Ha tirato un sospiro di sollievo Ganjar Pranowo, governatore della Propinsi Jawa Tengah, quando ha saputo che il presidente dell’Indonesia Joko «Jokowi» Widodo aveva finalmente emesso il decreto di divieto di mudik, termine che indica il trasferimento di migliaia di famiglie e individui ai villaggi di origine per il Ramadan.
«Meglio tardi che mai», pare abbia detto, aggiungendo però che almeno mezzo milione di persone erano già arrivate nella sua provincia. Alla viglia del mese di Ramadan, che culmina il 23 maggio nella festa di Id ul Fitr, il palazzo, dopo settimane di decisioni ondivaghe e poco chiare, ha improvvisamente fatto marcia indietro.
E se prima aveva imposto il divieto di viaggio solo ai dipendenti pubblici e di imprese statali, soldati e poliziotti, adesso il decreto parla chiaro: non si entra e non si esce. La scelta, dopo polemiche al calor bianco, criticata perché tardiva da diversi parlamentari anche del partito di Jokowi, mira a contenere il trasferimento di milioni di persone durante il Ramadan che inizia in questi giorni. L’anno scorso si sarebbero spostati per raggiungere le famiglie d’origine oltre trenta milioni di indonesiani, 20 milioni dei quali dalla sola Giacarta, una capitale da 10 milioni di residenti che diventano trenta con l’area metropolitana chiamata Jabodetabek.
L’Indonesia, che ieri registrava già oltre 7.400 casi e oltre 630 vittime, è il quarto Paese più popoloso del pianeta con 260 milioni di abitanti nella stragrande maggioranza musulmani e il Ramadan è un’occasione sacra per il digiuno ma anche per il ritorno ai villaggi di origine specie dalla capitale.
Il governo inizialmente si era limitato a sconsigliare il viaggio – semmai a farlo con molte precauzioni – e predisponendo la possibilità di quarantene. Ma quando Jokowi si è reso conto del rischio che il contagio potesse andare in vacanza dalla capitale, epicentro della pandemia, per disperdersi in tutto l’arcipelago (dove comunque il Covid-19 è già diffuso) ha finalmente fatto marcia indietro.
Il divieto entra in vigore domani venerdi e le eventuali sanzioni verranno applicate a partire dal 7 maggio, come ha spiegato il ministro ed ex generale Luhut Pandjaitan che ha chiarito che sarà vietato entrare e uscire dalle zone «rosse» colpite dal Covid-19 e che dunque si tratta di un blocco selettivo.
Lo scenario dei prossimi giorni l’ha disegnato il capo della polizia nazionale Asep Adi Saputraun: chiusura delle strade principali e blocco semitotale per la capitale dove solo i veicoli che trasportano forniture di base come cibo, attrezzature mediche e carburante saranno autorizzati a circolare. Lo sforzo prevede 2.582 posti di blocco. Non tutti sono d’accordo. Un sondaggio rivela che il 24% degli intervistati vuole tornare al villaggio per il Ramadan e che il 7% è già partito. Molti però hanno rinunciato.
C’è più di un motivo dietro ai tentennamenti di Jokowi, accusato di aver pensato soprattutto all’economia e di non aver quindi voluto chiudere il Paese, né al commercio né al turismo, settore quest’ultimo che ha penalizzato moltissimo le economie asiatiche. Ma il presidente, alla sua seconda rielezione, sa che una delle frecce all’arco dei suoi detrattori riguarda la sua fama di non essere un «buon musulmano» e di aver troppe amicizie tra i cristiani.
A torto o a ragione, vero o falso, è una delle critiche che brucia di più e che, in Indonesia, conta molto nella testa degli elettori. Impedire il viaggio per il Ramadan costituiva dunque un rischio politico ancor prima che sanitario. Poi però ha prevalso il buon senso. Il Covid-19 oltreché i polmoni può erodere il consenso.
Di Emanuele Giordana
[Pubblicato su il manifesto]