Lo scorso marzo la Cina aveva chiesto ufficialmente che il Fondo Monetario internazionale inserisse lo yuan, la moneta ufficiale cinese (RMB) all’interno degli asset di valuta del Fondo. Risposta un po’ interlocutoria degli organismi mondiali. Dopo anni di controversie, il Fondo è pronto a riconoscere per la prima volta lo yuan «equo».
Sappiamo bene che gli Usa continuano a ritenere lo yuan «sottovalutato». Se nel prossimo report il FMI lo definirà invece «equo», farà un grande favore agli sforzi di Pechino per arrivare a quel risultato. Del resto è bene ricordare che sulla sottovalutazione o meno dello yuan è in corso da anni una guerra sotterranea tra Cina e Usa. Si tratta probabilmente del punto di maggior attrito tra i due paesi, la ragione principale di tanti fronteggiamenti in altri ambiti (come quello della cybersicurezza). La mossa del FMI è dunque di portata storica e dopo il successo della banca di investimenti cinesi, regala a Pechino un’altra vittoria – almeno così pare – diplomatica.
Come raccontato dal Wall Street Journal, «Il FMI dovrebbe utilizzare il suo tipico stile cauto e diplomatico nella caratterizzazione dell’ultima posizione della moneta, probabilmente evitando il termine «abbastanza apprezzato» nelle sue dichiarazioni ufficiali. Rodlauer, per esempio, ha detto il mese scorso che la moneta è «in movimento verso l’equilibrio». Così, la valutazione ufficiale del Fondo potrebbe lasciare abbastanza spazio di manovra per invertire la rotta, se la Cina alterasse la sua politica e rimane inoltre abbastanza vago per dare spazio per le critiche di chi dimostra scetticismo».
Insomma la partita politica è ancora tutta aperta, ma siamo distanti anni luce da quando la Cina neanche era invitata al banchetto e a Pechino lo sanno. La loro politica economica internazionale, il soft power e la capacità di sfruttare la crisi della democrazia occidentale, stanno dando alla Cina la possibilità di re-inserirsi in contesti storici ed economici inimmaginabili fino a solo un decennio fa. Ma mentre l’economia cinese rallenta, alcuni economisti – come ha riportato il quotidiano finanziario britannico, non escludono che Pechino deprezzi di nuovo lo yuan per favorire le esportazioni e sostenere la sua espansione.
«Ciò o altri cambiamenti importanti per i fondamentali economici sottostanti potrebbero ancora cambiare la prima valutazione del FMI dello yuan. La crescita economica della Cina è rallentata al 7,4% nel 2014, scendendo a un livello mai visto in un quarto di secolo e che segna con fermezza la fine di un periodo d’oro di forte crescita. Pechino ha raccolto il sostegno di una serie di alleati degli Stati uniti e funzionari del Fondo hanno segnalato che lo status di riserva in valuta del FMI per lo yuan è solo una questione di tempo».
Analisti ritengono che proprio per arrivare a questa situazione, la Cina avrebbe frenato gli interventi sullo yuan e favorito una valuta stabile nel corso dell’anno passato. «La valutazione dello yuan resta una questione profondamente sensibile per il Fondo monetario internazionale. Per diversi anni, la Cina non avrebbe permesso al fondo di pubblicare una recensione economica annuale dell’economia, in parte a causa della critica alla politica dei cambi». Ma tutto ormai, sembra in procinto di cambiare.
[Scritto per East]