In Indonesia si vota sia per eleggere il nuovo presidente, sia per le elezioni parlamentari e locali. La corsa a tre per diventare capo di stato è guidata dal ministro della Difesa, Prabowo Subianto, che potrebbe vincere già al primo turno. A sostenerlo c’è il presidente uscente Joko “Jokowi” Widodo, che ha rotto con il suo partito e vuole costruirsi una dinastia politica
Il 14 febbraio circa 205 milioni di persone saranno chiamate a votare per eleggere il proprio presidente, il parlamento nazionale e le assemblee locali in meno di mezza giornata. In Italia saranno le sette del mattino del giorno di San Valentino quando in Indonesia le urne, aperte solo otto ore prima, chiuderanno per dare il via ai conteggi. In poche ore si potrebbe già conoscere l’esito delle elezioni e forse il successore del presidente uscente Joko Widodo (“Jokowi”), che a ottobre lascerà la carica dopo dieci anni al potere: il limite dei due mandati non gli ha permesso di cercare la rielezione anche nel 2024.
Quello dell’Indonesia, paese da quasi 280 milioni di abitanti distribuiti in oltre 17mila isole, è un grande esperimento democratico. Un esperimento che finora ha funzionato. Dalla fine dell’era Suharto, con le riforme democratiche del 1998, il paese ha tenuto con successo quattro elezioni dirette del presidente, quella del 14 febbraio sarà la quinta. I candidati al ruolo di capo di stato sono tre: Prabowo Subianto, attuale ministro della Difesa, Ganjar Pranowo e Anies Baswedan. Secondo i regolamenti elettorali, per essere eletto a presidente un candidato deve ottenere più del 50% dei voti a livello nazionale e almeno il 20% nella metà delle 38 province indonesiane. Se nessuno dei tre aspiranti raggiungerà questo risultato, i due più votati andranno al ballottaggio, che in quel caso si terrà a giugno.
L’ipotesi dello spareggio è stata a lungo data per scontata, ma negli ultimi mesi Prabowo ha iniziato a guadagnare un largo vantaggio sui due sfidanti e da qualche giorno diversi sondaggi lo danno oltre il 50% delle preferenze. Pur considerando un certo margine d’errore, la sua ascesa è notevole ed è per tutti gli osservatori legata a un fattore, o meglio, a un uomo. Il suo ex rivale, che lo ha battuto due volte alle presidenziali (2014 e 2019) e che ora sta cercando di costruire la propria dinastia politica: Joko Widodo.
La dinastia Jokowi
Jokowi è da tempo in rotta con i vertici del suo partito, il Partito Democratico Indonesiano di Lotta (PDI-P) guidato da Megawati Sukarnoputri, figlia del primo presidente indonesiano Sukarno. Fin dal 2019, secondo diversi analisti, il capo di stato avrebbe fatto pressioni dietro le quinte per emendare la costituzione in modo da permettergli di candidarsi a un terzo mandato, senza però ricevere l’appoggio del PDI-P. Jokowi ha sempre smentito questa possibilità ma, da quando è diventato chiaro che il limite dei due mandati non sarebbe stato rimosso, diversi membri della sua famiglia hanno iniziato a insediarsi in ruoli politici o cariche pubbliche di rilievo. Per i critici, si tratta di un tentativo del presidente per continuare a esercitare la propria influenza sulla politica indonesiana anche una volta che avrà lasciato il potere.
Dopo aver perso la battaglia interna al partito per nominare un candidato alla presidenza a lui congeniale (la scelta del PDI-P è ricaduta di Ganjar Pranowo), Jokowi si è costruito una via alternativa per rivestire il ruolo da kingmaker grazie al suo primogenito, il trentaseienne Gibran Rakabuming Raka, sindaco di Surakarta (Solo) dal 2021. Gibran è oggi il candidato vicepresidente di Prabowo pur non avendo 40 anni, cioè il requisito minimo di età necessario per correre. Ciò è stato reso possibile da una sentenza della corte costituzionale, che a ottobre del 2023 ha abbassato il limite a 35 anni per chiunque avesse già ricoperto cariche elettive. Il presidente della corte era Anwar Usman, cognato di Jokowi, poi giudicato colpevole di aver violato il codice etico e rimosso dal ruolo (restando però parte della corte: di fatto ha ricevuto una punizione molto lieve).
Pur non essendosi mai schierato apertamente, neanche a favore di quello che è il candidato del suo partito (Ganjar), già tutti avevano capito che Prabowo fosse il “prescelto” di Jokowi. La nomina di Gibran a suo vice lo ha solo reso evidente. Da quel momento il ministro della Difesa, invitato dal presidente a entrare nel governo proprio come segno di pacificazione dopo gli scontri elettorali del 2014 e 2019, ha iniziato ad accumulare sempre più vantaggio nei sondaggi, anche nelle storiche roccaforti del PDI-P, come Giava Centrale. «Sta passando l’idea che ci sia bisogno di continuità, è che quella continuità sia rappresentata non tanto da Prabowo, ma da Gibran» ha detto a China Files Guido Creta, esperto di Indonesia dell’Università Orientale di Napoli. «In maniera sottile, nel corso degli anni Jokowi è stato capace di crearsi un elettorato prettamente suo, al di là dei partiti, in particolare tra i giovani. Nella loro mente anche a queste elezioni voteranno per Jokowi, non per Prabowo», ha continuato Creta.
