C’è molta Cina nei Panama Papers, la maxi inchiesta sui conti segreti offshore pubblicata domenica dall’International consortium of investigative journalists (Icij) e realizzata sulla base di 11,5 milioni di documenti relativi a quarant’anni di attività dello studio legale panamense Mossack Fonseca. Si parla di oltre 200mila società offshore con sede in 21 paradisi fiscali sparsi per il globo. Decine di migliaia di clienti tra vip, politici e sportivi di 200 paesi diversi. Una valanga di dati sensibili che non ha mancato di travolgere la seconda economia mondiale, facendo scattare i gendarmi del web: nella giornata di lunedì l’hashtag «Banama » (Panama in mandarino) è risultato il secondo termine più censurato su Weibo, il Twitter cinese.
A finire nell’occhio del ciclone – oltre alla star del kung fu Jackie Chan – sono i famigliari di almeno otto membri o ex-membri del Politburo, l’organismo che supervisiona il Partito comunista cinese. L’Icij, per il momento, ne ha rivelati soltanto quattro: il cognato del presidente cinese Xi Jinping, Deng Jiagui, la figlia dell’ex premier Li Peng, Li Xiaolin, la nipote dell’ex numero quattro del Comitato permanente del Politburo (il sancta sanctorum del regime cinese) Jia Qinglin, Jasmine Li, e Patrick Henri Devillers, architetto francese vicino alla famiglia di Bo Xilai, il promettente segretario del Partito di Chongqing condannato all’ergastolo per corruzione nel 2013. Nomi a cui la BBC martedì ha aggiunto, senza specificare il grado di parentela, famigliari del capo della propaganda Liu Yunshan e del vicepremier Zhang Gaoli. Alcune sono storie ben note agli amanti del gossip «rosso».
Deng Jiagui
Secondo quanto si apprende dall’inchiesta, nel settembre 2009, ovvero quando Xi Jinping era «semplicemente» uno dei nove potenti del Comitato permanente del Politburo, Deng sarebbe diventato l’amministratore e socio unico di due società di comodo registrate nelle Isole Vergini britanniche. Società diventate inattive dopo il rimpasto al vertice che ha portato Xi ad assumere la guida del partito (nel novembre 2012) e quella della Repubblica popolare in qualità di presidente nel marzo 2013.
Il nome di Deng era già comparso affianco a quello della moglie Qi Qiaoqiao (sorella maggiore di Xi) in un reportage investigativo pubblicato da Bloomberg alla vigilia del passaggio delle consegne. Allora si era parlato di centinaia di milioni di dollari in asset di varia natura, ma non si era fatta menzione delle compagnie offshore. Due anni più tardi, era stato ancora Icij a fare i nomi di circa 37mila cittadini residenti nella Greater China (Repubblica popolare, Hong Kong e Taiwan) coinvolti nell’apertura di holding, trust e società di varia natura nelle Isole Vergini britanniche. All’epoca, nei «Chinaleaks» erano comparsi i nomi di Deng Jiagui, Li Xiaolin (vedi sotto), nonché di alcuni parenti stretti del padre delle riforme Deng Xiaoping, dell’ex presidente Hu Jintao e dell’ex premier Wen Jiabao.
Li Xiaolin
Soprannominata «Power Queen», la secondogenita dell’ex premier Li Peng, ai tempi degli incarichi paterni (ovvero tra il 1987 e il 1998), risultava unica beneficiaria di una fondazione del Lichtenstein, a sua volta unica azionista di una società registrata nei paradisi fiscali inglesi. Pare che, per meglio nascondere i suoi natali, la donna si presentasse come «Xiaolin Liu-Li», nome che appare anche sul suo passaporto di Hong Kong, la vera capitale dell’offshore secondo i Panama Papers. Nella sua carriera Li vanta anche i ruoli di vicepresidente della statale China Power Investment Corp. e di delegato della Conferenza politica consultiva del popolo, massima istituzione cinese con funzioni, appunto, consultive. Secondo Hurun, il Forbes d’oltre Muraglia, nel 2013 il patrimonio personale di Li ammontava a 550 milioni di dollari.
Jasmine Li
Ancora adolescente, nel 2010 Jasmine Li diventa unica azionista della Harvest Sun Trading Ltd., compagnia registrata alle Isole Vergini l’anno precedente e trasferitale per la cifra simbolica di 1 dollaro da Zhang Yuping, fondatore dell’azienda leader degli orologi di lusso Hengdeli. Grazie al controllo di Harvest Sun e di un’altra società offshore, Li è riuscita a mantenere la proprietà di due società di consulenza registrate a Pechino senza risultarne la titolare. Nulla, tuttavia, riconduce direttamente al nonno, uno dei potenti del Comitato permanente del Politburo tra il 2002 e il 2012.
Patrick Henri Devillers
Il nome di Devillers non è nuovo alle cronache. Nel 2000 l’architetto francese aveva aiutato la moglie di Bo Xilai, Gu Kailai, a registrare una compagnia nelle Isole Vergini risultando come azionista in sua vece. Secondo i fascicoli processuali relativi al «dossier Bo Xilai», la compagnia in questione fu poi utilizzata per l’acquisto segreto di una villa nel sud della Francia. Proprio la villa è stata presentata dagli inquirenti come la «pistola fumante» della corruzione dei coniugi Bo. Una storia dai contorni ancora fumosi, in cui lotte di potere e affari sporchi si intrecciano in un legame perverso.
Non è ancora ben chiaro in che misura la campagna anti-corruzione – di cui Xi Jinping si è fatto promotore fin dal primo giorno del suo mandato – sia effettivamente volta a mondare il Partito dalle «mele marce», e quanto, invece, sia finalizzata all’epurazione degli elementi ostili al presidente. Di certo, le inchieste degli ultimi anni confermano un’opacità che interessa trasversalmente tutti i gradini della gerarchia comunista senza eccezione. In che termini, però, non è dato sapere.
Sebbene la maggior parte dei servizi offerti dall’industria offshore sia perfettamente lecita quando usata nel rispetto delle leggi e dichiarata al fisco, i documenti esaminati dall’Icij mostrano che banche e studi legali non avrebbero seguito le norme necessarie all’individuazione di clienti coinvolti in attività illegali, come l’evasione fiscale o il riciclaggio di denaro. La stessa costituzione cinese scoraggia funzionari e parenti dallo sfruttare le proprie posizioni con finalità economiche. Ma nulla finora prova l’esistenza di un coinvolgimento diretto degli alti papaveri cinesi negli affari di famiglia.
Al contrario, un documento del dipartimento di Stato Usa risalente al 2007 – e portato a galla da Wikileaks – parrebbe dimostrare l’estraneità di Wen Jiabao agli «inciuci» famigliari sviscerati quattro anni fa dal New York Times. Stando a quanto riportava il cablaggio, l’allora primo ministro si sarebbe detto addirittura «disgustato» dalle attività portate avanti dai suoi consanguinei.