Prima (e piuttosto) che utile a favorire una distensione, il viaggio di Kissinger sembra innanzitutto rafforzare la prospettiva cinese sulle relazioni sinoamericane. E cioè che le tensioni sarebbero colpa solo di una politica Usa che ha distrutto “l’atmosfera di comunicazione amichevole” tra i due paesi. E che per questo va scavalcata per arrivare agli scambi people-to-people
“Il suo nome sarà per sempre legato alla Cina e i cinesi non si dimenticheranno mai di lei”. Con queste parole, pronunciate davanti alle telecamere presenti nella prestigiosa Diaoyutai State Guesthouse, Xi Jinping ha chiuso il suo caldo benvenuto a Henry Kissinger. Lui nelle stanze della diplomazia cinese è entrato decine di volte, da quando in quel luglio del 1971 si presentò a Pechino in una missione segreta che di fatto ha avviato il processo di avvio delle relazioni bilaterali tra Stati uniti e Repubblica popolare. Il suo merito originario, seguito poi da una convinzione che porta avanti da centenario privato cittadino: Washington deve trovare il modo di andare d’accordo con Pechino. Lo credeva nel 1971, per vincere la prima guerra fredda con l’Unione sovietica, lo ribadisce ora che dice di voler contribuire a evitarne una seconda. Ecco perché, 52 anni esatti dopo quello storico viaggio, Kissinger e il governo cinese avevano organizzato da tempo (da almeno due mesi, sostiene il South China Morning Post) la nuova missione a sorpresa.
Il dipartimento di stato americano ha preso le distanze, chiarendo che Kissinger viaggia per sua iniziativa e non per conto del governo. E in effetti la sua prima mossa, l’incontro col generale Li Shangfu, marca una profonda differenza coi rapporti tra Pechino e l’amministrazione Biden. Li è sotto sanzioni dal 2018 per l’acquisto di armi dalla Russia e lo scorso marzo è stato promosso ministro della Difesa anche per questo: segnale di indisponibilità al compromesso. La mancata rimozione delle sanzioni viene usata per motivare a riavviare il dialogo militare. In un colpo solo, il colloquio mostra che il governo cinese tratta diversamente gli amici dai rivali e rappresenta quella che molti hanno considerato una “lezione di pragmatismo” di Kissinger alla Casa bianca.
Il secondo incontro è stato con Wang Yi, che sta di fatto sostituendo il ministro degli Esteri Qin Gang, assente in pubblico dallo scorso 25 giugno. Ufficialmente a causa di “motivi di salute”, anche se c’è chi sostiene ci sia dietro di più. Tanto da mettere in bilico la sua prossima visita a Washington. “Agli Usa servirebbe la sua saggezza”, ha detto il capo della diplomazia del Partito comunista a Kissinger, tracciando un solco tra una figura quasi idolatrata in Cina e l’attuale classe politica americana. Unica responsabile, nel racconto di Pechino, delle attuali tensioni.
Ancora più significativo il faccia a faccia con Xi, che risalta ancora di più visto che solo 24 ore prima era ancora in Cina John Kerry, che come Janet Yellen la settimana scorsa non ha incontrato il presidente. Xi ha però risposto indirettamente alle richieste dell’inviato speciale sul clima: “La volontà di raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e la neutralità carbonica entro il 2060 sono incrollabili, ma non ci faremo influenzare da altri nel determinare gli obiettivi”, ha detto a una conferenza sulla protezione ambientale. “Lei ha appena festeggiato il suo centesimo compleanno e ha visitato la Cina più di cento volte. Questo rende la sua visita ancora più speciale”, ha invece detto a Kissinger, elogiando la “giusta scelta” operata insieme a Richard Nixon, Zhou Enlai e Mao Zedong di avviare la normalizzazione dei rapporti. Come a dire che un tempo gli Stati uniti erano dalla “parte giusta della storia”, oggi invece c’è rimasta solo la Cina.
Prima (e piuttosto) che utile a favorire una distensione, il viaggio di Kissinger sembra innanzitutto rafforzare la prospettiva cinese sulle relazioni sinoamericane. E cioè che le tensioni sarebbero colpa solo di Washington. Per questo va scavalcata la politica che ha distrutto “l’atmosfera di comunicazione amichevole” tra i due paesi per arrivare agli scambi people-to-people. Nelle ultime settimane, Pechino ha accolto tra gli altri Bill Gates, Elon Musk e da ultimo l’amministratore delegato del colosso dei chip Micron, Sanjay Mehrotra. Il sottotesto è chiaro: disaccoppiamento e tensioni non convengono a nessuno. E sono gli Usa a dover fare un passo verso la Cina, non il contrario. Sullo sfondo, però, si intravedono già nuove tensioni per il passaggio negli Usa del vicepresidente e taiwanese Lai Ching-te, in programma ad agosto.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.