Di seguito l’intervista pubblicata da Wired (edizione italiana, mese di Maggio) disponibile anche qui.
«Nella mia vita l’esperienza più rilevante che ho fatto, quella più significativa, è quando mi sono innamorato di Internet e delle sue possibilità. È la cosa più importante che poteva capitarci». Poi un respiro forte, mani ferme sul tavolo e sguardo appoggiato a qualcosa di immaginario, davanti a sé.
Ai Wei Wei, artista e attivista cinese, ci riceve nel suo quartier generale, uno dei tanti luoghi artistici fuori dal quinto anello di Pechino. Fake Studio, il nome del suo laboratorio, è una semplice scritta sul cancello. I suoi gatti, tanti, e i suoi collaboratori alle otto del mattino sono già al lavoro, mentre fuori l’aria gelida di Pechino strizza gli alberi e rende meno verde il piccolo prato su cui si affaccia il laboratorio. Lui è alla scrivania, sta leggendo un giornale cinese. Fisico imponente e volto segnato dagli ultimi avvenimenti, botte e arresti, ma sguardo di chi non si rassegna: guardingo e attento, severo e sognante, ma sempre pronto allo scherzo, alla battuta. Per molti cinesi ormai è un eroe.
Scrive con calma e pazienza al computer: Internet è ormai la sua tela preferita, la scultura privilegiata, il suo campo d’azione, tanto da distinguere tra un prima e un dopo l’avvento del web. «È arte, come quanto ho fatto finora, non c’è alcuna separazione» afferma. A dimostrarlo una delle sue ultime mostre, esplicitamente connessa al suo impegno civile per i bambini morti nel terremoto del Sichuan nel maggio 2008: si intitola Snake Ceiling, una serpentina di zaini scolastici, bianchi e neri, piccoli e più grandi a indicare un’appartenenza anagrafica differente. Il serpente, antico simbolo di tragedia, si erge, si allunga e si piega, quasi tentando di uscire dal soffitto del museo, a simboleggiare una verità coperta, in modo ottuso e inesorabile.
Nel suo schema mentale e nella produzione artistica Ai Wei Wei pone al centro della propria ragnatela cerebrale e sentimentale, tre concetti: la cultura, la politica e la Cina. Nato nel 1957, ha fondato l’Accademia del cinema di Pechino, insieme al celebre Zhang Yimou. Figlio di un noto poeta che durante la Rivoluzione culturale venne mandato in un campo di rieducazione, Ai Wei Wei ha cominciato il suo percorso artistico attraverso una serie di mostre provocatorie (Fuck Off, una delle più celebri) in giro per il mondo. Il suo spirito critico, ma giocoso, poetico e dissacratorio, l’utilizzo di qualsiasi oggetto, forma e spunto, le sue critiche ai modelli elitari di arte, lo hanno reso un punto di riferimento: per molti ha cambiato l’arte cinese, dimostrando che tutto è possibile. Tanto per intenderci, è lui che per gli architetti Herzog & de Meuron ha inventato il Bird’s Nest, lo stadio a forma di nido d’uccello, sede delle Olimpiadi pechinesi.
Una volta finito il lavoro, ha fatto scalpore anche in Occidente, grazie al suo annuncio di boicottare tanto la cerimonia di apertura, quanto la propaganda statale al riguardo. Da allora ha denunciato politici e governo, in una spirale di attivismo cresciuta esponenzialmente durante il 2009. Lo ha fatto con grande determinazione, ma anche con sarcasmo e ironia. A una domanda ricevuta in una chat cinese, su cosa farebbe se avesse a disposizione un esercito di soldati, ha risposto: «Li farei sfilare per la città, tutti nudi».
