Pechino piange l’ex segretario di stato che favorì l’avvio delle relazioni diplomatiche con Washington. Ma in Vietnam e in Cambogia c’è un ricordo molto diverso
“Un caro e vecchio amico che sarà sempre ricordato”. La Cina celebra così Henry Kissinger. D’altronde, fu il suo viaggio segreto del luglio 1971 ad avviare lo storico processo che portò all’avvio delle relazioni diplomatiche tra Stati uniti e Repubblica popolare. Non ancora cinquantenne, l’allora segretario di stato di Richard Nixon arrivò a Pechino con l’aiuto del Pakistan per incontrare il premier Zhou Enlai. Era la Cina della rivoluzione culturale e dei libretti rossi, non ancora del tutto ripresa dalla grande carestia di una decina di anni prima. Era una Cina ancora relativamente debole a livello militare e povera a livello economico. Facendo leva sulla frattura che si stava consumando con l’Unione sovietica, Kissinger e Nixon pensavano di vincere la guerra fredda.
A quello storico viaggio ne seguì un altro tre mesi dopo, poi quello di Nixon. Lo scandalo del Watergate rallentò l’avvicinamento che si concluse comunque nel 1979 con l’instaurazione dei rapporti ufficiali e l’interruzione di quelli con la Repubblica di Cina, Taiwan. Da allora, Kissinger ha mantenuto un profondo legame con Pechino, dove è tornato l’ultima volta la scorsa estate facendo storcere qualche naso a Washington. In quell’occasione, Kissinger ha infatti incontrato prima Li Shangfu, il ministro della Difesa sanzionato dagli Usa che si era appena rifiutato di incontrare il capo del Pentagono Lloyd Austin a Singapore, poi il presidente Xi Jinping che si era invece negato proprio in quei giorni alla segretaria del Tesoro Janet Yellen e all’inviato per il clima John Kerry. Tanto che il dipartimento di stato aveva preso le distanze, sottolineando che si trattava di un viaggio privato e che non avveniva per conto della Casa bianca. “Gli Usa devono trovare il modo di andare d’accordo con la Cina”, ha detto in quell’occasione Kissinger. Una posizione espressa tante altre volte allo scopo, a suo dire, di scongiurare una nuova guerra fredda. Musica per le orecchie di Pechino, che ha spesso elogiato la “saggezza diplomatica” dell’anziano amico, con paragoni poco edificanti con la politica americana attuale.
Ieri, Xi ha inviato a Joe Biden un messaggio di condoglianze pieno di complimenti per la sua “eccezionale visione strategica”. L’ambasciatore cinese negli Usa, Xie Feng, ha parlato di “perdita enorme per i nostri due paesi e per il mondo”. La tv di stato lo ha definito “un vecchio amico che sarà sempre tenuto vivo nei cuori del popolo cinese”. Il Global Times ha pubblicato un necrologio con una foto in bianco e nero, onore solitamente riservato ai leader del Partito comunista. “Cina e Stati uniti dovrebbero ereditare e portare avanti la sua visione strategica e il suo coraggio politico”, si legge, insieme all’auspicio che possano emergere dei “successori” nella politica statunitense. Ma, aggiunge il tabloid nazionalista, ora sembrano mancare “menti così acute e pragmatiche”.
Anche sui social cinesi sono apparsi tantissimi messaggi di cordoglio. Altrove in Asia, il suo ricordo non è così luminoso. A Taiwan, dove sia il governo che opposizione hanno fatto le condoglianze, è visto come colui che “tradì” i rapporti e gli impegni bilaterali. In Vietnam viene ritenuto responsabile di aver prolungato inutilmente la guerra per anni nonostante fosse già disponibile un quadro di pace. L’ex primo ministro cambogiano Hun Sen ha a lungo sostenuto che Kissinger dovesse essere accusato di crimini di guerra per l’autorizzazione ai bombardamenti oltreconfine sui vietcong del 1969 e 1970, che provocarono l’allargamento del conflitto e favorirono l’ascesa dei Khmer rossi. Un vecchio amico, ma non di tutti.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato per il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.