La morte di Kim Jong-il è un evento spartiacque. Come dopo la morte di Mao, nessuno sa cosa succederà. Ma osservate le immagini in tv: i coreani che piangono il loro leader sono vestiti in maniera differente. I ricordi e le opinioni di Rose Luqiu, la prima giornalista cinese a lavorare su un fronte di guerra.
Kim Jong-il è morto. Il mondo intero ha visto la tv coreana e la sofferenza inconsolabile dell’intero paese. Per molti giovani cinesi è qualcosa di inconcepibile. Tanta disperazione per la morte di un capo di stato ha qualcosa di incredibile.
Ma se foste mai andati in Corea del Nord, non vi sembrerebbe così strano. Io ricordo la guida del museo di Pyongyang. Quando ci raccontava le gesta eroiche dei Kim, padre e figlio, si commuoveva, gli occhi pieni di lacrime sincere. Tra me e quei due non c’era nessuna relazione diretta, per questo rimasi colpita dalle lacrime della guida di fronte a sconosciuti che non potevano capire quei sentimenti. Mi sentii in imbarazzo, non sapevo come reagire, con quale espressione. Semplicemente evitai il suo sguardo.
Non riesco a ridere di quella donna, come non posso deridere la conduttrice televisiva [che ha dato la notizia]; le sue parole, il tono con cui dava la triste notizia, la sua espressione e le sue lacrime. Me lo ricordo bene. Alle elementari anch’io ho usato quel tono metallico negli spettacoli [che si organizzavano] e [anch’io] ho fatto gesti standardizzati quando esprimevo il mio ardente amore per il Partito e per la Nazione.
Nel 2009 sono andata in Corea del Nord, a Pyongyang. Gruppi di artisti cinesi e nordcoreani avevano organizzato uno spettacolo in nome dell’amicizia tra i due paesi. Il tono della presentatrice coreana, il loro spettacolo e le loro canzoni erano troppo piatte e troppo naturali. Proprio come quelle delle nostre feste degli anni Ottanta che da tempo erano passate di moda: balletti, cori, assoli.
Mettendo da parte l’apparenza esteriore della recita, gli attori coreani sembravano comunque essere più puri, mentre il programma cinese in atto sul palco era ben diverso: vestiti scintillanti e sexy, luci; curve messe in risalto. Alla fine ho capito perché quel giovane diplomatico nord-coreano mi disse che, ai suoi occhi, la Cina aveva già abbandonato la strada del socialismo.
[…]
Nel 2009, dall’aeroporto al centro della città, ci diede il benvenuto un lunghissimo e solenne corteo sui entrambi i lati della strada. Anche io avevo partecipato a cose del genere, da piccola.
Con un fazzoletto rosso al collo e dei fiori di carta in mano, mi muovevo in sintonia con gli altri, facendo la ola. Ci coloravamo perfino le gote con un po’ di rosso. Di fronte a quella scena a Pyongyang, rimasi come assente. Mi ricordavo di noi, in quell’epoca, il cuore pieno di gioia.
Vedo ancora quelle facce fuori dal finestrino, alcune emozionate, alcune inespressive. Provo tristezza: anch’io vengo da un passato simile e ho capito che quella vita, seppur vera, non è affatto buona.
Non ci ho ripensato per tanto tempo, né ho più riflettuto su come avessi capito che la vita dovrebbe avere una forma diversa e delle alternative. Ero convinta di essere stata solo fortunata a vivere un’epoca migliore.
A ripensarci oggi, l’arrivo delle riforme e delle alternative è stato possibile grazie al lavoro di innumerevoli miei predecessori che, in questa società, hanno preso coscienza ben prima di me e hanno permesso a me e agli altri ignari, di salire sul treno del futuro.
In molti si preoccupano di come sarà la Corea del Nord senza Kim Jong-il, di come sarà il futuro. Proprio come quel 9 settembre del 1976, quando tutto il mondo si chiedeva come sarebbe stata la Cina del giorno dopo.
La Cina di allora e la Corea del Nord di oggi sono uguali: la gente da fuori non sa cosa sta succedendo all’interno dei confini di un paese blindato. Dopo quell’anno, la Cina si è aperta alle riforme. Forse questo succederà anche in Corea del Nord.
Da straniera, non so davvero cosa succederà: il potere di determinare il destino del paese è nelle mani del popolo coreano. Anche ipotizzando che i nordcoreani non abbiano ancora la consapevolezza necessaria a perseguire le riforme, credo che prima o poi succederà. È solo questione di tempo.
Nelle immagini passate in tv ho osservato le giovani donne nordcoreane che piangevano in terra, ho visto anche i loro piumini di diverse foggie e colori. Questo è molto diverso dalla Pyongyang di due anni fa.
Improvvisamente mi è venuta in mente la Cina e le lente riforme cominciate proprio da quella giacchetta color blu mare. È da lì che la gente ha cominciato a fare le proprie scelte.
Mi è anche tornato in mente di quella trattoria di huoguo (hot pot, marmitta mongola, ndr) a fianco del ristorante Gaoli e delle giovani ragazze che cantavano con noi le canzoni pop cinesi. All’inizio del 2009, solo seimila coreani avevano un cellulare, oggi gli utenti sono più di un milione.
Cambierà, proprio come cambiano i dittatori che, prima o poi, muoiono. Il cambiamento arriva. Più o meno velocemente.
[Questo post è stato tradotto da Tania di Muzio. La versione completa di introduzione e un’approfondita biografia dell’autrice sono disponibili su Caratteri Cinesi]* Rose Luqiu, classe ’69, è direttore edotoriale della Phoenix Tv. Si occupa principalmente di esteri. Nel 2001 è stata inviata in Afganistan, prima giornalista cinese a lavorare su un fronte di guerra. Di lì la sua carriera è esplosa. Nel 2005 ha aperto un blog che oggi conta 38milioni di visitatori. [Foto credits: qilianmin.blog.163.com]