Kim al Congresso: «Non attaccheremo per primi»

In by Gabriele Battaglia

Si è concluso lunedì il Congresso del Partito dei Lavoratori nordcoreano cominciato venerdì scorso a Pyongyang, presso la Casa della Cultura. Kim Jong-un è diventato presidente del Partito, ha annunciato un piano quinquennale per rilanciare l’economia e ha confermato lo status di «potenza nucleare responsabile» rivendicato dalla Corea del Nord. Intanto la stampa internazionale osserva tutto da lontano e quando non gradita viene messa alla porta.
Al quarto e ultimo giorno di Congresso – il primo dal 1980 a questa parte – Pyongyang ha rinnovato l’intenzione di rafforzare il proprio arsenale nucleare per scopi difensivi, contravvenendo alle risoluzioni adottate dall’Onu in risposta ai vari test nucleari e missilistici. La decisione – formalizzata durante il consesso- conferma di fatto la posizione mantenuta in precedenza dal governo nel presentare la Corea del Nord come «una potenza nucleare responsabile».

Proprio nel weekend il leader nordcoreano Kim Jong-un insignito ieri della rara carica di presidente del Partito – aveva affermato durante un’arringa durata tre ore che il ricorso ad un intervento nucleare da parte di Pyongyang sarà contemplato solo in caso di un’aggressione straniera. Specificando la volontà di «migliorare e normalizzare le relazioni con i paesi in passato ostili, purché si dimostrino amichevoli e rispettino la sovranità nazionale». Una dichiarazione interpretata dalla stampa internazionale come un ramo d’ulivo offerto a Stati uniti e Corea del Sud, a cui tuttavia Seul ha risposto freddamente anteponendo la rinuncia formale allo sviluppo del programma nucleare come garanzia per la ripresa di «colloqui genuini» tra le rispettive forze armate.

Pyongyang e Seul sono tecnicamente ancora in guerra dagli anni ’50, quando la Guerra di Corea si concluse con una tregua e non un trattato di pace. Da allora le relazioni bilaterali hanno registrato alti e bassi, precipitando, in seguito al test nucleare di gennaio, ad un nuovo minimo storico confluito nella chiusura della zona economica speciale di Kaesong, il complesso industriale simbolo del riavvicinamento tra le due Coree.

Toni sostenuti anche da parte di Pechino, sempre meno incline a mantenere remissivamente il ruolo di principale benefattore e storico alleato del Regno Eremita. Le buone intenzioni del leader nordcoreano sono state sminuite anche dalla stampa cinese. Nella giornata di lunedì, il Global Times, tabloid della politica estera cinese affiliato all’ufficialissimo People’s Daily, ha puntualizzato che «l’atteggiamento [di Pyongyang] non è cambiato né le grandi contraddizioni con il mondo esterno sono state risolte», mentre il ministero degli esteri cinese ha invitato il governo nordcoreano a «mantenere il passo con i tempi», trattenendosi a fatica dal disconoscere urbi et orbi lo status di potenza nucleare sbandierato dal vicino asiatico.

Dall’approvazione delle ultime sanzioni internazionali, Pyongyang non ha dato il minimo segno di voler sospendere l’espansione del suo arsenale. Anzi. Stando ai non molto attendibili comunicati ufficiali, da marzo a oggi la Corea del Nord pare sia riuscita prima a miniaturizzare una testata nucleare (sufficientemente piccola da essere montata su un vettore), poi a eseguire un lancio missilistico da un sottomarino. Anche se i preparativi per un quinto test nucleare, evidenziati dalle riprese satellitari, sembrano per il momento posticipati.

«Fintanto che gli imperialisti persisteranno nella loro minaccia nucleare e in pratiche arbitrarie, continueremo a mantenere la linea strategica che prevede simultaneamente la ricostruzione economica e il potenziamento della forza nucleare autodifensiva, sia in termini di qualità sia di quantità». E’ quanto approvato durante il Congresso, stando al resoconto fornito ieri dall’agenzia di stampa statale KCNA.

Come pronosticato dai media internazionali, il Congresso si sta rivelando una piattaforma privilegiata per il rilancio del byungjin (letteralmente «linee parallele»), ricetta a base di nucleare e sviluppo economico lanciata nel 2013 che probabilmente passerà alla storia come il marchio di fabbrica del governo del giovane Kim; così come il juche («autosufficienza») e il songun («prima l’esercito») lo sono stati del nonno Kim Il-sung e del padre Kim Jong-il. Oltre ai progressi collezionati nello sviluppo dell’atomica, il leader nordcoreano ha annunciato l’avvio di un piano quinquennale per rilanciare l’economia, che è troppo chiamarlo «riforme»Sebbene non siano stati forniti dettagli, Kim ha chiesto una maggiore attenzione all’automazione industriale, alla meccanizzazione dell’agricoltura e a un aumento della produzione di carbone e dell’export di materie prime, tra le principali fonti di guadagno per il regime in barba alle sanzioni.

Almeno nella capitale, negli ultimi anni si sono avvertiti segnali di una modesta ripresa (aumento del traffico e dei ristoranti; incremento nella vendita di articoli di consumo come smartphone, prodotti elettronici e vestiti alla moda), mentre la banca centrale della Corea del Sud ha calcolato la crescita nordcoreana intorno all’1% nei passati tre anni. Stime, queste, che tuttavia non comprendono il fiorente mercato grigio all’origine di una piccola imprenditoria privata.

Modernizzazione e successi economici hanno allietato i 128 reporter invitati a «coprire» il consesso. Il virgolettato è d’obbligo dal momento che, mentre presso la Casa della Cultura 25 aprile i 3000 delegati si riunivano a congresso, i giornalisti stranieri venivano sballottolati da una fabbrica tessile a una di cavi elettrici, passando per un ospedale e altri «siti modello».

L’intento doveva essere chiaramente quello di provare al mondo che la qualità della vita «nell’ultima cortina di ferro» non è poi male come racconta la stampa straniera. Così quando l’inviato della Bbc, Rupert Wingfield-Hayes – giunto sul posto nei giorni scorsi per coprire la visita di un gruppo di premi Nobel – si è permesso di dipingere quanto osservato durante le visite guidate come una specie di messa in scena, è stato trattenuto in aeroporto mentre era in procinto di tornare a Pechino con il suo team, poi interrogato per otto ore e infine espulso dal Paese senza possibilità di ritorno.

Soltanto lunedì, a lavori pressoché conclusi, una trentina di giornalisti stranieri sono stati accolti nella Casa della Cultura, appena il tempo di realizzare un paio di riprese e immortalare il sempre più potente erede della dinastia Kim. Una sfarzosa parata nel cuore della capitale ha coronato martedì la fine del Congresso sotto gli occhi di centinaia di migliaia di partecipanti.

[Foto credit: Alessandra Colarizi]