Il prossimo 27 e 28 febbraio Kim Jong-un e Donald Trump si incontreranno per la seconda volta in Vietnam, dopo il primo storico summit svoltosi a Singapore lo scorso 12 giugno.
Alla fine di reiterati incontri tra le delegazione dei due paesi e una girandola di lettere tra Kim e Trump, si arriverà così al secondo summit tra i due leader, senza alcuna certezza che possa andare diversamente dal meeting di Singapore, poco più di un evento mediatico che ha segnato sicuramente un riavvicinamento tra i due paesi ma non ha dato vita ad alcun evento tangibile tanto per quanto riguarda la denuclearizzazione della Corea del Nord quanto in relazione al ritiro delle truppe americane dalla Corea del Sud, ovvero i due desiderata di Kim e Trump.
Dall’evento di Singapore il comportamento di Kim Jong-un è pero mutato e non di poco. Nel suo discorso di fine anno ha dato molto più spazio alle questioni economiche interne, come aveva già fatto in precedenza, lasciando intendere la conclusione del periodo deputato alla priorità nucleare. Il cuore della politica di Kim Jong-un è il cosiddetto «doppio binario», come fu annunciato dal giovane leader una volta giunto al potere, nel 2011, dopo la prematura morte del padre Kim Jong-il, il «Caro leader».
Il «doppio binario» indica proprio i due obiettivi di Pyongyang: diventare una potenza nucleare, evento che si ritiene concluso, sviluppare riforme economiche capaci di aumentare il livello di vita dei nordcoreani. Su questo secondo aspetto Kim potrà contare sull’aiuto di Cina, Russia e di recente anche della Corea del Sud: Seul, soprattutto grazie all’attività diplomatica del presidente Moon Jae-in, ha deciso di scommettere sulla riapertura delle relazioni diplomatiche e commerciali, contribuendo e non poco all’ottimismo di Kim. Ma il numero uno di Pyongyang sa bene che al di là delle relazioni internazionali deve guardarsi bene le spalle all’interno.
Arrivato al potere ha dovuto assicurarsi la fedeltà di funzionari poco disposti a farsi guidare da un ragazzo cresciuto all’estero (ha studiato in Svizzera) e si è visto costretto a serrare i ranghi: ha favorito i suoi collaboratori più vicini, come ad esempio la sorella, ma ha dovuto epurare tanti funzionari e militari, pronti ad approfittare del vuoto di potere scaturito dalla morte di Kim Jong-il. Kim, dunque, ha già superato numerose difficoltà interne e di recente sembra essere tornato a fare pulizia: nelle ultime settimane, infatti, pare che a Pyongyang siano tornate di moda le epurazioni. Kim avrebbe eliminato papaveri del partito dei lavoratori e dell’esercito che mal sopportavano le ultime «aperture» di Kim, specie quelle contro il nemico di sempre, ovvero gli Stati uniti.
Secondo il Wall Street Journal, sarebbero tra 50 e i 70 i funzionari «purgati»: questa eventuale nuova campagna di epurazioni dimostra la forza interna di Kim, ma mette a nudo anche i rischi del cambiamento che il leader nordcoreano sta portando: la mutata situazione internazionale porta infatti a esaurirsi quella spinta militarista in funzione anti americana. Kim, in pratica, ha capito che in questo momento ha bisogno di imprenditori, più che di comandanti.
Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.