A chi appartiene l’altra “metà del cielo”? Su Banbiantian (半边天 “metà del cielo”) raccontiamo le storie di chi in Asia orientale lotta per la giustizia di genere in tutte le sue declinazioni. Qui parliamo della riforma delle trasmissione radiotelevisive in Indonesia che potrebbe censurare il giornalismo d’inchiesta e i contenuti Lgbtqia+.
Il controverso disegno di legge sulle trasmissioni radiotelevisive minaccia le libertà democratiche conquistate dall’Indonesia nei quasi trent’anni trascorsi dalla fine del regime autoritario. L’allarme è arrivato dai gruppi della società civile, che temono che possa ostacolare il giornalismo d’inchiesta e censurare i contenuti Lgbtqia+, in un attacco a tutto campo alla libertà di stampa e di espressione.
La giovane democrazia indonesiana negli ultimi tempi sta subendo pressioni. A febbraio è stato votato a larga maggioranza l’ex generale e braccio destro del dittatore Suharto, Prabowo Subianto, che inaugurerà il mandato presidenziale in autunno. Giornalisti e attivisti per i diritti umani erano già in allerta durante la campagna elettorale: Prabowo si porta dietro un record di omicidi, massacri e rapimenti, che non tutti hanno dimenticato.
IL NEO-ELETTO presidente è stato ufficialmente incriminato due volte: una per le uccisioni di massa nel 1983 e una seconda per aver rapito studenti e attivisti nel 1998. «Se nel futuro dovessero verificarsi violazioni di diritti umani, secondo te le famiglie delle vittime potrebbero andare dal presidente Prabowo a chiedere indagini?» aveva detto a China Files Andreas Harsono, senior researcher di Human Rights Watch.
«La riforma è un fatto allarmante», racconta lo stesso ricercatore al manifesto. «Per il momento è solo un disegno di legge, ma il Consiglio della Stampa, gruppi di giornalisti e organizzazioni per i diritti umani si sono attivati per contestarlo», dice. Secondo gli osservatori, l’amministrazione del presidente uscente Joko Widodo vorrebbe accelerare il procedimento legislativo e rendere operativa la modifica alla legge del 2002 (già oggetto di dibattito dal 2020), prima dell’insediamento del nuovo presidente.
LE MODIFICHE «limitano la capacità dei media di richiamare il governo alle sue responsabilità», ha dichiarato l’International Federation of Journalists in un comunicato. Si ostacolerebbe così «l’accesso del pubblico a informazioni importanti, minando la trasparenza». Il timore è che compromettere la libertà di stampa possa segnare un netto vantaggio per l’ex generale, che pur avendo mantenuto un basso profilo sulle accuse a suo carico durante la campagna elettorale, sottolinea Harsono, non ha mai chiesto scusa pubblicamente.
Anche se è ancora in discussione alla Camera dei rappresentanti del popolo (la camera bassa del parlamento bicamerale indonesiano), le proteste non si sono fatte attendere, e hanno coinvolto personalità della stampa, del mondo accademico, dell’attivismo e della società civile. Per la comunità Lgbtqia+ indonesiana, il disegno sarebbe causa di ulteriore marginalizzazione, per via di una clausola che vieta «la rappresentazione di comportamenti gay, lesbici e transgender» in qualsiasi contenuto radiotv.
Si tratta di «un nuovo attacco allo spirito della “Reformasi”», ha commentato al South China Morning Post (Scmp) Bayu Wardhana, segretario generale dell’Alleanza dei giornalisti indipendenti dell’Indonesia. La bozza di legge è considerata un passo indietro rispetto alle conquiste del movimento popolare che nel 1998 costrinse il presidente Suharto a dimettersi, dopo più un trentennio di politiche autoritarie.
LA PROPOSTA di riforma potrebbe innescare tensioni nella società civile, ben prima che il controverso ex generale dia inizio al suo mandato. Solo il tempo darà una risposta ai sospetti di Fatkul Khoir, avvocato e coordinatore della ong per i diritti umani Kontras Surabaya, che ha detto al Scmp: «Alla fine, credo che la nuova legge serva a salvaguardare gli interessi delle élite. Ci sono altri scheletri nell’armadio che non vogliono farci vedere?».
[pubblicato su il manifesto]Laureata in Relazioni internazionali e poi in China&Global studies, si interessa di ambiente, giustizia sociale e femminismi con un focus su Cina e Sud-est asiatico. Su China Files cura la rubrica “Banbiantian” sulla giustizia di genere in Asia orientale. A volte è anche su La Stampa, il manifesto, Associazione Italia-Asean.