno tra Mosca e Pechino, che se non fossero state costrette da Washington in tal senso non si sarebbero lanciate in una simile fusione a freddo.
La consapevolezza di quanto sopra, unita a una certa dose di storiche (e motivate) diffidenze probabilmente non renderà mai russi e cinesi dei veri alleati. Eppure esistono dei contesti in cui la strana coppia non solo funziona, ma sembra rodata da più tempo di quanto ne sia realmente occorso nella storia della cooperazione tra i due Paesi. Anche se, nei fatti, ognuno di essi vi muove i propri passi in maniera del tutto autonoma.
Il più significativo di questi contesti è forse il Kazakistan. Tra i pochissimi a cui è toccato in sorte di confinare – e non per brevi tratti – sia con la Russia che con la Cina, il Paese centroasiatico avrebbe potuto sperimentare sulla sua pelle gli effetti di una rivalità (almeno in una certa misura) inevitabile. Non fosse altro che per le moltiplicate capacità cinesi di incidere nel suo tessuto economico, e dunque di influenzarne indirettamente la politica estera in direzione non favorevole a Mosca.
Eppure fino ad ora, in sostanza, non è successo. Il Kazakistan è stato anzi il laboratorio di una divisione informale dei compiti che ha permesso alle due potenze di mantenervi una presenza. Come altrove, si vedano l’Africa e il Medio Oriente, tale divisione ricalca esperienze pregresse e peculiari “competenze” dei due attori in gioco. La Cina, forte delle proprie capacità finanziarie (e d’impresa), apre la strada degli investimenti attraverso vecchie e nuove vie della seta. La Russia si assume invece l’onere di proteggere militarmente l’area. E vi si adopera, oltre che con la conoscenza diretta dei luoghi (da ex padrona di casa), con l’esperienza accumulata in anni di missioni a cui ha più o meno formalmente partecipato, nell’area post sovietica e non solo.
Fin qui, la teoria. Nella pratica, la Russia non aveva mai dovuto (potuto?) sperimentare i suoi mezzi militari non solo in Kazakistan, ma in tutta l’Asia centrale – se si escludono esercitazioni e movimenti minori – dal 1991 in poi. Ovvero dall’indipendenza acquisita dagli “-stan” e dalle altre repubbliche ex sovietiche. Almeno fino a un mese fa. A inizio 2022, com’è noto, una serie di proteste di inedita gravità si è abbattuta sul Kazakistan. Il malcontento, causato dal pesante rincaro dei prezzi energetici, si è rivolto ben presto verso l’élite del Paese, puntandone in modo abbastanza esplicito al sovvertimento. PER CONTINUARE A LEGGERE OTTIENI IL MINI EBOOK NUMERO 10 DI CHINA FILES SUI RAPPORTI TRA CINA E RUSSIA
Di Pietro Figuera