La diplomazia sino-vaticana al lavoro nei giorni del Congresso. Casualità o una scelta dall’alto valore simbolico? Intervista di Maria Novella Rossi a Gianni Valente, direttore agenzia vaticana Fides
“Il cuore dell’accordo certamente ha a che fare anche con il consolidamento di un buon dialogo istituzionale e culturale, ma riguarda principalmente i beni essenziali per la vita quotidiana della Chiesa in Cina”. Così il cardinale Parolin annuncia il rinnovo dell’accordo sulle nomine dei vescovi stretto nel 2018 tra santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, prorogato già nel 2020 e ora per altri due anni fino a 2024.
Sono ancora 20 i vescovi clandestini nella Repubblica Popolare Cinese e su questi il Vaticano dovrà lavorare caso per caso , così come sono ancora molte le aree di sofferenza per i cattolici in Cina man mano che il rinnovo dell’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi appena annunciato andrà avanti nelle trattative. La proroga di questo grande passo in avanti avvenuto nel 2018, quando Cina e Vaticano raggiunsero una prima intesa provvisoria sulla nomina dei vescovi scelti in accordo con il papa, e dunque con la chiesa di Roma , è comunque un successo, sebbene il confronto tra le due diplomazie sia lento e faticoso. Trattative segrete che partono da lontano: il Vaticano e la Cina non hanno rapporti diplomatici da quando Mao prese il potere e il nunzio Antonio Riberi fu costretto ad abbandonare il paese due anni più tardi nel 1951. Da allora la vita dei cattolici nella Repubblica Popolare è stata a dir poco difficile, soprattutto negli anni della Rivoluzione Culturale quando si raggiunse il picco della persecuzione nei confronti di una serie di simboli considerati borghesi e reazionari, a maggior ragione nei confronti delle confessioni religiose straniere , a cominciare dalla sia pur esigua comunità dei cattolici. Con l’avvento di Deng Xiaoping al potere e l’apertura all’Occidente la pressione sui cattolici si è allentata e le comunità cattoliche ricostituite , ma il cammino con alti e bassi , continua a procedere con lentezza.
Ma nonostante tutto oggi i confini tra chiesa cattolica ufficiale cinese , quella Patriottica controllata dal Partito, e quella clandestina o sotterranea, che fa riferimento al Papa, sono sempre più sfumati e le due realtà confluiscono l’una nell’altra man mano che le cose cominciano a cambiare sull’onda dei nuovi accordi tra Santa Sede e Repubblica Popolare. Secondo i dati di Asia News del Consiglio dei Vescovi Cinesi legato al governo, in Cina ci sono 98 diocesi, 4.202 chiese e altri 2.238 siti attivi con 66 vescovi.
Ma per far luce su come procedono queste faticose trattative tra Vaticano e Repubblica Popolare Cinese e soprattutto sul significato dell’azione del papa nel quadro geopolitico mondiale abbiamo intervistato Gianni Valente, direttore dell’agenzia vaticana Fides
Che significato ha e che cosa comporta la proroga di questo accordo nei rapporti tra Cina e Vaticano?
Dalla firma dell’accordo nel 2018 in Cina non si sono più verificate ordinazioni episcopali illegittime, quelle celebrate senza il consenso del papa. Nello stesso lasso di tempo, sei vescovi considerati clandestini , cioè consacrati in passato dalla chiesa di Roma ma senza l’approvazione della chiesa patriottica cinese, hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento pubblico del loro ruolo anche da parte delle autorità politiche di Pechino. Restano ancora 20 vescovi clandestini, per lo più anziani, una questione spinosa di cui il Vaticano dovrà occuparsi caso per caso. Detto questo il rinnovo dell’accordo, è innanzitutto il segno che il processo iniziato tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese va avanti. Va avanti chiaramente ancora su un punto specifico circoscritto che è quello della nomina e scelta dei vescovi cattolici cinesi. L’accordo procede nel senso che non ci sono stati nel frattempo incidenti di percorso tali da portare al suo fallimento, non ci sono state mosse unilaterali che l’avrebbero fatto fallire. Per di più è sempre stato detto che questo accordo era un punto di partenza e non un punto di arrivo ma che comunque affrontava un nodo nevralgico della nomina dei vescovi cinesi fatte dalla chiesa patriottica senza il consenso del papa e questo aveva creato delle lacerazioni nella comunità cattolica cinese. Ad ogni modo si è sempre detto anche che questo accordo veniva fatto fuori da ogni trionfalismo sapendo bene che ci sono tanti problemi da risolvere ma confidando nel fatto che piano piano nella logica dei piccoli passi si sarebbero potute affrontare molte questioni insolute. Negli ultimi due anni il Covid ha creato ulteriori problemi, gli incontri sono stati più rari e questo ha rallentato le trattative
Che riflessi può avere l’azione del papa e della diplomazia vaticana nel quadro geopolitico mondiale , ora che i paesi atlantisti si sono schierati compatti contro la Cina?