La sua storia recente è la storia della Cina e Internet, degli attivisti online e la censura. Una storia che raggiunge il suo acme nell’agosto del 2009, quando Ai Wei Wei viene arrestato. Giunto in ascensore con i poliziotti, quasi divertito più che preoccupato, ha scattato una foto e l’ha postata via cellulare sul suo blog. Non solo. Intestarditosi nel cercare la verità sul terremoto del 2008, attraverso la ricerca dell’esatto numero di bambini morti nel crollo delle scuole (la cui vera cifra, oltre 5000, è stata nascosta per il coinvolgimento di funzionari del partito comunista), ha appoggiato altri attivisti, uno dei quali recentemente condannato a tre anni e mezzo di prigione. Perché Ai Wei Wei non è solo, lo dimostra il suo seguito e la presa di coscienza di tanti cinesi: una minoranza, che grazie a Internet comincia a farsi sentire. Picchiato duramente dalla polizia per essere andato in tribunale a testimoniare in favore di un altro dissidente, è stato operato d’urgenza alla testa in Germania. Le foto della degenza e le radiografie sono finite sul suo Twitter, dove ormai ha 30mila follower. Ai Wei Wei è un fruitore vorace di Internet: «Penso che sia la più importante tecnologia a disposizione di tutti, influisce sulla nostra vita, la cultura. È rivoluzionaria per l’umanità, la nostra identità, la percezione che abbiamo di noi e degli altri. In Cina, Internet è una opportunità per i movimenti democratici che lottano per una maggiore informazione e per conoscere il mondo». Allo stesso tempo per la prima volta i cinesi hanno potuto esprimersi in modo indipendente e comunicare con gli altri: «Qui è più rilevante che in altri paesi, perché siamo in un regime totalitario da sessant’anni», dice. Poi beve un sorso di tè e sornione ci mostra la foto del suo arresto. Internet è un innamoramento, di cui si ricordano le prime scintille con entusiasmo e piacevole malinconia: «All’inizio non capivo, non ero capace, non sapevo neanche scrivere bene con la tastiera. Nel 2005 ho aperto un blog e ho cominciato a capirne tutte le possibilità. Il blog in poco tempo è diventato un punto di riferimento culturale e politico. Ho dovuto ingegnarmi perché me lo hanno chiuso parecchie volte. Fu un momento entusiasmante». Ai Wei Wei è orgoglioso di avere sempre detto quanto voleva, in modo aperto. Per questo trova una linea di continuità tra il suo essere artista e il suo essere ora considerato un attivista, scomodo. «Non pensavo potesse crearmi tutti questi problemi, ma ne vale la pena e non ho intenzione di smettere. In alcuni momenti ho paura, perché abbiamo un’unica vita, ma poi penso di non essere solo e la paura svanisce». Ha dovuto mettere i video del suo arresto in carretti carichi di verdura, perché a Pechino nessuno era disposto a duplicarli. Ha trovato qualche complice solo fuori dalla capitale e, aggiunge, «ho dovuto portarli a casa in modo clandestino».
Una lotta estenuante, continua, senza poter mai perdere d’occhio quanto accade: per i cinesi Internet è una palestra sociale, per sfuggire alla canonica ginnastica d’obbedienza della società vera. Tanto per chi tenta di sfuggire alla censura, quanto per il governo, sempre pronto a inventarsi nuovi strumenti per limitare l’accesso a Internet. Colpi di scena, sorprese, tendenze: una diatriba che pone la Cina al centro di trame mondiali, in cui è lecito chiedersi se la Terra di Mezzo rappresenti il passato o il futuro nel controllo della libertà di espressione. «In teoria», sostiene Ai Wei Wei, «la Cina dovrebbe essere il passato, ma a livello internazionale ci sono molti passi indietro». Secondo lui, l’attitudine a limitare le libertà è ovunque. «Il problema è che in tutto il mondo c’è un vecchio sistema societario e di poteri, che ancora resiste e rifiuta ogni responsabilità, cercando di comprarsi tutto, compreso il controllo delle persone».
Eppure in cina, alla crescita della censura, si registra una straordinaria vitalità dei netizen, persone che come Ai Wei Wei si esprimono, criticano e rappresentano, nelle molteplici forme che il web consente, la propria visione del mondo. Si parla di opinione pubblica cinese, con riferimento alle attività dei cyberattivisti. Ai Wei Wei ci pensa su, poi spiega: «La Cina ha una grande popolazione, ma non abbiamo niente di pubblico, neanche un’opinione. Non abbiamo cittadini. Non ci sono diritti per conoscere, capire e discutere con questo governo. Il proliferare di blog e siti internet critici è un fenomeno interessante, perché, nonostante tutti i controlli e le censure, i cinesi, piano piano, trovano spazi dove il governo non può intervenire. In pochi anni sono stati fatti grandi passi avanti. Scrittori e attivisti hanno dedicato quotidianamente tempo per discutere e riflettere online».
