Oggi i vertici dell’esercito del Giappone prenderanno parte per la prima volta all’incontro del comitato militare della NATO. Tokyo è preoccupata dalle manovre navali di Mosca, ma ha in mente soprattutto la Cina
Svezia e Finlandia in Europa, il Giappone in Asia. La Nato continua ad ampliare lo spettro dei membri, ma anche dei partner. Oggi a Bruxelles i massimi ufficiali dell’esercito giapponese prenderanno parte per la prima volta a un incontro del comitato militare dell’Alleanza Atlantica. La presenza del generale Koji Yamazaki, capo di stato maggiore di Tokyo, è un inedito che si inserisce in una tendenza che vede il Giappone sempre più allineato agli Stati uniti e convinto promotore di una visione asiatica degli affari globali, in contrapposizione a quella cinese.
Yamazaki prenderà parte alla sessione sulla sicurezza e la cooperazione nel Pacifico insieme ai rappresentanti di Australia, Nuova Zelanda e Corea del Sud. L’agenda dell’incontro include i test balistici della Corea del Nord e «l’espansionismo» di Pechino nel mar Cinese meridionale.
La guerra in Ucraina ha accelerato l’arruolamento nipponico. A marzo, il premier Fumio Kishida ha incontrato il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Lo stesso Kishida ha mostrato un attivismo sconosciuto ai leader nipponici in materia di politica estera. Dopo l’invasione russa è stato a più riprese in diversi paesi del Sud-Est asiatico e in India, per cercare di costruire un consenso regionale sull’isolamento della Russia. È poi stato in Italia e in Regno Unito, dove ha raggiunto un principio di accordo con Boris Johnson sull’interoperabilità delle rispettive forze armate.
Ad aprile il ministro degli Esteri Yoshimasa Hayashi ha partecipato a un incontro degli omologhi Nato. Ma l’invio del capo di stato maggiore porta il rapporto a un altro livello, estendendolo da quello politico a quello operativo. L’allineamento segue anche la direttrice dell’intelligence. Il Giappone è ormai considerato il «sesto occhio» dei Five Eyes, l’alleanza dei servizi segreti di Stati uniti, Canada, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda. Dopo aver sottoscritto accordi bilaterali in materia di scambio d’informazioni con Washington, Londra e Canberra, nelle scorse settimane ne è stato siglato uno anche con Wellington.
Non solo. Il governo non ha escluso di estendere le capacità di contrattacco delle forze di autodifesa, l’etichetta affibbiata all’esercito locale dopo la seconda guerra mondiale e che sembra in fase di superamento. Il ministro della Difesa Nobuo Kishi non ha escluso la possibilità che l’utilizzo della forza per colpire i nemici possa essere estesa dalle base militari in territorio straniero alle attività balistiche effettuate tramite sottomarini o altri apparecchi militari.
Il Giappone guarda con preoccupazione alle manovre navali della Russia sulle isole Curili e i ripetuti passaggi nello stretto di Tsugaru. Ma Tokyo ha in mente soprattutto la Cina, con la sua recente legge sulla guardia costiera e i ripetuti incroci alle isole Senkaku/Diaoyu. L’ex premier Shinzo Abe ha avanzato la richiesta senza precedenti alla Casa Bianca di mettere fine alla storica ambiguità strategica sullo Stretto di Taiwan. Lunedì è peraltro in agenda il bilaterale Kishida-Biden, al termine del quale si attende un comunicato congiunto nel quale si dovrebbe parlare esplicitamente di cooperazione per «scoraggiare» le attività cinesi nell’Indo-Pacifico e «rispondere» a Pechino. Subito dopo, martedì, il summit del Quad.
Non a caso ieri i ministri degli Esteri dei due paesi asiatici si siano parlati, cercando di abbassare le tensioni. Hayashi ha chiesto a Pechino di svolgere un «ruolo responsabile» sulla guerra e nella regione, Wang Yi ha parlato di «atmosfera sgradevole» e ha invitato Tokyo ad «agire con prudenza». Ma il sentiero intrapreso sembra quello della sfiducia reciproca.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il manifesto]Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.