Il Portogallo ha firmato un memorandum d’intesa con la Cina per quanto riguarda il progetto di Nuova via della Seta, la rete di connessioni commerciali e infrastrutture ideata da Pechino che dovrebbe toccare oltre 60 paesi.
Prima di Lisbona questo tipo di accordo era stato firmato dall’Ungheria, nel 2015 e più di recente, ad agosto di quest’anno, dalla Grecia. Portogallo, Grecia, due paesi dell’area euro, l’Ungheria, membro Ue.
TRE PAESI ACCOMUNATI da crisi economiche che con diversa intensità hanno provocato scossoni politici, da cui sono dipese le modalità con cui i tre stati sono usciti dalle sabbie mobili finanziarie. Ma tutti e tre hanno scelto di aderire alla Nuova via della Seta, nonostante lo scetticismo occidentale e delle potenze regionali, Francia e Germania in primis.
In Cina la recente firma del Portogallo, avvenuta il 7 dicembre, è stata salutata con entusiasmo: il Portogallo è considerato il «primo paese dell’Europa occidentale» ad accettare, di fatto, la nuova idea di globalizzazione cinese.
Nel 2016 al 54° convegno mondiale dell’economia, il governatore della banca centrale ungherese, György Matolcsy, aveva detto che Budapest è da sempre un «paese chiave» della via della Seta perché collegata al Pireo e quindi in grado di permettere tratte commerciali più economiche, rispetto al percorso italiano (dando per scontato dunque che Genova e Venezia siano fuori dai giochi). Durante l’intervento aveva sottolineato inoltre come la Banca d’Ungheria fosse stato il secondo paese europeo a contrarre uno stretto accordo con la Banca centrale cinese. Il primo paese a farlo era stato la Gran Bretagna. Le nazioni con le quali la Cina ha raggiunto una prima forma di accordo sono tutte unite da una distanza dall’Ue – pur con diverse sfumature – evidenti. La stessa Londra, secondo partner europeo di Pechino, dalla Brexit in avanti ha fatto immensi sforzi per attrarre i cinesi. Analogamente, la vecchia Europa – che pare così critica nei confronti della Cina – non è stata da meno: oltre a Theresa May, sia Merkel, Macron, Conte, e il premier olandese si sono recati in Cina nei primi sei mesi del 2018.
L’ACCORDO FIRMATO dal Portogallo, uno di diciassette memorandum di cooperazione che, oltre a un nuovo Istituto Confucio a Oporto, prevedono cooperazione soprattutto nel settore scientifico, delle tecnologie e dello spazio, riguarda l’Europa e anche – di conseguenza, l’Italia. L’opinione diffusa è infatti la seguente: 27 su 28 diplomatici di paesi Ue (esclusa guarda caso l’Ungheria) avevano bocciato la Nuova via della Seta cinese, accusando Pechino di voler minare l’unità dell’Unione.
In molte cancellerie si ritiene che tanto la Cina, quanto la Russia, stiano scommettendo sulle elezioni del maggio 2019, per vedere sfaldarsi l’Unione europea. Ma va altresì chiarito che Pechino in realtà non sembra avere questo atteggiamento, né tanto meno la speranza di un’Europa alla deriva politica. Innanzitutto la Cina non ama i cambiamenti repentini e anzi teme le forzature; in secondo luogo la Cina ha una concezione del tempo differente dalla nostra: in questo momento la dirigenza cinese punta al 2049, centenario della Repubblica popolare, per andare a verificare lo stato dell’arte della Nuova via della Seta. Pechino ha tempo.
TERZO FATTORE: LA CINA circonda, contiene ma non cerca uno scontro frontale. Il dinamismo di Pechino con molti paesi europei orientali, concretizzato nel gruppo «16+1», non esprime azioni volte a spezzare l’Ue, bensì a circondare il cuore dell’Europa. Xi Jinping sa bene che la svolta arriverebbe con la firma di un documento di intesa per la Nuova via della Seta con un paese «storico», con una potenza regionale e centrale della Ue.
E tutto fa pensare che Pechino abbia in mente proprio noi, l’Italia. Ma per farlo non ha bisogno che l’Ue si disintegri: Xi sarà sicuramente attento all’appuntamento elettorale di maggio per comprendere il terreno di gioco, perché l’Europa ormai assomiglia a un campo di conquista dove le tre potenze mondiali – Cina, Russia e Usa – cercheranno sbocchi e affari, ma Pechino sta proseguendo sulla sua strada anche con l’Europa unita, così come è adesso. La capacità di adattarsi alle circostanze riscontrate è un’altra importante caratteristica strategica della Cina.
DA TEMPO GIRA VOCE di una possibile firma di un memorandum sulla Nuova via della Seta proprio da parte di Roma. A questo proposito, una volta constatato come questi argomenti non risultino interessanti per i nostri politici, perché presuppongono la necessità di studiare e comprendere quale sarà il nostro futuro prossimo, bisogna registrare ancora una volta la totale mancanza di chiarezza da parte di questo governo, per niente «del cambiamento» in fatto di politica estera: l’Italia continua a non avere una strategia diplomatica chiara, si barcamena tra rincorse e rifugi sicuri atlantisti.
Un esempio della confusione che sembra regnare a Roma è recente: mentre il ministero dello Sviluppo economico ha messo in piedi una task force sulla Cina, con viaggi di ministri e sottosegretari, Salvini ha attaccato la Cina per le sue «politiche» africane: siamo in una fase in cui dovremmo capire quale strada intraprendere per affrontare al meglio questo mondo multipolare.
Gli elementi suggeriscono che si dovrebbe insistere per fare sì che la ragnatela europea diventi davvero un riparo dai guai internazionali e un’opportunità, nonché il terreno di battaglie di natura sociale e politica legata ai diritti del lavoro e dei migranti. Invece si procede a spanne. E a sinistra non sembra andare meglio, anzi. Per una volta grande è la confusione sotto al nostro cielo. E la situazione eccellente pare essere di casa a Pechino.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.