energetica

La coperta corta della sicurezza energetica

In Economia, Politica e Società, Sociale e Ambiente by Sabrina Moles

Il dilemma energetico di Taiwan è comune a molti paesi al mondo, ma oggi assume una particolare urgenza davanti alle tensioni nel Pacifico. Un estratto dal nostro ultimo e-book dedicato a Taiwan

L’energia a Taipei è qualcosa di serio. D’altronde, le sfide della contemporaneità si accentuano proprio negli arcipelaghi, dove l’accesso alle risorse energetiche non è garantito dai collegamenti via terra e le fonti interne non sono in grado di soddisfare la domanda nazionale. Nonostante le ambizioni sulle rinnovabili del governo guidato dal Democratic progressive party (Dpp), le fonti fossili e il nucleare continuano a primeggiare nel mix energetico. E la coperta della sicurezza energetica fatica a coprire tutti i punti deboli.

Tutto nasce con il carbone, elemento chiave del boom economico di Taiwan, e che ha fatto ascendere Taipei al pantheon delle quattro “tigri asiatiche” insieme a Singapore, Corea del Sud e Hong Kong. Dal distretto di Zhongzheng, sede dei principali uffici governativi taiwanesi, sono partite diverse iniziative (tra cui un referendum nel 2018) per eliminarlo gradualmente dal mix energetico. In effetti, si tratta della principale causa di inquinamento atmosferico: oltre il 50% del totale delle emissioni climalteranti. Ma la domanda energetica è quasi triplicata negli ultimi trent’anni, e così anche il consumo di carbone. Oggi  Taiwan è il quinto importatore di carbone al mondo, tanto da rappresentare una valida alternativa alla Cina, per esempio, per gli esportatori australiani, sempre più limitati nelle transazioni con Pechino.

Il carbone non è l’unica fonte fossile a legare le mani ai politici taiwanesi. Il petrolio ha tuttora un ruolo preponderante, tanto nella produzione di energia elettrica quanto nel consumo dei suoi derivati. Taiwan guida le classifiche asiatiche per capacità di raffinazione del petrolio, che poi viene rimesso sul mercato e apporta all’economia ben 9,7 miliardi di dollari ogni anno. La raffineria di Mailiao è la settima tra le maggiori produttrici asiatiche di petrolio raffinato, oggi il terzo prodotto più esportato da Taipei dopo i circuiti integrati e le componenti meccaniche. L’acquisto di petrolio grezzo, invece, si aggira sui 20,5 miliardi di dollari e dipende all’86% da fornitori mediorientali, in particolare dagli Emirati Arabi. Una relazione che rischia di incrinarsi, visto che il Golfo Persico si trova diviso tra le simpatie di Pechino e una sempre più sbiadita relazione con Washington. Il passaggio delle petroliere nelle acque rivendicate dalla Cina rappresenta un’ulteriore sfida nel panorama della sicurezza energetica taiwanese, oltre che quella di Giappone, Corea del Sud, Filippine, Singapore, Stati Uniti e Indonesia. PER CONTINUARE A LEGGERE SCOPRI COME OTTENERE L’EBOOK