yu wensheng

La battaglia di Yu Wensheng per i diritti

In Cina, Economia, Politica e Società by Alessandra Colarizi

Il 29 ottobre la Corte Intermedia del Popolo di Suzhou ha condannato l’avvocato Yu Wensheng e sua moglie Xu Yan rispettivamente a 3 anni e 1 anno e 9 mesi di reclusione. I due erano stati arrestati il 13 aprile 2023 mentre cercavano di raggiungere una delegazione Ue con l’accusa di “aver provocato liti e provocato problemi”. Successivamente l’imputazione è stata cambiata in “incitamento alla sovversione del potere statale”. Riportiamo un articolo sulla sua storia pubblicato prima del verdetto in collaborazione con Gariwo Onlus.

Qualcuno deve pur sacrificarsi per spianare la strada alle generazioni future”. Non ci sono dubbi: da quando ha pronunciato quella frase nel 2015 di sacrifici ne ha fatti davvero tanti Yu Wensheng, avvocato per i diritti umani processato a fine agosto per “incitamento alla sovversione del potere statale”. Di sacrifici Yu dovrà farne ancora molti. Arrestato con la moglie Xu Yan il 13 aprile 2023 mentre cercava di incontrare funzionari dell’Unione europea a Pechino, l’attivista ora rischia l’ergastolo. La pena massima prevista per un reato sempre più spesso utilizzato dal governo cinese contro le voci scomode.

Non è la prima volta che l’avvocato, noto per aver difeso colleghi e dissidenti, fronteggia l’eventualità del carcere a vita. Al terzo arresto in dieci anni, Yu ha passato quasi più tempo dietro le sbarre che a casa propria. Una sorte non rara in Cina per chi, come lui, ha fatto della difesa delle libertà civili una vera missione. Ottenuta l’abilitazione alla professione forense nel lontano 1999, il cinquantasettenne ha scontato il rapido deterioramento dei diritti umani sotto l’amministrazione Xi Jinping.

Il primo arresto risale al 13 ottobre 2014, due anni dopo la nomina di Xi a capo del Partito comunista. L’accusa? “Sospettato sostegno a Occupy Central”, il movimento organizzato dalla popolazione di Hong Kong per convincere il governo a concedere – come promesso – il suffragio universale nell’ex colonia britannica. Per quasi tre mesi la città è scossa da accese proteste, con più tenui esternazioni di supporto anche nella Cina continentale. Oltre 100 cittadini cinesi vengono fermati dalla polizia. Yu, come altri avvocati, cerca di fornire assistenza agli arrestati, senza vacillare davanti all’opposizione delle autorità. Una caparbietà ripagata con 99 giorni di detenzione, periodi di isolamento nel braccio della morte, e 200 sessioni di interrogatori, alcuni dei quali durati oltre 18 ore. Ne esce vivo. Ma la sua carriera sarebbe cambiata per sempre. “Non voglio oppormi al sistema, ma mi sento in dovere di proteggere i diritti civili”, spiegò all’epoca.

Dopo poco, quel dovere lo trascina nuovamente nel tritacarne. Nel luglio del 2015 l’arresto di oltre 300 avvocati cinesi scatena un terremoto nel settore. Yu non solo prende le difese del noto collega Wang Quanzhang. Avvia un’azione legale contro il ministero della Sicurezza pubblica, l’organo che in Cina controlla le forze dell’ordine. È guerra aperta: una sera di agosto la polizia fa irruzione nella sua abitazione. Seguono 24 ore di fermo, di cui 10 trascorse con le mani legate dietro la schiena.

Tornato in libertà avrebbe potuto lasciare il paese, rifarsi una nuova vita. Ma l’esilio sarebbe equivalso a una resa. Chi sceglie questa strada è condannato all’anonimato. Perde il contatto diretto con la società civile cinese, la voce si affievolisce. Col tempo invece la voce di Yu continua a crescere. Il 18 ottobre 2017 diventa un grido: in una lettera aperta indirizzata al parlamento cinese, chiede le dimissioni di Xi Jinping e l’avvio di riforme politiche. Troppo per le autorità che questa volta, oltre ad arrestarlo, gli revocano la licenza da avvocato. Poi il primo processo: l’accusa è di “incitamento alla sovversione dello Stato”. Nel giugno 2020 viene condannato a quattro anni di carcere e alla privazione dei diritti politici. Senza possibilità di avvalersi del legale da lui prescelto né di ricevere visite dei familiari. Passano ben tre anni. Col pretesto del Covid il primo incontro con la moglie avviene dietro lo schermo di un pc. Xu ricorda la stretta al cuore nel vedere il volto del marito, emaciato e sdentato.

Scontata la pena, il maggio 2022 l’attivista è di nuovo libero. Libero come può essere libero un oppositore del regime. In Cina il nome di Yu Wensheng a stento si può pronunciare, tantomeno scrivere. Ma, censurato in patria, all’estero è diventato un’icona delle libertà civili: prima nel 2018 riceve il Premio franco-tedesco per i diritti umani e lo stato di diritto, poi nel febbraio 2021 vince il Premio Martin Ennals, l’onorificenza in ricordo del primo segretario generale di Amnesty International. Ma, come sempre in questi casi la visibilità internazionale, diventa un’arma a doppio taglio. Se da una parte rafforza le battaglie sociali dei dissidenti cinesi, dall’altra il coinvolgimento dell’Occidente mette ancora più in allarme i leader di Pechino.

Il 13 aprile 2023, alle 16:00 ora locale, quattro agenti in borghese intercettano la coppia poco prima di un evento presso la delegazione dell’Unione Europea a Pechino. Da allora il loro caso campeggia nella lista dei dossier spinosi tra Pechino e Bruxelles. Commentando le circostanze del procedimento giudiziario a carico dei due, il portavoce dell’Ue ha definito “deplorevole che ai rappresentanti dell’Ue delle missioni diplomatiche accreditate in Cina sia stato negato l’accesso all’aula di tribunale”. “Questo diniego mina la fiducia nei requisiti del giusto processo in Cina“, ha aggiunto chiedendo l’immediato rilascio di Yu e Xu.

Anche l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani si è espresso in proposito. Oltre a chiedere la scarcerazione dell’avvocato, l’organizzazione ha richiamato l’attenzione sulle precarie condizioni fisiche della moglie, denutrita e dolorante a causa della posizione che è costretta a mantenere nella cella. La donna ha inoltre denunciato al suo avvocato abusi di vario genere e l’impossibilità a ricevere assistenza medica. Soffre invece di depressione il figlio diciottenne. Otto mesi dopo l’arresto dei genitori, il ragazzo ha tentato di togliersi la vita con un’overdose di farmaci a causa dell’intensa sorveglianza a cui è stato sottoposto dalla polizia.

Quanti sacrifici servono per assicurare alle prossime generazioni cinesi un futuro migliore.

Di Alessandra Colarizi

[Pubblicato su GariwoMag]