crisi coreana

La Cina punta al dialogo, ma anche la crisi coreana si complica

In Asia Orientale, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

L’ALTRO FRONTE. Il ministero degli Esteri di Pechino si è detto pronto a «rivestire un ruolo costruttivo nella risoluzione politica» tra Pyongyang e Seul, ma ha invitato Washington «a creare le condizioni per la ripresa di un dialogo significativo». Questioni storiche aperte anche sullo Stretto di Taiwan, dove la calma è solo apparente. Tutti i governi della regione continuano la corsa agli armamenti

Le onde sismiche causate dalla nuova escalation in Ucraina si propagano in Asia, crocevia di potenziali secondi fronti ma anche di possibili negoziati. Magari al summit del G20 di Bali, in Indonesia, dove non è escluso un incontro tra Joe Biden e Vladimir Putin. E dove dovrebbe essere presente anche Xi Jinping, che in questi giorni si prepara al XX Congresso del Partito comunista cinese chiamato a conferirgli uno storico terzo mandato. Oggi, intanto, il vicepresidente Wang Qishan è ad Astana per il forum sulla sicurezza a cui si incontrano Putin ed Erdogan.

Pechino non ha cambiato il suo approccio sul conflitto. Subito dopo i raid russi di lunedì, la portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning ha ribadito la solita formula: «Tutti i paesi meritano il rispetto di sovranità e integrità territoriale», in riferimento all’Ucraina, e «occorre tenere conto delle legittime preoccupazioni di sicurezza di ogni paese», in riferimento alla Russia. Chiedendo poi una de-escalation. Sui media cinesi si aggiusta parzialmente il tiro: più Mosca alza l’asticella e più Pechino deve mandare piccoli segnali che i due amici «senza limiti» non sono allineati sul conflitto. Ma le responsabilità vengono sempre individuate nelle azioni di Usa e Nato, accusati di gettare «benzina sul fuoco» invece che favorire il dialogo.

Lo scenario potrebbe presto ripetersi, quantomeno sotto il profilo retorico, anche sulla penisola coreana. Se si arrivasse a una vera e propria crisi Pechino sarebbe chiamata a un ruolo più attivo rispetto a quello esercitato sull’Ucraina. Il ministero degli Esteri si è detto pronto a «rivestire un ruolo costruttivo nella risoluzione politica» ma ha anche invitato Washington «a creare le condizioni per la ripresa di un dialogo significativo». Condizioni che al momento non paiono esserci. Lunedì, in occasione del 77esimo anniversario del Partito dei lavoratori, i media nordcoreani hanno diffuso le immagini di Kim Jong-un mentre presiede i lanci balistici. Viene inoltre spiegato che sono stati simulati attacchi nucleari «tattici» contro obiettivi sudcoreani. I preparativi per un nuovo test atomico, il primo dopo 5 anni, sarebbero allo stadio finale. Se avvenisse prima della fine del Congresso, potrebbe essere percepito come un affronto da Xi.

La vicenda sta peraltro spingendo Giappone e Corea del Sud l’uno tra le braccia dell’altro. E a Seul l’opposizione protesta. Il capo del Partito democratico Lee Jae-myung, più dialogante con Pyongyang, ha addirittura palesato un futuro in cui i militari di Tokyo potrebbero tornare a far sventolare la bandiera nipponica sulla penisola. Riferendosi a ferite storiche mai rimarginate e sulle quali Yoon Suk-yeol e Fumio Kishida hanno deciso di sorvolare per riavviare il dialogo.

Questioni storiche aperte anche sullo Stretto di Taiwan, dove la calma è solo apparente. Il ministero della Difesa di Taipei segnala che Pechino dispiega in media 4-6 navi da guerra nelle acque a cavallo della «linea mediana», in aggiunta alle incursioni dei jet.

Durante le celebrazioni del «doppio dieci», l’anniversario della rivolta di Wuchang che portò alla fondazione della Repubblica di Cina (ancora denominazione ufficiale di Taiwan), la presidente Tsai Ing-wen ha invitato Pechino al dialogo per trovare un «accordo reciprocamente accettabile», affermando che il confronto militare non è un’opzione. Allo stesso tempo, si è impegnata ad aumentare la produzione di massa di missili di precisione e a sviluppare la forza bellica asimmetrica. La Repubblica Popolare non ha mai aperto al dialogo con Tsai per il suo mancato riconoscimento del «consenso del 1992» e del principio di una sola Cina. Taipei si prepara all’estensione della leva militare da 4 a 10 mesi. Tutti i governi della regione continuano ad aumentare il budget difensivo in una corsa agli armamenti che gli sviluppi in Ucraina e quelli regionali rendono ancora più difficili da rallentare.

[Pubblicato su il manifesto]