Dopo sette anni di negoziati, Cina e Ue hanno raggiunto un’intesa sull’atteso accordo di investimento bilaterale che dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – assicurare maggiore reciprocità per le aziende europee oltre la Muraglia. L’annuncio è arrivato ieri al termine di una videocall tra il presidente cinese Xi Jinping, i leader Ue e la coppia Merkel – Macron, il duo che ha diretto dietro le quinte la maratona negoziale terminata per un soffio (come da programma) entro fine anno. E soprattutto prima dell’insediamento di Biden.
L’accordo è stato accolto come un successo da entrambe le parti. Per la Cina, è un’occasione per confermare nuove aperture dopo l’introduzione a gennaio della Foreign Investment Law. Per Bruxelles, invece, il trattato aiuterà a riequilibrare le relazioni economiche bilaterali concedendo “agli investitori europei un livello di accesso al mercato cinese senza precedenti”, una maggiore tutela dei segreti commerciali, e un trattamento più equo. Impegno, quest’ultimo, che Pechino dovrà mantenere assicurando per la prima volta su base bilaterale trasparenza in materia di sussidi statali. L’accordo non comprometterà i reciproci meccanismi di screening previsti per gli investimenti che rischiano di minacciare la sicurezza nazionale e secondo la procedura di risoluzione delle controversie Bruxelles potrà fare retromarcia in caso la Cina si dimostri inadempiente.
Mentre i dettagli non sono ancora noti – il testo richiede l’approvazione per nulla scontata del Parlamento europeo e il processo di ratifica potrebbe durare mesi – secondo il South China Morning Post, la Cina ha ottenuto l’ingresso nel mercato energetico europeo (sebbene limitatamente alle rinnovabili) in cambio di più accesso per le aziende europee, tra gli altri, ai settori manifatturiero, immobiliare, finanziario e delle telecomunicazioni. Un primo piccolo passo verso un possibile più ampio accordo di libero scambio, che conferma la crescente interdipendenza economica dopo che a settembre la Cina è diventata per la prima volta il primo partner commerciale del blocco.
Il tempismo con cui sono state chiuse le trattative ha suscitato non poche critiche, soprattutto all’interno del Parlamento di Strasburgo, da cui recentemente era giunta la richiesta di sanzioni contro le violazioni delle libertà nella regione autonoma uigura dello Xinjiang. Pechino se l’è cavata impegnandosi in un non meglio precisato futuro a ratificare le convenzioni dell’ILO sul lavoro forzato. Complice la necessità per Bruxelles di colmare al più presto lo svantaggio competitivo dei player europei in Cina dopo l’accordo di fase uno strappato da Trump. Soprattutto considerata la contrarietà dimostrata pubblicamente dall’amministrazione Biden e le perplessità di alcuni stati dell’Europa orientale, più vicini agli Usa in funzione anti russa. Per Pechino, reduce dalla firma della mega Regional Comprehensive Economic Partnership, si tratta di una vittoria diplomatica importantissima. Il fatto è che, nonostante l’appellativo di “rivale sistemico”, la Cina rimane un partner Ue indispensabile nella lotta al coronavirus e al cambiamento climatico. Pur riaffermando la propria vocazione transatlantica, Bruxelles sa bene che il baricentro dell’economia mondiale si è ormai spostato a Oriente.
[Pubblicato in forma ridotta su il manifesto]Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.