Ai Wei Wei e tanti altri come lui fronteggiano ogni giorno il Grande Firewall, un insieme di filtri alla navigazione che proibiscono l’accesso a pagine dai contenuti considerati sensibili dal governo: diritti umani, dissidenti, Tibet, i periodi oscuri della Cina, la Rivoluzione culturale, il massacro di Tien’anmen. Si basa su parole chiave che inchiodano la navigazione, annullano allegati ricevuti nelle email, cancellano schermate di conversazione su Skype. Parole e anche numeri: come per esempio "64" a indicare il 4 giugno, giorno dell’attacco agli studenti nel 1989. È un esercito di censori (si parla di 15 mila persone) impegnato ogni giorno a setacciare il web in cerca di contenuti dannosi e a registrarli nell’elenco delle parole proibite. È il Grande Firewall, mostro di tecnologia e sangue vero, l’arbitro della partita interminabile tra governo e attivisti. In Cina le email sono costantemente controllate, così come il conto in banca di molti dissidenti, compreso quello di Ai Wei Wei. Sul web non si può accedere a Twitter, Facebook, YouTube e neppure a molte funzionalità di Google, almeno prima dello strappo recente, per il quale Mountain View ha liberato alcuni suoi contenuti precedentemente filtrati, spostando tutti i server cinesi a Hong Kong. A questo riguardo Ai Wei Wei ha una teoria: «Al contrario di molte aziende che pensano solo al profitto, Google ha dato un esempio diverso: ha mostrato che valori come la decenza e l’integrità sono importanti, anche se hai di fronte il governo cinese. Merita rispetto, mentre quello che ha fatto il governo cinese, invece, è un suicidio».
I cinesi si sono adattati all’ansia di controllo dei censori, ingaggiando una gara a superarli in abilità e furbizia: hanno cominciato con la scrittura verticale, poi sono passati agli acronimi, infine ai blog e ai social network, rivelando una straordinaria ricchezza creativa. La censura infatti può essere arginata, ma solo attraverso l’utilizzo di un proxy, una scappatoia, un tunnel scavato tra i percorsi obbligati del governo cinese, in cui si esce dalla rete locale, agganciandosi a punti d’accesso casuali sparsi per il mondo. Questa necessaria inventiva, secondo Ai Wei Wei, accelererà la conquista di spazi democratici in Cina: «Ogni intelligenza si sviluppa in circostanze inizialmente ostiche. Diventi più furbo tra le difficoltà. Il governo ha sempre tentato di limitare Internet e sia i vecchi sia i nuovi citizen trovano le scappatoie. È Internet che unisce queste generazioni, e i giovani piano piano acquistano una sorta di coscienza civile».
Di solito la politica, i diritti sono temi che ai ragazzi cinesi non interessano, ma oggi invece grazie a Internet e alla possibilità di discutere quotidianamente e liberamente, sono sempre di più i giovani coinvolti in attività sociali. «Penso che il mondo sarà differente e nessuno potrà fermare il cambiamento, Internet ci cambierà», dice Ai Wei Wei.
Nel luglio del 2009 la storia di Internet in Cina sembrò volgere al peggio: il governo lanciò una campagna anti-pornografia in rete, obbligando tutti i produttori di pc a installare sui computer in vendita sul territorio cinese un software, il Green Dam Youth Escort, in grado di limitare la navigazione su Internet, partendo da un’altra lista di parole vietate. La scusa: evitare che i bambini cinesi potessero incontrare materiale pornografico. Ai Wei Wei si mise ancora una volta in prima persona alla guida del dissenso, creando un movimento in grado di arginare la proposta governativa e di passare dal silenzio a un’ordinata protesta. Il primo luglio 2009 lanciò un boicottaggio, seguito da migliaia di utenti: come Mao con il suo "ribellarsi è giusto", chiese ai cinesi un tranquillo atto di rivolta, invitando i netizen ad astenersi per 24 ore da ogni attività su Internet. Un boicottaggio simbolico ma che riuscì: le autorità tornarono sui propri passi abbandonando l’idea del filtro: «Si è trattato di un mix tra persone che cominciano a difendere alcuni diritti come educazione, sanità, privacy. Questo clima di cambiamento è nell’aria e i cinesi lo sanno, sono più attenti a certe cose. Il governo dal canto suo deve mostrarsi solido, ma la sua compattezza potrebbe frantumarsi. Come l’autorità potrebbe collassare la struttura sociale, sotto i colpi della corruzione e della mancanza di fiducia nei confronti dei governanti».
Per Ai Wei Wei e i cinesi Internet significa anche recupero di una storia di cui spesso non si parla. Alcuni argomenti, come la Rivoluzione culturale o i fatti di Tien’anmen del 1989 sono ancora tabù: «Prima di Internet», afferma l’attivista cinese, «in quelli che io chiamo i Vecchi Tempi, era diverso. Oggi ognuno può conoscere quello che accadde tempo fa, così come ogni cinese conosce quello che accade in questo momento a chi viene arrestato o condannato». E allora si ricomincia dall’inizio: fare girare le informazioni, come le sue foto durante l’arresto. Mentre ci salutiamo, con i gatti che tornano a farsi vedere, Ai Wei Wei comincia a scattarci foto col cellulare, mentre il discorso ritorna ai nostri primi contatti, ovvero all’Internet Nobel per la Pace: «Penso che anche il premio Nobel faccia parte di una vecchia struttura, ma sicuramente ha ancora un ruolo importante nell’incoraggiare i giovani a prendere parte e volere una vita migliore».