Dopo la legge sul controllo degli algoritmi arriva il controllo dei deep fake. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica curata in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio di Milano.
Verrà un deep fake e non avrà i tuoi occhi. Il governo cinese ha emesso nuovi provvedimenti per regolamentare la diffusione dei cosiddetti deep fake, i video creati con programmi di intelligenza artificiale in grado di ricreare in modo estremamente realistico voce e sembianze estrapolate da altri video. Niente più video politici utilizzati in chiave satirica. Niente dichiarazioni d’amore di celebrities mai avvenute. Nel controllo del flusso di informazioni web entrano ufficialmente anche i video creati con l’IA, che dovranno essere esplicitati tramite disclaimer o direttamente censurati nel caso ledano gli “interessi nazionali” delineati dal Partito comunista cinese.
La normativa è entrata in vigore il 10 gennaio ed è la prima del suo genere ad essere direttamente indirizzata al fenomeno dei deep fake. A livello europeo il tema è solamente accennato all’interno dell’Artificial Intelligence Act (AI Act), approvato lo scorso 6 dicembre dal Consiglio d’Europa. La regolamentazione cinese entra invece nel merito delle linee guida che i providers di servizi di manipolazione audio e video devono seguire, con specifiche su sanzioni e con l’introduzione legale della protezione dei diritti di privacy degli utenti.
Al centro del regolamento, la privacy dell’utente. I netizen avranno infatti diritto di contestare l’utilizzo della propria immagine per video di deepfake condivisi online. Ai providers è invece richiesto di registrare i propri servizi e sottoporre regolarmente i propri codici e dati a revisioni da parte dello Stato. Sempre secondo la normativa, i gestori delle app di deep fake devono indicare chiaramente la presenza di un video alterato classificandolo come “modificato” e non originale. Vietati in toto invece i contenuti “non approvati” dagli enti governativi e quelli considerati illegittimi per “diffusione di false informazioni”.
A supervisionare il corretto comportamento dei providers è la Cyberspace Administration of China, l’ente regolatore della sfera online in Cina, lo stesso che nell’ultimo mese ha indotto una “campagna di pulizia del web” per mantenere decoro e sentimenti positivi online durante il periodo del Capodanno lunare. Tra i contenuti censurabili per creare un “cyberspazio armonioso” e promuovere uno sviluppo “sano” dell’industria digitale sono inclusi gli articoli di gossip sul mondo dello spettacolo, i contenuti di influencer che ostentano ricchezza, ma anche video di proteste e critica sociale, considerati come una “parte oscura della società” secondo le direttive della Cac.
La diffusione di deep fake è un tema controverso anche al di fuori dei confini della Repubblica Popolare Cinese. Le questioni legate alla privacy degli utenti e all’utilizzo malevolo di questo tipo di tecnologia hanno dato del filo da torcere all’etica digitale di tutto il mondo. Ma per Pechino il tema della manipolazione dell’informazione è particolarmente sensibile e controllare le tecnologie che regolano il flusso di informazioni online è da tempo prerogativa del governo.
Ad essere vietate non saranno infatti tutte le forme di deep fake, ma solamente quelle che contengono “informazioni illegali o dannose” o che “si oppongono agli interessi nazionali”. Una formulazione tipica della legislazione cinese, che senza specificare cosa conti come “dannoso” rimarca invece l’inderogabile supervisione del governo sulle nuove tecnologie (specie se fanno uso di intelligenza artificiale e macinano dati).
La nuova normativa sui video manipolati entra così a fare parte dell’arsenale normativo di Pechino a protezione del digitale che già includeva la legge sulla sicurezza dati (Dsl), la legge sulla privacy (Pipl) e la normativa sugli algoritmi. L’obiettivo è ancora una volta duplice: da una parte vengono protetti gli interessi degli utenti salvaguardandone la privacy, dall’altra si riafferma l’intenzione del Partito comunista cinese di supervisionare i contenuti diffusi online.
Giornalista praticante, laureata in Chinese Studies alla Leiden University. Scrive per il FattoQuotidiano.it, Fanpage e Il Manifesto. Si occupa di nazionalismo popolare e cyber governance si interessa anche di cinema e identità culturale. Nel 2017 è stata assistente alla ricerca per il progetto “Chinamen: un secolo di cinesi a Milano”. Dopo aver trascorso gli ultimi tre anni tra Repubblica Popolare Cinese e Paesi Bassi, ora scrive di Cina e cura per China Files la rubrica “Weibo Leaks: storie dal web cinese”.