Già leader delle proteste del 1988, Kyaw Min Yu è una delle figure più note della complessa e sofferta transizione democratica del Myanmar, tragicamente interrotta quel 1° febbraio di quasi due anni fa. Il giorno in cui è stato ucciso si è alzato senza sapere che sarebbe stata la sua ultima alba.
“Vogliamo solo la democrazia, vogliamo solo la verità“. Per questi desideri Kyaw Min Yu è stato condannato a morte e ucciso dal governo militare golpista del Myanmar. La sua esecuzione è stata effettuata in segreto lo scorso 23 luglio, insieme a quella di altri quattro attivisti pro democrazia finiti o tornati in carcere dopo il colpo di Stato del 1°febbraio 2021 nel quale il generale Min Aung Hlaing ha deciso di rimuovere il governo legittimamente eletto dai cittadini birmani recatisi alle urne nel novembre 2020.
Kyaw Min Yu, conosciuto come Ko Jimmy, è una delle figure più note della complessa e sofferta transizione democratica del Myanmar, tragicamente interrotta quel 1° febbraio di quasi due anni fa. Il giorno in cui è stato ucciso si è alzato senza sapere che sarebbe stata la sua ultima alba. Né i condannati né le loro famiglie sono infatti state avvertite dell’esecuzione della condanna a morte, non consentendo nemmeno ai suoi cari di dargli l’ultimo addio. Il regime militare ha comunicato l’avvenuta esecuzione solo due giorni dopo, senza specificare in che modo il prigioniero è stato assassinato.
Kyaw Min Yu è diventato celebre per il suo ruolo durante le proteste pro democrazia del 1988, quando era appena 19enne. È stato infatti tra i personaggi di punta della cosiddetta “Generazione 88”, protagonista di quella che è stata ribattezzata “Rivolta delll’8888”, in riferimento al fatto che un’enorme quantità di studenti si radunò l’8 agosto 1988 e diede vita a una protesta sincronizzata esattamente alle 8.08 del mattino. In quel momento, Kyaw Min Yu studia fisica all’Università delle Arti e delle Scienze di Rangoon, oggi Università di Yangon. Dopo che, nel luglio dello stesso anno, i disordini costringono alle dimissioni il generale Ne Win, i gruppi studenteschi organizzano una grande manifestazione per chiedere maggiori libertà.
Da leader del sindacato studentesco, si rivela un organizzatore politico chiave attorno al quale si radunano diversi attivisti anti regime. Il movimento si diffonde rapidamente in altre parti del Myanmar, allora conosciuto come Birmania, a cui si uniscono operai, negozianti, medici e monaci buddisti. I quartieri si autogestiscono, gli studenti dirigono il traffico e uno sciopero generale blocca l’economia. Ma i militari reagiscono in maniera violenta, uccidendo migliaia di persone e arrestandone un numero ancora maggiore. Kyaw Min Yu si definirà non a caso “uno dei fortunati” ad aver scampato la morte in quell’occasione, anche se finisce in carcere. Quelle proteste sono di fatto la scintilla dalla quale scaturisce tutto quanto è successo dopo e la rete creata da Kyaw Min Yu resta in vita per anni, dando linfa anche alle manovre a sostegno della stessa Aung San Suu Kyi. E col nome d’arte di Ko Jimmy viene considerato ancora oggi dai birmani “un educatore alla democrazia”.
La fama di Kyaw Min Yu aumenta durante i suoi primi 15 anni in carcere, quelli tra il 1988 e il 2003. Durante la sua permanenza in cella, scrive una serie di racconti a tema politico in cui il protagonista lotta in maniera indefessa per diritti e libertà. Un segnale di speranza e resilienza anche da dietro le sbarre, arrivato in qualche modo a tutti gli attivisti birmani rimasti in libertà o a coloro che attivisti lo sarebbero diventati, magari proprio perché ispirati dai suoi racconti, alcuni dei quali pubblicati in Giappone con lo pseudonimo di Pan Pu Lwin Pyin.
Rilasciato nel 2003, dopo una temporanea parentesi semi democratica, Kyaw Min Yu non interrompe il suo attivismo. Nel 2005 scrive il libro “Making Friendship”, un libro di “auto-aiuto” che diventa un imprevisto bestseller. Nel 2007 viene condannato ad altri 5 anni di carcere per aver guidato delle proteste contro l’aumento del prezzo del carburante. Il 6 settembre 2012 pubblica il romanzo “La luna nel lago”, scritto nel 2010 durante la detenzione a Taunggyi. È la storia di un funzionario che si trova ad affrontare i problemi del potere e delle politiche dello Stato mentre si innamora di una donna con un passato politico e imprenditoriale vicino al pittoresco lago birmano di Inle. “Per me è l’arte che rende la mia vita tollerabile”, dirà in seguito. “Ho cantato e scritto poesie quando la mia vita era dura in prigione”. Durante i due decenni trascorsi in carcere, ha anche tradotto numerosi libri stranieri censurati dal regime, compresi “Il codice Da Vinci” e “Angeli e demoni” di Dan Brown.
Rilasciato nel 2012 nell’ambito di una grazia di massa, due anni dopo la liberazione di Aung San Suu Kyi, pensa che forse stavolta la transizione democratica può avvenire per davvero. Finalmente può vivere in libertà anche il rapporto con la moglie, Nilar Thein, conosciuta in modo a dir poco avventuroso. Durante un discorso durante le proteste del 1988, Kyaw Min Yu nota nella folla una ragazza con un’uniforme scolastica bianca e verde. La rincontra dietro le sbarre nel 1989, dopo qualche insistenza convince un agente del penitenziario a lasciargliela incontrare. Si sposano nel 2004, appena rilasciati per la prima volta. Anche Nilar Thein viene arrestata per una seconda volta nel 2008, con la figlia Phyu Nay Kyi Min Yu, costretta a vivere per 4 anni dalla nonna. L’ultima volta, quella fatale, è stato invece arrestato solo Kyaw Min Yu. Il 13 febbraio 2021, all’indomani del colpo di Stato, Kyaw Min Yu e altre sei persone di alto profilo vengono accusati di aver incitato disordini contro lo Stato e minacciato la “tranquillità pubblica” attraverso i loro post pubblicati sui social media. Da allora, Kyaw Min Yu cambia continuamente posizione per evitare le autorità. Ma a ottobre viene rintracciato. Il 23 gennaio 2022, il Tribunale militare di Myanmar condanna Kyaw Min Yu a morte in base alla legge antiterrorismo del paese per aver contattato il Comitato di rappresentanza del Pyidaungsu Hluttaw, il Governo di unità nazionale e la Forza di difesa popolare.
Secondo il racconto della moglie, durante l’arresto viene anche ferito mentre cerca di scalare una recinzione ricoperta di filo spinato. Resta quella l’ultima volta in cui Nilar Thein vede il marito. Vivo e morto, visto che il regime ha fatto sparire anche il suo corpo, per evitare che potesse diventare luogo di pellegrinaggio per quello che è stato a tutti gli effetti un martire. Ma la storia, i racconti e l’esempio di Ko Jimmy restano ancora bene impressi a tutti gli attivisti che ancora lottano per le stesse due cose che desiderava lui: democrazia e verità.
Di Lorenzo Lamperti