La posizione di papa Francesco con le sue continue dichiarazioni di voler andare in Cina e incontrare il presidente Xi Jinping, con le sue continue manifestazioni di simpatia nei confronti del popolo cinese ha naturalmente un riflesso geopolitico perché è appunto il segno che, come ha sottolineato lei nella sua domanda, in questo momento le forze atlantiste sembrano quasi avere come orizzonte comune un atteggiamento di preoccupazione se non di ostilità nei confronti della Cina. In questo senso papa Francesco ponendosi nel solco di una tradizione che risale almeno all’ultimo secolo, alla lettera apostolica Maximum illud di Benedetto XV del 30 novembre 1919, rende evidente che il cattolicesimo non può essere considerato il correlato religioso dell’Occidente nel rapporto con questi mondi non occidentali , che poi è qualcosa che corrisponde alla natura più intima del cattolicesimo: il cattolicesimo non è il riverbero di un assetto di civiltà. Tutta la storia del cattolicesimo pur avendo un ruolo fondamentale nell’emergere della società occidentale, ha comunque dimostrato in virtù della sua natura universale e del fatto che la promessa di salvezza del vangelo è rivolta a tutti gli uomini, questa capacità di adattamento anche in situazioni in cui la struttura politica, la mentalità comune e anche gli orizzonti culturali delle popolazioni non sono elementi state plasmati dal cattolicesimo, come avviene anche adesso in tanti paesi dell’Asia. Pensiamo al Medio Oriente e alla lunga storia delle Chiese apostoliche in paesi che sono stati invece plasmati dal Corano e dall’Islam. Tutto questo è in gioco nei rapporti con la Cina, e questa è la scommessa di dimostrare che il cattolicesimo può vivere anche in contesti politici lontani dal modello occidentale
E in effetti l’accordo rinnovato oggi che ha come orizzonte quello di favorire il dialogo tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, chiaramente avviene in un contesto geopolitico che sembra parlare un linguaggio assolutamente contrario, in un momento di opposizione e di scontro tra Oriente e Occidente e quindi in questo senso la scelta di papa Francesco è significativa e in qualche modo balza agli occhi. Bisogna precisare che la prospettiva di Bergoglio non si può considerare una svolta in sé perché anche i suoi predecessori avevano abbracciato questo percorso, a cominciare da Giovanni Paolo II e poi da papa Benedetto XVI con la famosa lettera ai cattolici cinesi del 2007. Tutto questo era partito nella fase storica dopo la Rivoluzione Culturale, che era stato il momento più duro di persecuzione anche per i cattolici cinesi, e poi con Deng Xiaoping quando c’era stata l’apertura della Cina all’Occidente le comunità si erano aperte, le diocesi si erano ricostituite, la vita ecclesiale era ripartita; davanti a questa rifioritura tutti i papi da allora in poi hanno visto una possibilità di dialogo con la Cina, anche secondo l’intuizione della diplomazia vaticana e la percezione che si è fatta sempre più nitida che è inutile nel contesto politico cinese avere un atteggiamento di contrasto ideologico nei confronti di un potere strutturato e che ha una sua legittimità internazionale. Nella lettera del 2007 di Benedetto XVI è scritto esplicitamente che la Santa Sede, la Chiesa Cattolica, non ha come sua missione specifica quella di cambiare i regimi.
Qual è la situazione sul campo dei cattolici cinesi? In che misura esiste ancora la chiesa clandestina? Ci sono ancora molti arresti?
