Un gomitolo di seta infinito, impossibile da riavvolgere completamente. Ne scorgi un capo e perdi improvvisamente l’altro, ne ordini una parte e subito un’altra si scompiglia. Cina, luogo delle contraddizioni e delle loro negazioni. Cina, ossessione che “sembrava dilagare nei miei pensieri”. In “La Cina nuova” (edito da Laterza, qui un estratto), Simone Pieranni, caporedattore de il Manifesto e fondatore di China Files, riesce però a fare proprio quello di cui sentiva la mancanza durante la sua lunga permanenza in terra cinese: vale a dire costruire “una base sulla quale appoggiare e incasellare le informazioni”. Un modo per colmare quella voragine di comprensione che all’autore, reduce dal successo di “Red Mirror – Il nostro futuro si scrive in Cina“, si apriva “ogni volta che mi pareva di capire qualcosa”.
Eppure, in questo suo nuovo lavoro, Pieranni della Cina fa capire tanto. E lo fa lavorando sulla dualità, caratteristica storica di un popolo che si riconosce(va) civiltà prima che nazione, storia prima che futuro, terra prima che confine. Ogni capitolo presenta due elementi contrapposti, che però non possono esistere l’uno senza l’altro. A partire dall’elemento temporale, che non è il mero scorrere esterno delle lancette, ma un processo la cui immagine plastica si interseca con una concezione psicologica. Una memoria fatta di rimozioni, da quella di Tiananmen a quella dei “vecchi” punti di riferimento urbani, e ostentazioni come quella delle rovine esposte al Palazzo d’Estate di Pechino, paradossale rimembranza non di un passato glorioso ma di un qualcosa che non si dovrà mai più ripetere: il secolo delle umiliazioni. E un futuro che è anch’esso mutato nel corso del tempo, passando dalla concezione più pragmatica di Deng Xiaoping a quella più ideale di Xi Jinping con il rilancio del “sogno cinese” e di valori tradizionali che erano già stati in realtà riproposti da Hu Jintao.
Meritocrazia e corruzione, metropoli e campagna, pubblico e privato, lavoro e automazione: “La Cina nuova” tiene insieme gli opposti offrendo un affresco d’insieme che unisce materiali di ricerca, citazioni di studiosi, storie individuali e collettivi, ricordi e aneddoti personali. Da Zheng Deyi, uno dei primi studenti cinesi spedito dalla dinastia Qing in occidente, alla ragazza che non sa che cosa è successo in quella primavera del 1989 a Pechino. Da Liang Sicheng, il padre dell’architettura cinese, alle smart city dei giganti tecnologici. Da Chen Wei, virologa impegnata nella lotta contro la pandemia da Covid-19, al coinquilino che definisce Mao Zedong “un contadino”. Tutto sta insieme, tutto è funzionale a comporre un tassello dopo l’altro nel completamento di una missione che non può che essere parziale, raccontare la Cina, e che eppure riesce ad afferrare la matassa del gomitolo.
Particolarmente rivelatore il capitolo su socialismo e mercato, che anticipa in maniera più che precisa quanto sta effettivamente accadendo negli ultimi mesi e settimane. “Come fare a essere socialisti, in un paese governato da un Partito comunista, ma caratterizzato da miliardari e dalla grande differenza economica tra una minoranza e la stragrande maggioranza della popolazione, proprio come accade in Occidente?”, chiede Pieranni. Il Partito sta cercando di dare una risposta a questa domanda, con la stretta sui colossi tecnologici e la nuova era della “prosperità comune”, esito forse inevitabile di un processo raccontato nei dettagli nel libro, che parte dal rilancio di confucianesimo e marxismo, operazione funzionale alla costruzione identitaria di un Partito unico garante del mantra della stabilità. “In alcuni momenti questa assonanza tra pancia del paese e direttive politiche diventa molto chiara: proprio nel momento di grande protesta sulle reti sociali contro il capitalismo a seguito di proteste e morti sul lavoro, il Pcc ha messo sotto inchiesta e in grave imbarazzo Alibaba e altre piattaforme cinesi”, scrive Pieranni, che spiega come questa sia una tendenza ricorrente in Cina. “La popolazione comincia a borbottare circa alcuni atteggiamenti di miliardari o di grandi aziende, sottolineando tra le altre cose la loro spregiudicatezza nel raccogliere dati e usarli a fini commerciali; il Partito registra questo malumore e lo utilizza a proprio vantaggio, usandolo come leva per limitare il potere dei «privati»”, si legge. “La vicenda di Alibaba dimostra come l’ossimoro creato da Deng Xiaoping per fare digerire alla popolazione cinese una guida del Partito comunista al capitalismo, «il socialismo di mercato», sia una specie di fisarmonica capace di allargarsi e stringersi a seconda delle intenzioni del Partito comunista”.
Una fisarmonica ora molto stretta e ben salda in mano al Partito, desideroso come non mai di mettere “ordine” e rifuggere il “caos”. Sia questo la trasmissione di dati all’estero e la loro eccessiva concentrazione nelle mani di attori privati, l’esposizione debitoria del settore immobiliare privato, la dipendenza economico-commerciale-tecnologica dall’esterno, qualsiasi forma di associazionismo effettivo o potenziale all’interno. Caos e ordine convivono in Cina, “seppure nella negazione costante l’uno dell’altro”. Così come ne “La Cina nuova” convivono leggerezza e precisione, divulgazione e approfondimento, nomi e fatti, analisi e visioni. Non un’antologia, non un saggio storico, non un’analisi del presente, non una visione di futuro, non un diario personale. Ma tutto questo insieme. Tanto che sembra quasi di poter riuscire a governarlo, quel gomitolo di seta.
Di Lorenzo Lamperti
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.