Secondo i dati di dicembre, il tasso di popolarità di Jokowi si attesta intorno al 76%. L’enorme consenso di cui gode il presidente ha costretto anche gli altri due candidati, Ganjar e Anies, a fare promesse non troppo distanti da quelle che sono state le principali politiche di Jokowi in questi dieci anni al governo. I toni morbidi dell’ultimo dibattito presidenziale del 4 febbraio hanno reso evidente il paradosso, secondo Creta: «Come al solito la classe dirigente indonesiana si mostra molto più compatta di quanto voglia apparire. Non c’è un vero scontro tra i candidati, e questo probabilmente è perché si stanno giocando altre partite dietro le quinte. Non mi sorprenderebbe vedere Ganjar o Anies ministri in un governo Prabowo».
Va anche considerato che il voto parlamentare potrebbe essere slegato da quello per il presidente, molto più condizionato dalle personalità dei candidati. Per ora il PDI-P resta la prima forza politica nei sondaggi, seguito da vicino dal Gerindra di Prabowo e dalla coalizione di tre partiti che sostiene Anies.
Le critiche e i golput
Le manovre dinastiche di Jokowi non hanno smosso granché il suo livello di approvazione, anche se negli ultimi giorni il capo di stato ha dovuto ritrattare una sua precedente dichiarazione nella quale rivendicava il suo diritto, da presidente, di schierarsi a favore di un candidato. Ma il leader del paese non si è limitato a supportare (sempre senza mai dirlo esplicitamente) la candidatura di Prabowo e di suo figlio.
Diversi esponenti della società civile e della classe politica lo accusano di aver usato le istituzioni statali per ostacolare la campagna elettorale di Ganjar e Anies, per esempio impedendo lo svolgimento di alcuni comizi programmati, e di aver promulgato tutta una serie di sussidi proprio negli ultimi mesi per mantenere alto il consenso attorno alla sua figura. E quindi attorno a chi è stato designato a coglierne l’eredità. Un’inchiesta pubblicata su Youtube e non verificata, chiamata “Dirty Vote”, sostiene che Jokowi abbia indirizzato parte delle risorse del welfare statale verso la campagna di Prabowo e Gibran, che si sono difesi parlando di “diffamazione”.
«Rispetto a cinque anni fa si è risvegliato un sentimento più critico nei confronti del presidente», secondo Creta, «si tratta soprattutto del movimento studentesco e di quello operaio, che si stanno già muovendo per fare qualcosa. Sono quella parte di società che si è mobilitata nel ’98 e che non è stata assorbita dalla politica. Se all’inizio potevano apprezzare Jokowi, adesso sono completamente delusi, disillusi e hanno paura anche di un ritorno forte dei militari nella vita politica».
Nelle ultime settimane sono state organizzate diverse proteste guidate da varie associazioni, soprattutto studentesche, oltre che petizioni contro Jokowi. C’è chi ha chiesto le sue dimissioni, o l’impeachment. Si tratta di movimenti minoritari, ma comunque significativi. «Molti di loro sono golput, e potrebbero anche non essere così pochi a queste elezioni», ha detto Creta. Golput è il diminutivo di “golongan putih”, cioè “gruppo bianco”, coloro che votano scheda bianca.
I temi del voto
Molti accademici e studiosi stanno iniziando a preoccuparsi per il futuro della democrazia indonesiana. Una delle questioni riguarda anche lo stesso Prabowo, ex genero di Suharto ed ex generale delle forze speciali che si ritiene sia stato diretto responsabile non solo delle sparizioni di diversi studenti durante le proteste del 1998, ma anche del massacro di centinaia di persone a Timor Est nel 1983, all’epoca sotto occupazione dell’Indonesia. Nonostante esistano diverse prove a suo carico, Prabowo ha sempre negato tutte le accuse. In ogni caso, grazie anche a varie operazioni simpatia e alla sua capacità di reinvestarsi come una figura attraente per i giovani (il 52% dei votanti è under 40), i potenziali crimini dell’ex generale difficilmente si riveleranno essere un serio ostacolo alla sua corsa.
«I temi fondamentali per gli elettori sono il lavoro, gli stipendi, il welfare. E tutti e tre i candidati si muovono sempre sulla scia di Jokowi, che qualcosa ha fatto», ha detto Creta. Molta della popolarità del presidente viene proprio da come ha gestito l’economia. «La questione dei diritti umani o dei diritti civili non conta così tanto, per quanto ad esempio i giovani siano attenti alle questioni LGBTQ+ più di quanto sembri». Centrale sarà invece la transizione energetica, tra fonti rinnovabili e bioetanolo prodotto con l’olio di palma. Anies ne ha fatto un po’ un suo marchio populista, sostenendo di volere la transizione solo se sarà sostenibile anche per le fasce più povere della popolazione.
In campagna elettorale c’è poi stato poco spazio per la politica estera. Negli ultimi anni Jokowi ha tentato di rafforzare il peso diplomatico dell’Indonesia, in parte riuscendoci, cosa che proverà a continuare a fare anche il suo successore. Si è comunque parlato di sostegno alla Palestina, questione su cui tutti e tre i candidati sono concordi (l’Indonesia non ha relazioni diplomatiche con Israele). Gli equilibri nella gestione dell’elettorato musulmano più radicale – che si ritiene essere maggiormente vicino ad Anies – potrebbero essere un fattore, ma è possibile che non peseranno troppo sull’esito del voto.
Anche su nickel e olio di palma, entrambe risorse centrali per l’economia indonesiana, si seguiranno probabilmente le impronte di Jokowi, che ha sviluppato l’industria per la lavorazione interna del nickel e protetto il settore agricolo. Mentre il progetto di costruzione della nuova capitale Nusantara nel Borneo è stato osteggiato, seppur senza troppa convinzione, solo da Anies. «La sensazione è che la classe dirigente indonesiana sia compattissima, e che probabilmente si faccia anche i conti prima», ha concluso Creta.
A cura di Francesco Mattogno