La Cina è grande quindi la situazione varia anche in base ai luoghi e alla lungimiranza delle autorità locali. Ci sono naturalmente dei punti di sofferenza in cui le autorità locali fanno una pressione indebita sulle comunità cattoliche però io non condivido la rappresentazione dello scenario cinese come una persecuzione sistematica delle comunità cattoliche. E’ chiaro che la struttura politica è quella, il potere è strutturato con un rigido sistema di controllo sociale e questo vale per tutti i cittadini cinesi, ma c’è un vissuto reale ecclesiale nelle parrocchie, nella diocesi nelle cattedrali, un vissuto di carità di opere che sfugge totalmente al mainstream mediatico che all’interno di forti difficoltà e ingerenze va avanti. Negare che ci sia questa realtà è sbagliato e dal punto di vista degli osservatori è una forma di travisamento della realtà
Quanto alla clandestinità è chiaro che si è creata questa lacerazione tra comunità cattoliche in aree in cui si agisce in ottemperanza ai dettami politici del governo cinese e tra aree che invece si sottraggono al .controllo del Partito. Però la questione adesso continua ad essere soprattutto che ci sono dei vescovi clandestini per i quali la clandestinità consiste in qualche modo nel fatto che non vengono riconosciuti dal governo cinese e quindi hanno degli ostacoli a esercitare il loro ministero episcopale; dunque ci sono delle comunità che ancora vengono definite clandestine, è vero, ma la clandestinità non consiste in una vita nelle catacombe. Anche perché lo stato cinese con il suo potente apparato di controllo sociale sa benissimo quali sono queste comunità sulle quali sicuramente c’è ancora molta pressione, di braccio di ferro: ad esempio la richiesta da parte del governo che queste comunità si registrino ufficialmente presso le autorità civili magari sottoscrivendo dei formulari che per alcuni di questi cattolici clandestini sono motivo di conflitto con la propria coscienza. Ma il nodo più consistente come dicevamo riguarda i vescovi clandestini, che sono meno di 20, molto anziani, casi irrisolti per i quali dovrà esserci una trattativa caso per caso . Un tema che è nell’orizzonte principale dell’accordo, ma per quanto riguarda i vescovi ordinati in Cina dopo l’accordo tutti ora sono in comunione con la chiesa di Roma
E’ chiaro che dopo anni di lacerazione ci sono delle ferite che saranno lunghe da rimarginare, come coloro che operavano in osservanza delle norme del partito e quindi erano visti come deboli o traditori o quelli invece fedeli al Papa, bollati a loro volta come traditori della patria. Insomma lacerazioni profonde che devono essere lentamente sanate e per le quali questo accordo ha gettato le basi
E’ casuale secondo lei che l’annuncio del prolungamento dell’accordo venga dato dal Vaticano proprio quando si svolge il XX Congresso del PCC , che tra l’altro dovrebbe riconfermare con un inedito terzo mandato Xi Jinping? O è una precisa scelta diplomatica?
Si certo è chiaro che c’è un valore simbolico in questa coincidenza dell’annuncio del rinnovo dell’accordo e il Congresso del PCC con la conferma di Xi Jinping. Questa è un po’ una scommessa del futuro: questo accordo e anche questo approccio dialogante della Santa Sede avviene nella fase in cui le dinamiche del potere cinese hanno raggiunto il culmine dei processi di accentramento. Vedremo cosa succederà: la scommessa è capire se, come accennavo prima, all’interno delle condizioni date con una struttura di potere che si basa su un forte controllo, la vita ecclesiale della comunità cattolica nei suoi tratti elementari può continuare. Io dico che questo non è impossibile a priori : quello che è successo nel passato con fasi di persecuzione violenta è stato vissuto anche da altre fasce della popolazione cinese ad esempio durante la Rivoluzione Culturale in cui hanno sofferto tanti se non tutti i cittadini cinesi; poi chiaramente le lacerazioni che hanno continuato successivamente a lacerare e a far soffrire la Chiesa sono state l’eccesso di controllo e le ingerenze su questioni nevralgiche come appunto la nomina dei vescovi, però poi sono riprese le celebrazioni delle messe e la somministrazione dei sacramenti…ecco appunto questa è la scommessa del futuro, proprio sul fatto che il cattolicesimo può vivere in contesti diversi; non ci sono delle condizioni di carattere ideologico, strutturale o di configurazione politica che in qualche modo debbano essere considerate delle condizioni a priori senza le quali la Chiesa non può vivere. Ecco, questo è quello che sta succedendo in Cina e quindi in questo senso è interessante verificare quello che succederà nel futuro perché sebbene la comunità cattolica in Cina sia piccola confrontata alla vastità del paese e alla popolazione, comunque è una comunità significativa perché se andrà avanti in questo senso la Chiesa cattolica dimostrerà di poter vivere in condizioni ambientali diverse se non opposte.
