Bellezza femminile e tragedia. Un tema caro alla tradizione cinese che ritorna nell’ultima opera di Wang Anyi. Il romanzo, ambientato a Shanghai, racconta la storia di Wang Qiyao, ragazza adulta ma mai matura. Mezzo secolo di storia attraverso oggetti simbolo dotati di un valore personale. Uscito da poco in traduzione italiana, La canzone dell’eterno rimpianto dell’autrice Wang Anyi, è un bellissimo romanzo intenso e appassionante che abbraccia un periodo storico compreso tra il 1945 e i primi anni Novanta.
Il titolo è un chiaro riferimento al poema narrativo di Bai Juyi, Chang Hen Ge (tra l’altro espressamente citato nel libro), scritto nell’807 d.C. per condannare e allo stesso tempo celebrare la tragica storia d’amore tra l’imperatore Xuanzong della dinastia Tang e la concubina Yang Guifei.
Come Yang Guifei infatti, anche Wang Qiyao, la protagonista del libro, è dotata di una bellezza reale, ammaliante: di quelle che si fanno notare per strada e ammirare nei salotti bene. Proprio questa bellezza, unita a una fondamentale incapacità di imporsi e di scegliere, sarà causa delle sue numerose sventure e dei suoi molti rimpianti.
Un detto cinese recita che le donne belle conducano inevitabilmente a fini tragici, che sia questo anche il caso della nostra protagonista?
Nel corso della narrazione infatti la vediamo trasformarsi da ragazzina acerba in donna adulta ma non matura, passare da un uomo all’altro senza mai legarsi veramente, avere una figlia e anche un genero, senza che di fatto il suo personaggio sostanzialmente cambi.
Affrontiamo con lei i cambiamenti storici trascritti in una Shanghai che fiorisce, decade, rifiorisce di nuovo, senza per questo perdere fascino, mistero, allure. Come la protagonista che, d’altronde, della sua città rappresenta la perfetta incarnazione: non per niente Wang Qiyao è ritratta in una foto dal titolo Una tipica ragazza di Shanghai.
Anche a causa di questa corrispondenza univoca tra il personaggio e la città, la critica ha spesso fatto rientrare La canzone dell’eterno rimpianto nella corrente dello huaijiu (i cosiddetti ‘romanzi nostalgici’), ma l’autrice non è assolutamente d’accordo, come rivela nella postfazione all’edizione inglese: “tutto ciò che volevo fare era creare un palcoscenico il più maestoso possibile per far vivere a Wang Qiyao i pochi giorni felici che ha avuto nella sua vita …
Così The song of everlasting sorrow non è completamente sotto l’impeto di sentimenti nostalgici; soprattutto ciò che contiene e rappresenta non può essere abbracciato dal termine ‘nostalgia’”.
Shanghai non è quindi altro che l’ambientazione più calzante e idonea, un setting costruito ad hoc per far risaltare ogni aspetto di un personaggio complesso e poliedrico, fatto di tante sfaccettature, delle quali solo una è la nostalgia.
Wang Qiyao non è mai anacronistica, non vive di ricordi o nel ricordo. Anzi, è sempre e comunque completamente immersa nella realtà che la circonda. Al tempo stesso però, conserva e custodisce, chiuso in sé, il proprio passato e le tracce che questo ha lasciato su di lei.
E lo fa attraverso oggetti che le ricordino i suoi trascorsi: in particolare è molto legata a una scatola di legno, custode di segreti e silenzi, che tira fuori ogni volta in cui desidera commemorare e ricordare il passato.
Nonostante La canzone dell’eterno rimpianto si svolga in un arco di tempo molto vasto, Wang Anyi cita raramente date ed eventi storici.
La sua è, come dice la Pesaro in Quando la lingua è sospesa tra presente e passato. Problemi e ipotesi di traduzione dal primo capitolo di Chang Hen Ge (Canzone dell’eterno rimpianto) di Wang Anyi, “una storia delle atmosfere” basata sulla ricostruzione della città e di oggetti-simbolo (come il cheongsam di satin rosa indossato dalla protagonista per un concorso di bellezza, occultato in fondo a un cassetto durante la Rivoluzione culturale), che acquisiscono un valore personale.
La scrittrice si concentra in particolare sulle descrizioni della moda, dell’abbigliamento, del cibo, delle abitudini e dei lussi. Parla insomma di tutte quelle cose che descrivono in maniera indiretta la storia, pur senza chiamarla direttamente in causa.
Ecco quindi apparire e scomparire nel testo, a seconda del momento, ‘dettagli’ come il cheongsam, la permanente ai capelli, i bei ristoranti…In questo senso la Pesaro definisce la ricostruzione storica di Wang Anyi come “di carattere [..] sensoriale e sentimentale”.
Sono gli oggetti i “riferimenti materiali e metonimici del passato”, capaci di comunicare e trasmettere sentimenti, significati e visioni.
Come scrive Barry nella postfazione de The song of everlasting sorrow, è la stessa Wang Anyi, rispondendo all’accusa di non aver inserito abbastanza elementi storici nel suo romanzo, a dire: “qualcuno mi accusa di ‘sfuggire’ l’impatto degli eventi storici di larga scala sulla vita pratica.
Ma non penso affatto che sia questo il caso. Personalmente, ritengo che il volto della storia non sia costruito dagli eventi di larga scala, la storia succede giorno per giorno, un po’ alla volta, trasformando le nostre vite.
Per esempio il modo in cui le donne passano dall’ indossare il cheongsam alle giacche in stile Lenin per le strade di Shanghai. Questo è il tipo di storia che mi riguarda”.
Né la storia universale (lishi), né la storia personale (nel senso di racconto, trama: gushi) quindi, fanno da protagoniste. L’unica vera e indiscussa eroina del romanzo è senza dubbio Wang Qiyao, in compagnia dei suoi rimpianti.
Che non sono però quelli relativi a un’epoca storica o a una vita migliore, ma rappresentano più una sorta di ‘ravvedimento’, un cambiamento di prospettiva avvenuto con la maturità e la vecchiaia che spingono a chiedersi come sarebbe cambiata la nostra vita ‘se solo’…
Si tratta, volendo, di quel tipo di rimpianto strettamente personale che prova ognuno di noi quando si guarda indietro: è la velatura del ricordo, la patina sottile del tempo che permette di vedere le cose con occhi nuovi e a distanza.
* Rita Barbieri è docente di lingua cinese presso alcune strutture private a Firenze, laureata con lode in Lingue e Civiltà dell’Oriente antico e moderno presso l’Università degli studi di Firenze.