La “demolizione volta al restauro”

In by Simone

(In collaborazione con AGICHINA24) La “demolizione volta al restauro” dell’antico siheyuan a Pechino di una coppia di architetti è l’occasione per parlare ancora di urbanizzazione e società. E del valore del "bene culturale" nella Cina moderna. L’analisi attraverso gli articoli di giornale.
Una “demolizione volta al restauro”, l’hanno definita, con un interessante ossimoro, la società immobiliare coinvolta e l’ufficio culturale locale. Ma l’abbattimento della dimora di Liang Sicheng e Lin Huiyin, un tradizionale siheyuan situato in un antico hutong del centro di Pechino, non ha convinto pubblico e dei media, colti di sorpresa dalla distruzione di un edificio per cui, già nel 2009, si erano mobilitati con successo. Anche in questo caso, la reazione è stata immediata: con un sondaggio online lanciato da Sina Weibo (quasi 6000 contrari alla demolizione su 6500 partecipanti) e con articoli e commenti sdegnati usciti sui principali giornali del paese.

Liang e Lin, marito e moglie e celebri architetti, sono ricordati dai cinesi anche per il loro tentativo di proporre, negli anni Cinquanta, un piano di preservazione dell’antica città di Pechino. Il progetto, che proponeva di sviluppare la nuova città lontano dal centro, in modo da mantenere intatti gli edifici storici, non fu mai approvato. Ed è quanto meno beffarda la sorte capitata alla loro antica abitazione, dichiarata bene culturale da proteggere e conservare nel 2009 e ridotta in macerie dalle ruspe appena due anni dopo.

L’operazione, di cui l’Ufficio per il patrimonio culturale di Pechino pare fosse all’oscuro, è stata compiuta il 27 gennaio dalla società immobiliare che già nel 2009 aveva demolito una piccola parte dell’abitazione. Quella sera, scrive Zhi Feng il 29 gennaio sullo Yanzhao Dushi Bao, quotidiano diffuso nella provincia dello Hebei, «l’ufficio culturale del distretto di Dongfeng ha inviato un dispaccio all’ufficio cittadino spiegando le ragioni date dalla società: l’abitazione era troppo vecchia e pericolante, perciò si è deciso di procedere con una demolizione volta la restauro. Ma – si chiede il commentatore – se una demolizione diventa una forma di restauro, distruggere un bene culturale diventa proteggerlo?».

Certo, ragiona Zhi Feng, «per restaurare un monumento è spesso inevitabile una parziale demolizione. Ma qui della dimora non rimane quasi nulla. Un simile "restauro" di fatto sarebbe una ricostruzione. È come se andaste al negozio per riparare il vostro telefono e, tornando il giorno dopo, trovaste solo un pezzo del guscio. Potreste ancora definirla una riparazione?».

A preoccupare il commentatore è il fatto che una ricostruzione della dimora dei due architetti non potrà mai eguagliare il valore dell’originale. «I beni culturali sono resti di valore concreto. Sono tali se sono stati creati dall’uomo o se hanno a che fare con l’attività umana; e se appartengono al passato. Ora che è stata barbaramente distrutta, quale valore storico potrà ancora avere la dimora di Liang e Lin? La sua ricostruzione sarà un bene culturale? I restauri dei beni culturali sono fatti sempre con grande attenzione e cautela, non con demolizioni grossolane. E non è possibile che l’ufficio culturale non abbia chiari questi concetti».

Per questo Zhi Feng è convinto che dietro la demolizione si trovino interessi meramente economici. «Il compito dell’Ufficio per il patrimonio culturale è proteggere i beni culturali dall’azione perniciosa degli uomini o della natura. Se la demolizione della dimora è potuta avvenire all’insaputa dei funzionari cittadini, è perché le ragioni dello sviluppo economico si sono infiltrate anche negli edifici considerati patrimonio culturale. Di fronte agli interessi economici, la dimora di Liang e Lin non era altro che un edificio popolare a rischio crollo».