Infine vorrei anche osservare su questo che le posizioni di papa Francesco non sono una sorta di cerchiobottismo, appunto non bisogna far arrabbiare l’imperatore d’Occidente e tanto meno quello d’Oriente, no, in qualche modo in questo approccio emerge proprio la natura stessa del cattolicesimo quindi la sua attitudine a cercare di essere presente anche in contesti diversi e poi soprattutto di non identificare il cattolicesimo con alcune forme di strutturazione sociale e politica delle diverse civiltà.
La prudenza, il linguaggio, alcune azioni ad alto valore simbolico. Io ho sempre colto molte similitudini tra la diplomazia vaticana e quella del Partito Comunista. A proposito del Congresso del PCC molti giornalisti ma anche qualche studioso lo ha definito Conclave il Congresso, lei cosa ne pensa?
La diplomazia vaticana ha una sua apertura universale che dipende dal fatto che non ha interessi geopolitici specifici da difendere , ha dei suoi interessi si, cioè custodire e aiutare le comunità cattoliche in tutto il mondo , ma non avendo un esercito , non avendo interessi economici, paradossalmente ha maggior spazio di manovra e forse certe modalità di lungo corso della diplomazia vaticana come appunto la pazienza, l’attitudine al negoziato, il cercare sempre le soluzioni politiche, il non umiliare, rifuggire le dinamiche per cui nei conflitti anche politici e geopolitici c’è sempre l’umiliazione dello sconfitto, ecco tutto questo mette la diplomazia vaticana in una posizione privilegiata nella sua proiezione geopolitica che le consente in qualche modo di offrire soluzioni super partes, non essendo un’entità geopolitica. In questo mondo così confuso, diviso, pericolante come quello che stiamo vivendo, la Santa Sede può diventare paradossalmente un interlocutore interessante anche per le forze che ora sono in conflitto, pensiamo alla Cina e l’Occidente , o la Russia: di questi tempi papa Francesco viene messo continuamente sotto torchio da ambienti che esibiscono una presunta equidistanza e che sono critici nei suoi confronti. Ma lui sta semplicemente esercitando quello che è l’approccio classico della diplomazia vaticana, per cui nelle situazioni di scontro si tratta , si cerca di comprendere le ragioni di tutti, di disinnescare i conflitti privilegiando sempre la via diplomatica , la via della trattativa e quindi si , in questo senso, ci sono delle similitudini con il modo di procedere della diplomazia governativa cinese, tenendo presente che ovviamente la diplomazia vaticana agisce su input cultural, spirituali e fuori dall’’ideologia politica e dunque diversi rispetto a quelli dell’ apparato politico cinese.
Di Maria Novella Rossi
*Maria Novella Rossi, sinologa e giornalista RAI tg2, redazione esteri. Laureata in Lingua e Cultura Cinese, Dottore di Ricerca su “Gesuiti in Cina”, è stata in Cina la prima volta con una borsa di studio del Ministero degli Esteri dal 1984 al 1986; quindi è tornata molte volte in Cina per studio e per lavoro; è autrice di servizi e reportage sulla vita e la cultura in Cina trasmessi da Tg2 Dossier e da Rai Storia. Autrice anche di reportage sulle comunità cinesi in Italia. Corrispondente temporanea nella sede di Pechino per le testate RAI in sostituzione di Claudio Pagliara, attualmente continua a occuparsi di esteri con particolare attenzione alla Cina e all’Asia.