Cinque cose in breve sul lago Lugu:
– si trova a 2690 metri sopra il livello del mare e ricopre una superficie di 58 km² con una profondità media di 90 metri;
– la parte sud-ovest appartiene alla provincia dello Yunnan, la parte a nord-est rientra nei territori del Sichuan;
– la minoranza etnica che vive nella zona attorno al lago si chiama Mosuo, unica minoranza matriarcale;
– secondo la classificazione ufficiale della Repubblica Popolare Cinese, i Mosuo sono un sottogruppo dei Naxi, ma avendo sviluppato lingua e usi diversi, loro stessi si considerano una minoranza autonoma;
– il lago, come le montagna della Dea Gemu, la foresta e tutta la natura che li circonda, sono considerati luoghi sacri.
Per organizzare il viaggio da Lijiang al lago Lugu basta informarsi con il proprietario del B&B dove si alloggia e lui stesso penserà al noleggio pulmino e ad avvisare un amico che faccia da autista. Il lago si trova a cinque ore di autobus da Lijiang ma tra strade sterrate, doppi sensi che sembrano senso unico, strettoie, dirupi, frane e Shifu che guida talmente veloce [e male] prendendo le curve a 210km/h, quelle sei ore sembrano una vita intera. Il lago si trova a 2.690 metri sopra il livello del mare, uno scorcio che sembra a tratti un dipinto. Uno specchio immobile, fisso tra il verde di alte montagne. Il consiglio è quello di noleggiare una macchina e circumnavigarlo per godere della vista sul lago da ogni angolazione. Tra le soste per qualche scatto, un pit stop per riposino dell’autista e una chiacchierata e un tè con le zie, servono all’incirca sette ore per completare il giro. Il periodo migliore per visitarlo dicono sia da marzo a maggio, una stagione in cui non dovrebbe piovere troppo e si possa godere a pieno del cielo azzurro e dell’aria fresca. In realtà la pioggia non è un problema perché il lago copre due regioni, Sichuan e Yunnan. Quando da una parte piove, dall’altro lato c’è il sole. È così che si ha sempre una vista spettacolare da qualsiasi punto si guardi. Il lago Lugu ha una profondità media di 90 metri e l’acqua è così limpida che gli alberi sul fondale si confondono con le nuvole e se stai lì a fissarlo non si capisce più quale sia sotto e quale sopra. Circondato da montagne, quella più alta è la montagna della Dea Gemu 格姆女神山 [Gé mǔ nǚshén shān]. Con i suoi 3.750 metri sovrasta il lago e nelle giornate nuvolose non si riesce a vederne la vetta. La seggiovia è l’unico modo per raggiungere il punto più alto. La percezione del tempo svanisce quando, dopo circa dieci minuti, inizi ad essere circondato da nuvole, la pioggia cade leggera e costante e il filo d’acciaio a cui sei attaccato sembra non avere né inizio né fine. Senti solo un vocìo indistinto, il rumore delle fronde degli alberi che, a sensazione, dovrebbero essere ad una decina di metri sotto i tuoi piedi. Quando arrivi, tutto attorno è bianco. Accecante. L’altitudine non è sufficiente da riuscire a sovrastare il tetto di nuvole. Turisti e scimmie si confondono in un silenzio spezzato dal rumore del vento e dalle preghiere dei monaci. La parte più suggestiva, però, è l’interno della montagna: un percorso guidato arriva ad una minuscola scala che non sembra messa in sicurezza, l’ingresso abbandonato. L’interno, però, non lo è. Alcune donne sfilano ai piedi di un altare, bruciano rami di pino, incenso e intonano canzoni nel loro dialetto.
Al lato opposto della montagna della Dea Gemu, a sud-ovest, nella parte di lago che appartiene allo Yunnan, si trova il “ponte del matrimonio errante” – ponte degli appuntamenti, dell’amore, degli incontri, degli amanti. Si chiama 走婚桥 [zǒu hūn qiáo] e nessuna traduzione potrà mai rendere l’aspetto romantico e culturale di questa usanza unica e del tutto particolare. Un ponte che rappresenta alla perfezione il walking marriage, non un simbolo di unione ma un viaggio. Non un sigillo, ma passione e tradizione. Il ponte – l’unico del lago – lo attraversa nel suo punto più stretto. Alla fine del ponte loro sono sedute lì, su sgabelli improvvisati o accovacciate come solo gli asiatici sanno fare. Donne Mosuo intente ad intrecciare corone di fiori da regalare ai turisti. Poco più avanti, finita la palude, una strada con tante bancarelle improvvisate vende souvenir: abbigliamento e solette per le scarpe – tutto ricamato a mano. Ci sono radici da masticare e tabacco, erbe per i decotti e fiori per mal di pancia e mal di testa. C’è chi prega in silenzio in un angolo durante la pausa, chi gioca a carte, chi fuma o spazzola i cavalli.
La sera, al calare del sole, le uniche luci che risplendono sono quelle delle stelle. Il lago si colora di viola e tutti si ritrovano in uno dei giardini abbandonati a ridosso del fiume dove molte case non sono state ancora ristrutturate secondo la nuova normativa. Si accende il fuoco, si balla e si canta. La maggior parte hanno vestiti tipici, così sgargianti da riuscire a vedersi bene anche in una notte così buia. I capelli delle donne sono legati in una lunga coda che cade di lato, il capo è decorato con ghirlande di fiori profumati. Gli uomini hanno cappelli dai colori scuri, qualcuno indossa una pelliccia sulle spalle. Non molti conoscono i balli e i canti della minoranza, ma tutti sono invitati a partecipare: parenti, amici, vicini di casa e turisti. Gli anziani parlano in dialetto e i nipoti più giovani fanno da interpreti. L’ora di cena è già passata da un pezzo ma qualche arrosticino e un po’ di vino di riso sono i compagni perfetti per una serata in compagnia.
Di Martina Bucolo*
*Laurea magistrale in relazioni internazionali e comunicazione interculturale all’università di Enna (Kore). Ha insegnato cinese ai bambini di una scuola dell’infanzia tramite un progetto in collaborazione con l’Istituto Confucio di Enna. Dopo la laurea si è trasferita in Cina, dove ha insegnato italiano ai cinesi, prima a Chongqing in una scuola elementare e poi a Chengdu alla Sichuan Normal University (dove è tutt’ora)