E poiché «tra i principi del patrimonio culturale e gli interessi dello sviluppo immobiliare i secondi si adattano meglio agli obiettivi di carriera dei funzionari responsabili», conclude Zhi Feng, è evidente che «per gli interessi economici si possono mettere da parte la cultura e la morale». 

Sul Xin Jing Bao del 28 gennaio, il commentatore Gu Zexu definisce la demolizione della casa degli architetti «incredibile». Già nel luglio del 2009, scrive Gu, «l’Ufficio nazionale del patrimonio culturale aveva stabilito che la dimora di Liang e Lin aveva un importante valore storico e che l’ufficio culturale locale doveva dichiararla un bene da proteggere. Ora, dopo la demolizione, l’ufficio culturale del distretto di Dongcheng ha annunciato che la dimora sarà ricostruita come prima. Ma la domanda è: ha senso proporre di ricostruire quanto si è appena demolito?».

Il problema, per il commentatore del Xin Jing Bao, è che il nuovo edificio sarà una “falsa antichità”. «I funzionari dell’ufficio sanno sicuramente quali siano le differenze tra vere e false antichità. Abbattere la vera antichità per ricostruirla ex novo, in qualunque modo lo si faccia, vuol dire creare una falsa antichità».

Nel caso della residenza dei due architetti, il valore non stava tanto nell’edificio in sé, ma nel suo significato storico e umano che, argomenta Gu, «non risiedono nelle caratteristiche materiali dell’edificio, ma nella sua autenticità. Come un dipinto di epoca Ming: non conta se è fatto su ceramica o su legno di sandalo rosso o su legno comune, quello che è cruciale è se è autentico».

La dimora autentica di Liang e Lin aveva «il sapore della vita vera, permetteva di percepire l’umanità dei due architetti. La finta dimora, indipendentemente da quanto sia ricostruita in stile antico, rimane una cosa nuova. Anche se si dirà ai visitatori che Liang e Lin sono vissuti e hanno lavorato in una casa simile a quella, le sensazioni che potranno trarne saranno le stesse che potrebbero trarre da fotografie e libri».

Gu chiede «che qualcuno dia spiegazioni alla gente» e soprattutto che vengano individuate le responsabilità di quanto accaduto. Per l’editorialista, responsabile è soprattutto l’Ufficio del patrimonio culturale di Pechino che «in due anni non è riuscito a portare a termine le pratiche per rendere la dimora intoccabile». In questo modo, infatti, la demolizione non è stata un’azione legalmente grave per la società immobiliare che l’ha compiuta, né per l’Ufficio che non l’ha impedita. Ma «anche se si assumessero la responsabilità legale, amministrativa ed economica di questa azione, i funzionari dell’Ufficio devono farsi carico soprattutto di una grave responsabilità morale. Chi abbatte beni culturali deve essere denunciato moralmente». A maggior ragione se di mezzo ci sono due maestri, come Liang e Lin, «davanti a cui i funzionari dell’Ufficio dovrebbero prostrarsi. Lasciare che la loro dimora fosse abbattuta è stato come radere al suolo la casa dei propri antenati».

Anche Ji Jianmin, il cui commento è stato pubblicato sulla edizione online del Renmin Ribao il 29 gennaio, se la prende con la «grave negligenza e irresponsabilità» dell’Ufficio del patrimonio culturale di Pechino. «È strano che il direttore dell’Ufficio abbia dichiarato che non era al corrente della demolizione della dimora di Liang e Lin. I cittadini cosa mantengono a fare dei direttori del genere? Vi mangiate il salario della gente e non vi sentite in colpa? Come potete dire che non sapevate nulla? E come è possibile che la gente si sia lasciata prendere in giro più e più volte da voi e dalle vostre dichiarazioni sul fatto che vi stavate prendendo cura dell’edificio e stavate riflettendo sulle modalità di conservazione?». Domande che in molti, a Pechino, si stanno ponendo.